mercoledì 30 marzo 2022

tears for fears, 'the tipping point'


aspettarsi un capolavoro dai tears for fears nel 2022 sarebbe ingiusto nei confronti del duo inglese, la loro rivoluzione l’hanno fatta ormai una quarantina di anni fa con un disco fondamentale per tutto il pop (‘the hurting’) e un ottimo seguito (‘big chair’), poi la mediocrità ha soffocato ‘seeds of love’ e del resto non ne stiamo neanche a parlare.

dopo 17 anni di inattività discografica, roland orzabal e curt smith si ritrovano per scrivere musica assieme, ricongiunti anche dalla tragica scomparsa della moglie di orzabal a cui sono dedicati molti brani del disco. gestazione lunga e complessa quella del nuovo lavoro, le cui idee iniziali arrivano dal 2013, quando la universal chiese ai tears for fears di fare un disco pieno di ospiti giovani ma le sessioni vennero abbandonate per mancanza di interesse da parte di… più o meno tutti, pare.


‘the tipping point’ non sconvolge né inventa nulla ma si pone a testa alta come il disco più riuscito gruppo proprio da ‘songs from the big chair’; non è un disco perfetto, ci sono un po’ di smielate di troppo nella parte centrale ma quando orzabal e smith centrano l’obiettivo ne vengono fuori brani grandiosi, assolutamente degni di stare nel canzoniere dei due.

è il caso ad esempio dei due brani iniziali, ‘no small thing’ e ‘the tipping point’. la prima stupisce con un inizio acustico da johnny cash per poi inerpicarsi per un crescendo travolgente mentre la seconda pare voler insegnare a tutti quelli che hanno provato a copiare ‘everybody wants to rule the world’ come si fa a scrivere un pezzo pop: groove trascinante, arrangiamento creativo quanto basta e, soprattutto, un ritornello che non abbandonerà il vostro cervello per parecchi giorni dopo un solo ascolto.

belle anche ‘break the man’ di smith, più pop del pop stesso, e la tamarr(issim)a ‘my demons’, un altro 6/8 cavalcante con un testo che lascia piuttosto perplessi ma va bene così.

tra le ballate si fanno notare ‘rivers of mercy’ e ‘please be happy’ per le loro belle idee melodiche squisitamente inglesi, il tipo di canzoni per cui lo steven wilson degli ultimi 20 anni pagherebbe oro (e infatti si è espresso con enorme entusiasmo riguardo il disco).


un lavoro di mestiere? sì, ma da chi il mestiere ha già abbondantemente dimostrato di saperlo fare superlativamente. rispetto al triste ‘everybody loves a happy ending’ qui c’è un’ispirazione più sincera e anche più incisiva, è un disco dalla produzione stellare che però si ciba di soluzioni tutto sommato semplici e sempre funzionali alla carrellata di splendide melodie scritte dal duo. unica grande pecca del lavoro di produzione, tanto per cambiare, è il solito orrendo mastering super compresso che toglie vitalità alle dinamiche dei pezzi (una ballata come 'long, long, long time' ha una media di 7,4 lufs, chi sa cosa vuol dire avrà già sbuzzato gli occhi).

non c’è da strapparsi i capelli né da gridare al miracolo ma ‘the tipping point’ è il miglior disco dei tears for fears che potessimo aspettarci nei nuovi anni ’20 e probabilmente il loro miglior lavoro da tempi di 'songs from the big chair'.

se vi piace il gruppo, farete molta fatica a farne a meno per un bel po’.