venerdì 4 novembre 2022

oren ambarchi, 'shebang'


il 2022 evidentemente è l’anno di oren ambarchi che, dopo aver già dato alle stampe il bellissimo ‘ghosted’, replica con ‘shebang’ e alza ulteriormente l’asticella.

le coordinate non si allontanano moltissimo, il perno rimane una sfrenata ricerca ritmica che vive di cicli poliritmici enormi, incastri inaspettati e interventi più accidentali, tutto legato in un flusso che non ha inizio né fine.


ciò che cambia notevolmente è l’umore della musica: se ‘ghosted’ viveva di atmosfere notturne, fumose e rarefatte, ‘shebang’ invece risulta molto più solare, vivace nei colori e dinamico, aiutato in questo anche dal notevole ampliamento dell’organico: ben sette i musicisti coinvolti, oltre allo stesso ambarchi (che suona la chitarra, dirige e tiene insieme il tutto) troviamo il fidato johan berthling al contrabbasso, chris abrahams dei necks al piano, l’inglese bj cole alla pedal steel guitar, sam dunscombe al clarinetto basso, julia reidy alla 12 corde, joe talia alla batteria (una prestazione maiuscola) e jim o’rourke ai synth. una vera orchestra in miniatura in cui nessun timbro è raddoppiato e ognuno ha il suo spazio per partecipare della grande orgia sonora in eterna convulsione, un po’ come lo erano le migliori jam dei grateful dead durante ‘playing in the band’.


ha poco senso parlare di canzoni, non ci sono pause nella composizione e il flusso non si ferma mai per 35 minuti, con ondate dinamiche che portano in risalto i singoli strumenti senza mai neanche avvicinarsi all’idea di assolo. 

si può vedere ‘shebang’ come un grosso crescendo per accumulazione, con la prima parte a impostare la texture ritmica con la sola chitarra a sovrapporsi in loop sfalsati per poi far entrare basso e batteria nella seconda e avere la formazione completa nella terza e quarta. in particolare l’ingresso del piano di abrahams è uno dei momenti più belli dell’album.

è una sorta di jazz-rock ma non mancano tinte quasi afrobeat, colori psichedelici e una vena elettronica, composto piegando certi dettami del minimalismo alla sensibilità di ambarchi.

potete pensare a certo miles dei primi ’70 (‘agartha’) ma dovete virare completamente i meccanismi, qui le interazioni sono dettate dagli incastri poliritmici, non da botta e risposta tra i musicisti, è tutto il risultato di un gigantesco ingranaggio, stretto e precisissimo ma gestito in maniera rilassata e “loose”; si genera un vero e proprio mare di suoni, con la chitarra astratta di ambarchi a solcare le onde.


nonostante i rimandi al passato, ’shebang’ è un disco moderno, nonostante la sua intelligenza e profondità è un disco coinvolgente, nonostante la sua varietà timbrica è coeso e non stanca mai. è un altro gioiello da parte di un musicista che sembra stia veramente esplodendo di idee una migliore dell’altra, speriamo non smetta mai.