mercoledì 10 giugno 2020

death, 'human'


prima di parlare di ‘human’ ho parlato dei primi death, di come abbiano più o meno inventato il genere death metal (da cui il nome, verrebbe da dire), dell’influenza dei possessed, blablabla. dopo essere emersi come capostipiti di un intero sottogenere, i death di chuck schuldiner si reinventano. o meglio, chuck schuldiner si reinventa, visto che delle formazioni precedenti non resta più nessuno. i nuovi reclutati invece sono un gruppo di musicisti mostruosi che rispondono ai nomi di paul masvidal (chitarra, cynic), sean reinert (batteria, cynic) e steve digiorgio (basso, 70% dei gruppi metal), due dei quali (masvidal e reinert) due anni dopo con i cynic registreranno uno dei 10 migliori dischi metal di sempre. altra storia. digiorgio da parte sua è uno dei nomi più conosciuti dell’universo metal: ha sempre suonato nei sadus, ha continuato coi death fino alla morte di chuck, ha suonato con testament, autopsy, dragonlord, james murphy, vintersorg, arch/matheos… ne ha fatte di cosine.

quello che succede in ‘human’ è che tutte le imperfezioni che rendevano i primi tre dischi dei death delle perle grezze vengono eliminate, la composizione si fa cerebrale e complessa, i testi prendono nuovi punti di vista, in poche parole i death crescono e prendono il volo. se oggi si parla di “technical death metal” o “progressive death metal” è indiscutibilmente grazie anche a questo disco che, nel 1991, introduce un’attenzione strumentale e compositiva inaudita fino a quel momento nel genere musicale più violento del pianeta, con tempi dispari, cambi di velocità e intrecci strumentali vorticosi. te lo puoi permettere quando sei uno dei migliori chitarristi metal in circolazione e metti su una band di mostri.
8 pezzi, 34 minuti e una manciata di secondi, tanto basta a schuldiner e soci per rivoltare le carte, 8 immagini perfettamente nitide di come la violenza sonora possa sposarsi con quella psichica e parlare di sofferenza psicologica invece che di zombie, serial killer e satana (nulla di male, intendiamoci, qui vogliamo tutti bene a satanello). la voce di schuldiner si fa anche lei più sofferente, un latrato più vicino ora a quello di tardy degli obituary (LA voce death metal.). 
il disco è registrato ai morrisound di tampa e il suono è esattamente quello: chitarre soffocanti, batteria con la giusta stanza e un mix sapientemente impastato che permette di godere delle finezze strumentali.

i brani più emblematici sono tre, ‘flattening of emotions’, ‘lack of comprehension’ e ‘cosmic sea’; la prima apre il disco con i fusti di reinert in crescendo (indescrivibile la sua prestazione su tutto il disco, groovy, tecnico, fantasioso, potentissimo) per poi spiccare il volo fra riff in tremolo, stop & go mozzafiato e fughe strumentali al fulmicotone. ‘lack of comprehension’ amplifica il lato emotivo contorcendosi tra chitarre iper-sature mentre ‘cosmic sea’ è uno strumentale che si mette in linea con certe cose che stavano facendo i conterranei atheist al tempo con dischi meravigliosi come ‘piece of time’ e ‘unquestionable presence’, un progressive death arioso e dai toni vagamente psichedelici, un momento bellissimo che non viene sprecato per inutili virtuosismi ma è più mirato a creare un’atmosfera aliena e distante.

il resto non è da meno, ‘human’ è da mandare giù tutto d’un fiato per poi rifarlo subito dopo. e ancora. e ancora. è una delle migliori prove del talento incredibile di chuck schuldiner, un musicista la cui fantasia e passione l’hanno portato prima ad essere tra i fondatori di un genere, poi a rinnovarsi mettendosi in gioco, infine a cercare ancora nuove strade poco prima di lasciarci troppo presto. 
cazzo devi fare? ah sì, lo so. schiaccio play ancora.