martedì 8 marzo 2016

motorpsycho, 'here be monsters'



il pianeta motorpsycho di stare fermo non ne ha mai voluto sapere. a ben vedere, il periodo in cui il trio si è mosso di meno è stato proprio quello appena passato, inaugurato da ‘little lucid moments’ fino a ‘behind the sun’ del 2014, in cui l’aspetto più suonato del gruppo è stato esplorato in ogni modo possibile. ‘here be monsters’ arriva e non si capisce bene se sia la chiusura di quel capitolo o l’inizio di uno nuovo, di sicuro è qualcosa di diverso, anche se non completamente. 
quello che rimane fisso è proprio quella fisicità data dagli strumenti live, ripresi in maniera impeccabile in un mix (ad opera di thomas henriksen che si occupa anche di tutte le tastiere)
apparentemente semplice che risulta veramente evoluzione dei suoni dei primi ’70, sostenuto da un mastering eccellente che ne fa risaltare ogni sfumatura dinamica e di colore (consigliato il pacchetto in vendita vinile+cd a 15 euri QUI). 

quello che però fa di nuovo la differenza, finalmente, sono le canzoni. infatti la critica che si può muovere al trio negli ultimi anni è che abbiano sì sfruttato in ogni modo il loro suono ma questo a volte è avvenuto a scapito della scrittura e della fruibilità dei pezzi. anche nei capitoli migliori infatti (‘still life with eggplant' su tutti ma anche ‘the death defying unicorn’ o ‘heavy metal fruit’) ogni tanto si perdeva il filo delle canzoni, dilungate in infinite jam che confondevano un po’ il disegno generale. nel 2016 questo non succede, le canzoni di ‘monsters’ sono perfettamente a fuoco ed ognuna di loro ha un carattere individuale difficilmente confondibile con quello delle altre, ognuna è una storia a sé ma messe tutte in fila restituiscono un disegno preciso e definito, pur nei suoi contorni sfocati. da ricordare che i brani sono stati composti insieme a ståle storløkken, quindi concepiti con già le tastiere, ma registrati poi con henriksen allo strumento per altri impegni di storløkken.
perla assoluta del disco è ‘running with scissors’, uno strumentale trainato da un tema di flauto traverso, contrappuntato dal basso ed armonizzato dalla chitarra in maniera sublime, mentre la batteria morbida del sempre incredibile kapstad marca i continui ma sottili cambi di tempo del brano. un pezzo magistrale che ricorda le calde melodie west coast già recuperate anni or sono nel bellissimo ‘let them eat cake’, sonorità che per altro si fanno sentire decise anche nella pinkfloydiana ‘lacuna sunrise’, un lento crescendo che ammalia nella sua bellezza cristallina.
grandiosa la gestione di un meccanico 7/8 in ‘i.m.s.’, il groove di kapstad con le sue infinite variazioni traina tutta la canzone più in linea col recente passato del gruppo per poi buttarsi in pieno nei tempi andati con ’spin, spin, spin’, cover del brano d’apertura del secondo disco degli americani h.p. lovecraft del ’68, ben riuscita e ottimo defaticamento prima del gran finale che già sta facendo sbavare i progster di mezzo mondo, ovvero l’epica ‘big black dog’. 

i suoi quasi 20 minuti meritano un paio di righe a parte: negli ultimi 20 anni troppo spesso è stata vera l’equazione prog+suite=merda; i dream theater sono maestri in questo ma in generale capita sempre più di rado di sentire un brano più lungo di 10 minuti che riesca a mantenere l’interesse dell’ascoltatore, basti pensare alla valangata di ciarpame datoci in pasto dai flower kings e compagnia sveziana. ‘big black dog’ riesce ad evolversi lentamente, aggiungendo poco alla volta fino a momenti di pienezza che quasi stordiscono me senza mai dimenticarsi la melodia, tanto che la delicata linea dell’introduzione viene recuperata nel mezzo del casino fatta dal mellotron e ricalcata dalla voce, mentre tutto il resto si è spostato di tonalità. espedienti che mostrano le capacità musicali ormai indiscutibili (da un bel pezzo…) dei tre norvegesi e che permettono al brano di estendersi per tutta la sua durata senza mai calare di intensità.

che altro dire, per mio gusto siamo di fronte al miglior disco dei motorpsycho da ‘trust us’ a oggi, sicuramente il più compatto, focalizzato, meglio scritto e più riuscito, senza filler né momenti ‘generici’, prodotto in maniera superba (dal solo bent sæther) ed esaltato perfettamente da mix e mastering magistrali. non ho assolutamente nulla di cui lamentarmi, sono quasi deluso.