mercoledì 30 maggio 2012

storm corrosion




ovvietà: ce l'hanno fatto sudare 'sto disco. dai tempi del primo disco degli osi (per altro il migliore, veramente splendido, al contrario dell'ultimo, moscio e noioso "fire make thunder") steven wilson aveva espresso il desiderio di fare un disco con mikael åkerfeldt e sporadicamente le notizie di questo segretissimo progetto sono trapelate negli anni, fino a giungere ad una forma verso la metà del 2011. 8 anni. grazie, amici.

eccoci qui finalmente a parlare di "storm corrosion", primo parto della premiata coppia che deluderà probabilmente un sacco di gente. questo perché chiunque si aspettasse un disco in mezzo tra il metallo opeth e gli ultimi porcupine tree aveva torto marcio e difficilmente manderà giù un disco come questo.
loro hanno detto che sarebbe stato diverso, che sarebbe stato un disco tributo a tutti quei dischi occulti tra la fine dei '60 e inizio '70 che tanto piacciono a entrambo i musici (a me no, neanche un po').

non si può dar torto a queste dichiarazioni. indubbiamente si sentono gli effetti delle ultime produzioni dei due, dal settantianerrimo "heritage" degli opeth all'immenso "grace for drowning" di wilson, ma non c'è dubbio che il nucleo compositivo creato dai due abbia intrapreso un percorso diverso dal semplice åkerfeldt+wilson. si è creato un vero e proprio åkerson, un mostro a due teste, 3 mellotron e 12437 vinili. circa.
la ripartizione degli strumenti è netta: åkerfeldt si occupa di tutte le chitarre (quasi esclusivamente acustiche), wilson di tutte le tastiere analogiche mentre le voci vengono in teoria spartite tra i due, anche se in realtà quasi tutte le lead sono ad opera di wilson.

detto tutto questo, la musica sta esattamente dove ve l'aspettereste a questo punto: se conoscete comus, forest, camel, spring e compagnia bella non farete fatica ad apprezzare questo gioiellino di psichedelia acustica fortemente oscura e malefica.
sei pezzi per quasi trequartidora di musica, dalle wilsonissime armonizzazioni di drag ropes alla lunga apologia del mellotron ljudet innan (vicina per feeling ad alcune cose dei no-man di "flowermouth"), passando per la pulsazione tesa di hag, l'occhiolino ai comus in happy e le aperture genesisiane di lock howl è tutto un bellissimo gioco di rimandi che si dilegua nell'atmoserfa e alla fine lascia una sensazione di inquieta pace molto particolare. senza parlare poi della title-track, adagiata su un tappeto ambientale che sogna e fa sognare per 10 minuti interi.

in conclusione, esperimento decisamente riuscito. non parliamo di un capolavoro, è comunque un quasi-tributo con pregi e difetti del caso (l'atmosfera bellissima non è certo adatta a tutte le situazioni e può stancare) che però mostra una mano compositiva sapiente ed estremamente nerd.
i due protagonisti non si pronunciano su un'eventuale prosecuzione del progetto, per ora non ce ne frega molto, "storm corrosion" ha tempo di tenerci compagnia per un po'.

venerdì 18 maggio 2012

metallica, european black album tour, stadio friuli, udine, 13-05-12




ci sono cose che per concetto non si possono perdere. i metallica che fanno tutto il black album (al contrario) dal vivo è una di quelle cose.
così, baldi e giovini, ci si reca in quel di udine per assistere all'evento nello stadio di casa, con relative 4 ore di trasferta.
ne è valsa la pena? sì. cazzo sì.

l'ingresso non è dei migliori: sul palco c'è un gruppo con un suono pessimo e un cantante osceno che suona lo stesso riff per 40 minuti. poi a un certo punto realizzo che sono i machine head. cristo che schifo i machine head.

alle nove (e qualcosa, non siamo pignoli) si spengono le luci e "it's a long way to the top" degli acdc inizia l'intro dell'intro. si prosegue con "the ecstasy of gold", l'effettiva intro storica, che deflagra in breve tempo in "hit the lights". il suono c'è, la forma pure, lo spettacolo manco a parlarne: il palco è quello del tour originale, con il mitico pit a diamante sotto il palco e le lunghissime ali laterali che danno modo al gruppo di muoversi continuamente sull'enorme superficie.

la prima parte dello show sbriga le formalità: master of puppets, for whom the bell tolls e fuel, affiancate dalla pessima scelta di hell and back, outtake di death magnetic contenuta sul poco utile ep "beyond magnetic". hetfield rivela una forma vocale che non lo lascerà per tutto lo show, hammett fa le solite cappelle qua e là ma funziona, trujillo è la scimmia più groovosa di sempre mentre ulrich... beh, è ulrich. suonare bene è un'altra cosa ma lui è il batterista dei metallica e i metallica senza ulrich sono una blasfemia che mi fa tremare nel profondo.

poi arriva il momento: un corto documentario introduce bene la seconda parte dello show, in cui i quattro ci ricordano quanto è fico il black album (anche al contrario). quello che si apre con enter sandman, no? no. stasera si apre con the struggle within. perché per tutto il tour loro suonano effettivamente il black album ma al contrario. il perché è stato evidente quando lo show prima dei bis si è concluso con sad but true ed enter sandman. in mezzo è stato bellissimo: vedere the god that failed, of wolf and man e through the never dal vivo non si dimentica in poco tempo. come non è facile dimenticarsi di una unforgiven cantata benissimo da james che sul palco sembra un ragazzino di 50 anni (le rughe le ha, però ha anche il giubbino di jeans smanicato pieno di toppe metallare anni 80).

in chiusura il gruppo risale per due bis: battery come al solito viaggia ben più veloce dell'originale e come al solito prova duramente il "povero" lars, il quale riesce a dare il peggio di sé con una prestazione pietosa sulla seguente one, che però beneficia di un laser show bellissimo oltre che della lunga intro a fiamme, esplosioni e fuochi d'artificio.
conclude il concerto l'ovvia seek and destroy che risucchia le ultime energie rimaste al pubblico (più sloveno che italiano, mi si fa notare. essendo in italia, anche questo è al contrario).

sarà banale dirlo ma i metallica dal vivo sono una garanzia: la tecnica non sarà sempre eccelsa ma il divertimento non manca mai e il volume nemmeno.
e così ci si avvia al lungo ritorno. perché all'andata abbiamo fatto una strada, ora dobbiamo rifarla.
al contrario.

setlist:

hit the lights
master of puppets
fuel
for whom the bell tolls
hell and back

black album (al contrario):
the struggle within
my friend of misery
the god that failed
of wolf and man
nothing else matters
through the never
don't tread on me
wherever i may roam
the unforgiven
holier than thou
sad but true
enter sandman

encore:
battery
one
seek and destroy

steven wilson, grace for drowning tour, alcatraz, 10-05-12




non è difficile inquadrare un personaggio come steven wilson. dopo anni passati nella culla del culto, sia coi porcupine tree che coi no-man (solo per dirne due), si è ritrovato negli ultimi anni ad essere uno dei nuovi guru del rock progressivo e/o psichedelico, arrivando ad essere chiamato da robert fripp in persona per curare i mix delle nuove ristampe dei king crimson.
oggi, a 45 anni, wilson si libera momentaneamente dei legami coi suoi gruppi per portare dal vivo i suoi due dischi solisti, il buon "insurgentes" e soprattutto l'incredibile "grace for drowning", autentico capolavoro wilsoniano in equilibrio tra tradizione e futuro.
il concerto che ne è conseguito è stato per il sottoscritto un'esperienza incredibile.

già un'ora prima dell'inizio un velo copre in trasparenza il palco e sopra vengono proiettate le lente e bellissime immagini di lasse hoile che accompagneranno tutta l'esibizione. anche quando il gruppo sale, un componente alla volta a dar vita allo scheletro di "no twilight within the courts of he sun", il velo non scende e non lo farà per i primi 3 pezzi, lasciando intravedere i musicisti dietro di esso attraverso le proiezioni.
fin da subito l'impianto quadrifonico fa sentire il suo effetto con un suono pieno che avvolge da tutte le direzioni e lascia liberi di apprezzare la miriade di sfumature e particolari che arricchiscono pezzi come "deform to form a star", "remainder the black dog" o "abandoner" o l'inedita e lunga "luminol" che sarà sul prossimo disco.

la band scelta è tecnicamente impressionante, a partire dallo strepitoso pianista/tastierista adam holzman passando per nick beggs che tra basso e stick dimostra una tecnica perfetta che non dimentica mai l'impatto ed il gusto; resta un po' in disparte niko tsonev alla chitarra mentre l'apporto di theo travis ai fiati è fondamentale per la resa complessiva della band: la sua classe è conosciuta a livello mondiale ed anche in questo concerto non si è smentito. qualche dubbio invece sulla scelta di marco minnemann alla batteria: tecnica eccelsa ma gusto e stile sono un'altra cosa ed il paragone con gavin harrison è impietoso.
in tutto questo abbiamo wilson che sembra molto più a suo agio sul palco di quanto non lo si sia mai visto: ride, scherza e dirige la band con naturalezza e si alterna tra voce, chitarre, mellotron ed effettistica varia riuscendo sempre a tenere in mano uno show complesso e assai difficile da gestire.

tanto per citare un'altra canzone, l'ultima canzone prima del bis è stata "raider II", mostro di 23 minuti per il cui inizio steven chiede silenzio al pubblico e per una volta gli italiani non si dimostrano un branco di capre ignoranti, restando effettivamente muti di fronte allo splendore di un pezzo che non può lasciare indifferenti.

fine, applausi, bis, applausi, presentazioni, applausi. e ancora applausi.
marco minnemann ci tiene a farci sapere in italiano: "e adesso mi tiro una bella sega". fai pure, io sono a posto per qualche anno.

setlist:

no twilight within the courts of the sun
index
deform to form a star
sectarian
postcard
remainder the black dog
harmony korine
abandoner
insurgentes
luminol
no part of me
raider II

encore:
get all you deserve