domenica 10 maggio 2020

rush, 'presto'


se esiste un vero e proprio “disco di passaggio” nella carriera dei rush, sicuramente questo è ‘presto’: dopo gli eccessi di produzione dei due dischi precedenti, i tre canadesi decidono di tornare i loro strumenti e scrivere canzoni rock, limitando il più possibile l’uso delle tastiere. un vero e proprio cambio di rotta dopo i quattro dischi precedenti, si apre una nuova fase per un gruppo che sembra non volerne sapere di mollare il colpo. e non abbiamo ancora visto niente.

fin dalle prime note di ‘show don’t tell’ è evidente il grande ritorno della chitarra di lifeson in primo piano, con un suono scevro da effetti, corposo e pieno. allo stesso modo il basso di geddy riprende vita e ricomincia a tessere le sue incredibili trame ritmiche attorno all’ossatura di peart, il quale non rinuncia alle percussioni elettroniche ma le usa molto più come sampler che non per usare suoni sintetici stile simmons, concentrandosi molto di più sull’impatto e il groove della batteria acustica.
inoltre la voce rinuncia definitivamente agli acuti striduli e si adagia su tonalità più comode che danno modo a lee di essere molto più espressivo che in passato.
le tastiere vengono lasciate indietro anche se non del tutto, facendo da sostegno in vari momenti, in particolare in ‘chain lightning’.
ancora una volta si decide di cambiare produttore, optando per rupert hine.

il risultato è un disco dal suono molto più rock dei precedenti, con toni spigolosi e un approccio molto più semplice e live.
a mancare questa volta sono un pochino le canzoni, non c’è niente di brutto in ‘presto’ ma pezzi come ‘war paint’, ‘anagram’ o la stessa ‘presto’ mancano un po’ di mordente e incisività, soprattutto se paragonati alle canzoni davvero riuscite: ‘show don’t tell’ è un inizio fulminante con le sue sincopi schizoidi, ‘the pass’ mostra un lato morbido e intenso del gruppo, appoggiandosi continuamente al basso pulsante per crescere in un bel ritornello, ‘scars’ lascia esterrefatti per il lavoro ritmico (ricordando un po’ i king crimson di ‘three of a perfect pair’) mentre ‘chain lightning’ è un ultimo sprazzo di rush anni 80, più riuscito di certi pezzi di ‘hold your fire’.
stupisce la chiusura con ‘available light’, un brano che osa addirittura un pianoforte nella strofa per aprirsi poi in un bel ritornello dai toni tristi e dimessi.

liricamente il disco risulta un po’ sfilacciato, per quanto i testi presi singolarmente siano tutti molto belli, in particolare la splendida dedica di ‘the pass’, manca però un’evidente linea che colleghi le varie canzoni.
‘presto’ è un bel disco fatto di buone canzoni, semplicemente non tutte sono a livello e questa poca compattezza lo rende poco incisivo, comunque da riscoprire.

domenica 3 maggio 2020

rush, 'a show of hands'


il live della terza fase ha dei grossi pregi ma anche dei difetti non trascurabili.
il pregio principale è la scaletta: di tutti i live pubblicati anche successivamente, questo è l’unico che contenga praticamente un best of degli anni 80 dei rush, molti di questi pezzi non verranno più suonati o comunque non tutti insieme come succede qui. un altro pregio è l’ottima forma del gruppo ma questa non è certo né una novità, né una sorpresa.
quello che lascia un po’ perplessi è la resa di alcuni brani in sede live, soprattutto quelli dai dischi sovraprodotti con orchestra e quant’altro: ‘marathon’, ‘manhattan project’, ‘mission’ o ‘time stand still’ si fanno apprezzare per l’approccio live ma mancano di tutti quei particolari che le riempivano in studio; è interessante ascoltarle così ma alla fine si vorrà tornare alle versioni in studio.

discorso diverso invece per pezzi (un po’) più diretti come ‘subdivisions’, ‘turn the page’, ‘distant early warning’ o ‘mystic rhythms’, tutte rese in maniera spettacolare. l’unica concessione al passato è ‘closer to the heart’, anche se durante il tour la band suonava molti più pezzi vecchi (alcuni presenti nella versione video), mentre l’assolo di peart, qui battezzato ‘the rhythm method’, fa apprezzare ancora una volta l’evoluzione straordinaria di questo musicista che ora incorpora l’elettronica nella sua composizione, producendosi in melodie e suoni bizzarri in mezzo al maelstrom di batteria.
trattandosi di canzoni molto più rigide rispetto al passato, il live manca di momenti più liberi e naturali e risulta ogni tanto un po' troppo freddo e calcolato.

‘a show of hands’ non è il miglior live dei rush né un buon punto di partenza ma se siete fan sicuramente lo conoscete a memoria come lo conosco io. è una buona rappresentazione di un periodo particolare per il gruppo e come tale va preso, coi suoi pro e contro.