sabato 6 giugno 2020

prince, 'diamonds and pearls', 'o(+>'



‘diamonds and pearls’ e ‘o(+>’ sono quasi dischi gemelli, in senso che il grosso dei pezzi per entrambi gli album sono stati scritti insieme nel ’91 e ci sono configurazioni embrionali che confermano questa cosa, con brani ancora mischiati che verranno poi separati.
sono entrambi frutto del primo periodo di crisi di prince, non solo artistica, considerando il disastro finanziario che stava vivendo dopo le spese sregolate per la costruzione di paisley park e il licenziamento totale del suo team gestionale. in più c’è il nuovo gruppo, la new power generation, composta da nuovi musicisti eccezionali con un approccio molto diverso dai revolution o dalla band con sheila, una vera gang con tanto di trio di rapper (mediocri) votata al verbo di quella che gli inglesi chiamano “braggadocio”, una millanteria sessual-maschilista lontana anni luce dai sottili discorsi di ‘sign ‘o’ the times’ o dalla spiritualità di ‘lovesexy’. era il modo di prince di riconnettersi con la nuova musica nera che in quel momento vedeva la cultura hiphop farla da padrona, purtroppo il risultato è spesso ridicolo, privato di ogni asperità e reso innocuo come potrebbe fare la disney ma la colpa non stava con gli strumentisti: michael bland, insieme a john blackwell, è probabilmente il miglior batterista che prince abbia mai avuto, sonny t al basso ha una mano pazzesca, ha rubato il posto a levi seacer jr che invece si rivela un gran chitarrista in vari momenti mentre tommy barbarella deve prendere il posto che per tanti anni è stato del dottor fink e se la cava più che egregiamente, soprattutto all'hammond. oltre ai tre rapper (tony m, damon dickson e kirk johnson, quest'ultimo purtroppo resterà appiccicato a prince fino ai primi 2000) arriva anche la voce strabordante di rosie gaines che prende la lead in più momenti su 'diamonds and pearls' per poi scomparire dopo il tour.

‘diamonds and pearls’, uscito nel 1992, mette comunque sul piatto un bel pasto. i pezzi inutili ci sono (‘strollin’’, ‘willing and able’, ‘walk don’t walk’, ‘push’) e ce n’è un paio propriamente brutti (‘diamonds and pearls’ e ‘walk don’t walk’) ma tutto ciò è contrastato da alcuni momenti di grandissimo prince, su tutti ‘gett off’, un funk moderno, zozzo, pompato di sconcerie, con un bel riff portante e un’interpretazione vocale straripante. c’è il bel notturno dai toni lounge di ‘money don’t matter 2 night’, che tratta di gioco d’azzardo, c’è la bellissima chiusura con ‘live 4 love’, un pezzo aggressivo e ripieno di effetti sintetici che trascina dall’inizio alla fine. e non si può dire che ‘cream’ sia una brutta canzone, anche se prince ci ha tenuto a suonarla migliaia di volte live mostrandone la vacuità a lungo termine; in poche parole non è brutta ma ha rotto il cazzo.
l’influenza rap all’inizio doveva essere molto più marcata, alla fine sono 4 i pezzi che ne fanno largo uso nel disco. ‘daddy pop’ è l’espressione perfetta di quel maschilismo pomposo di cui si parlava prima, non è un brutto pezzo ma verrà presto dimenticato, così come ‘push’ o la più riuscita ‘jughead’.
allo stesso modo spariranno le jazzate ‘strollin’’ (assolutamente inutile e anche un po’ ridicola) e ‘willing and able’, che i toni gospel e un gradevole lavoro di chitarra non salvano dall’oblio. verrà invece trascinata per un po’ ‘diamonds and pearls’, un’orrenda ballata pomposa, sovrarrangiata e con una melodia sconsigliata ai diabetici che preannuncia l’arrivo di orrori cosmici quali ‘the most beautiful girl in the world’.

‘o(+>’ invece ha preso una strada diversa, quella del “quasi concept”, peccato che la trama si sia persa tra mille passaggi prima di arrivare alla forma cd. è una trama dai connotati spirituali, parla di rinascita, di religione, di filosofia e di scopare. scusate, la tentazione era troppo forte. comunque sul serio, c’è chi ha provato a ricostruire la storia, ha fatto molta fatica e non c’è riuscito del tutto per cui non starò qui a perdermici.
rispetto a ‘diamonds’ il lato gangsta rap patriarcale è ancora più amplificato ma riesce a rendersi più coinvolgente, almeno in uno dei capolavori dell’album, il miracolo funk di ‘sexy mf’, con una ritmica di michael bland che è puro james brown. l’altro momento incredibile è ‘7’, un pop-funk infarcito di arrangiamenti bizzarri dai toni esotici e retto da un fantastico ritornello pluri-armonizzato dalle voci di prince, una sorta di evoluzione di certe atmosfere di ‘around the world in a day’ e uno dei migliori (ed ultimi) esperimenti del nano in questa direzione.
poi c’è una buona quantità di pezzi coi loro pro e contro ma tutto sommato belli: ‘my name is prince’ è un’ottima apertura aggressiva, ‘love 2 the 9’s’ ha un groove stortignaccolo tutto suo, ‘the sacrifice of victor’ è una gran party song con un testo che mischia narrativa e autobiografia; poi, come spesso succede con prince, altrove sta a voi prendere una posizione: per me ‘i wanna melt with u’ è talmente esagerata che fa il giro e diventa divertente e pure la doppietta fortemente rap di ‘arrogance’-‘the flow’ non è affatto male. 
il male è altrove. ‘the max’ è un filler big beat ridicolo, esattamente come ‘the continental’. va ancora peggio con ‘blue light’, un agghiacciante pezzo dai toni reggae che si adattano a prince quanto il death metal a miles davis. ‘and god created woman’ è vomitevole ma l’apice dell’orrore si tocca con ‘3 chains o’ gold’, una cagata sovrarrangiata, iper-strutturata, pomposa, ridondante, ridicola come solo i queen saprebbero essere. sarebbe da considerare per l’eclettica prova vocale ma non ce la si può fare, è una delle cose peggiori mai registrate da prince.

il tour di ‘diamonds’ del ’92 curiosamente non toccò l’america, girando per giappone, australia ed europa. lo show era incentrato su prince e i tre rapper, a livello musicale proponeva dei bellissimi momenti ma mancava di quell’anarchia pan-sessuale dei tour degli anni ’80, una tendenza già anticipata dal ‘nude tour’ di un paio d’anni prima. fu anche una delle ultime occasioni per sentire ‘thieves in the temple’ dal vivo, in una versione super-funky, oltre ovviamente a pezzi come ‘daddy pop’, ‘jughead’ o ‘willing and able’ che (per fortuna) sarebbero scomparsi subito dopo.
discorso diverso per ‘act i’ e ‘act ii’, il tour di ‘o(+>’, un carrozzone molto teatrale in cui l’interazione era ridotta quasi unicamente a due persone, prince e mayte, più o meno per tutto il tempo, con trovate sceniche come prince che canta davanti a un plotone d’esecuzione, mayte che balla con una spada ed altre scenografie studiate che tarpavano un po’ le ali allo show.

non sono dischi brutti, nessuno dei due, qualunque fan di prince ve lo dirà. hanno alti e bassi ma per ora i primi ancora riescono a far dimenticare i secondi. la band si fa notare, in particolare la ritmica, con ottime prestazioni di tanti brani ma l’impasto collettivo non ha la stessa personalità spiccata delle formazioni precedenti, quantomeno non ancora.
due dischi contraddittori che se da un lato mostrano un’evidente volontà di evoluzione da parte di prince, dall’altro manifestano il suo smarrimento, una ricerca per tentativi di un nuovo suono che, ahimé, non si concretizzerà ancora per quasi 10 anni. in ogni caso consiglio a chiunque apprezzi la sua musica di farsi un giro con entrambi perché riservano delle bellissime sorprese.