giovedì 17 ottobre 2013

nanodischi #8: settembre/ottobre



e dopo una lunga pausa, per motivi chenonciavevovoglia, ecco tornare i nanodischi per voi. a breve potrei ricominciare anche a scrivere davvero, chissà. ho lì in fila pronti pronti i katatonia, i carcass, i pearl jam e tanta altra bella roba, dovrei trovare tempo e voglia di parlarvene. magari succederà. se no, ancora nanodischi.

toto - isolation

per anni ho ignorato tutta quella parte di carriera dei toto senza bobby kimball alla voce. questo è il periodo in cui per questo motivo mi sento più stronzo del solito. in particolare mi sono innamorato follemente di isolation, probabilmente perché non è per nulla tamarro. frederiksen alla voce va su e giù come je pare e regala il proverbiale tocco in più a pezzi da mille come carmen, angel don't cry e soprattutto la grandiosa lion. vivaviva i toto.

devin townsend project - the retinal circus

non sembra aver preso una gran piega ultimamente devin. dopo l'inutilità sciapa e buttata lì di epicloud, torna sul mercato con un doppio live sul quale si potrebbe parlare per ore. non lo farò, mi limiterò ad esporvi il mio punto di vista: una scaletta di 25 pezzi che non ha neanche un pezzo di terria ed uno solo di ocean machine è una presa per il culo. se a questo aggiungete ben 5 pezzi da epicloud, 3 da ziltoid… capite che il tutto molto probabilmente rende meglio su video che su cd. il suono è ottimo e l'utilizzo di un coro vero rende un po' più realistico il live, di solito infarcito di basi. pessima la ripresa dei pezzi degli strapping young lad, un insulto al loro valore originale. no no.

metallica - through the never

e a proposito di live, c'è chi spacca culi sempre e comunque. se pensate che i metallica non siano tra questi, potete cambiare blog anche adesso. through the never è GIGANTESCO, la scaletta è stupenda e il tutto è suonato addirittura bene (non ci è ovviamente dato sapere quanto sia stato ritoccato il prodotto). se lo mettete in macchina potreste non toglierlo mai più.

rush - vapor trails remixed

erano anni che i tre canadesi parlavano di remixare vapor trails ed oggi l'hanno finalmente fatto. quando il disco è uscito nel 2002 anch'io ero rimasto stranito dal suono particolarmente sporco e crudo che aveva l'originale. inoltre ho sempre pensato che il mastering fosse stato fatto in modo un po' troppo audace e quei clip digitali davano fastidio in più punti. qui però il lavoro è stato radicale ed il disco ha letteralmente cambiato faccia, ripulito al limite del troppo, nonostante il nuovo suono scintillante faccia risaltare molto meglio le singole parti dei tre. a voi la decisione tra le due versioni, io per ora resto con quella originale.

decemberists - long live the king

tra tutta la roba che hanno fatto questi alcolizzati dell'oregon, ultimamente son tornato ad ascoltare a ruota i loro primi dischi. per questo ora vi parlerò del loro ultimo ep prima dell'attuale stato di ibernazione. 
long live the king è abbastanza trascurabile nel suo insieme, non aggiunge nulla di particolare alla produzione della combriccola. contiene però al suo interno quelle che sono a mio parere due delle loro migliori composizioni in assoluto: e.watson, con i suoi richiami piuttosto forti alla tradizione west coast, da csny e dintorni per intenderci, e burying davy, dall'andatura sbilenca e marinaresca, solcata da chitarre straziate. procuratevelo anche solo per queste due canzoni. (sentitele dal link in fondo)

arctic monkeys - am

il disco prima degli arcti monkeys era unammèrda. lento, molle, privo di ispirazione o guizzi particolari e soprattutto privo di canzoni. oggi gli inglesi ci riprovano e riescono a riprendere il timone con mano piuttosto decisa. purtroppo perdono moltissimo in inglesaggine (a partire da un accento ripulito e quasi fighetto per arrivare ai testi) ma ritrovano almeno in parte il tiro ritmico perduto per strada e riescono ad azzeccare una buona serie di ritornelli divertenti retti da bei riff desertici che tanto devono ai qotsa.

blackfield - iv

questo disco è veramente una palla al cazzo. ci tenevo a farvelo sapere.

neil young (& pearl jam) - mirror ball

per concludere, altro disco riscoperto. collaborazione del '95 tra il veterano neil young ed i giovinciuelli pearl jam, mirror ball è uno di quei dischi che ti aprono in due anche solo col loro suono. sporco ma morbido, pieno ma a tratti quasi etereo, caldissimo e valvolare in ogni sua sfumatura. a questo aggiungete canzoni pazzesche come act of love, i'm the ocean o downtown ed otterrete uno dei dischi "semplicemente rock" più puri e genuini mai sentiti. un disco che va consumato.

neil young (& pearl jam) - mirror ball: http://grooveshark.com/#!/album/Mirror+Ball/147789

mercoledì 9 ottobre 2013

fates warning, "darkness in a different light"



vi ricordate quel tempo in cui alcuni gruppi metal avevano capito che potevano usare il cervello per fare la loro musica preferita? parliamo degli anni tra il 1986 e il '92-'93 circa e quei gruppi americani avrebbero cambiato la faccia del metal per sempre. 
la triade che viene sempre (e giustamente) citata in questi casi è quella formata da queensryche, dream theater e fates warning, anche se a mio parere più che i dream andrebbero ricordati gruppi come i grandiosi crimson glory o più "semplicemente" i sempiterni savatage del capolavoro gutter ballet, se non addirittura i vicious rumors di dischi come welcome to the ball.
ma non divaghiamo troppo. ryche, dream e fates warning si diceva. vediamo un attimo dove sono oggi questi gruppi:

  • i queensryche si sono resi protagonisti di una delle più grosse pagliacciate mai viste nel metal, la cacciata di geoff, le due formazioni che si contendono il nome, todd la torre che ci dimostra che sì, la clonazione umana è possibile, dischi inutili e riciclati come "queensryche" o "frequency unknown", roba che anche a chiamarla "disco" bisogna sforzarsi.
  • i dream theater sono quasi 10 anni che non riescono a fare un disco decente e dopo l'analità di black clouds si son gettati anche loro nella buffonata con la dipartita di portnoy, l'ingresso di mangini e un disco totalmente anonimo, per non parlare della nuova oscenità disneyana pubblicata proprio in questi giorni.
  • i fates warning spaccano il culo.

seriamente. come sempre: poca scena, tanta sostanza e tanta voglia di non rifare mai lo stesso album, anche se questo drakness è probabilmente il loro disco più revival di sempre.
sì perché nel 2013, dopo l'esperienza osi che ci ha regalato due dischi immensi (i primi due) e dopo il buon progetto arch/matheos, in verità una reunion dei primi fates warning, jim matheos torna a tuffarsi in pieno nel metallo e lo fa come al solito con un'intelligenza davvero invidiabile.

il punto di partenza è da ricercare in dischi come perfect symmetry, no exit o il capolavoro parallels, quelli che ancora erano indiscutibilmente metal. oggi la band, con il ritrovato frank aresti alla seconda chitarra e bobby jarzombek a sostituire il defezionario mark zonder, rilegge proprio quelle sonorità alla luce di un suono moderno e algido e dell'esperienza fatta negli anni, deflagrando in partenza con una "one thousand fires" che non lascia alcun dubbio sullo stato di forma del gruppo.
ray alder è invecchiato e gli acuti di eleventh hour o ivory gates sono una memoria lontana ma quello che è rimasto è il suo inconfondibile gusto melodico e il pathos con cui interpreta ogni canzone (e l'intermezzo falling è lì a dimostrare tutto questo). jarzombek è meno "ingegnere" di zonder ma decisamente più pesante come tocco e questo disco è perfetto per lui e il suo doppio pedale mai domo.

a mio parere i momenti di massima intensità si trovano nel singolo firefly, dal ritornello catchy che riporta ad alcuni momenti di fwx, nella bellissima o chloroform, attraversata da una sottile linea lisergica che profuma di osi lontano un miglio e soprattutto in lighthouse, apice del disco con la sua psichedelia tesa come una corda e pronta e trascinare nell'oscurità di un pezzo scritto in maniera incredibile ed arrangiato in modo stupendo. (da notare la totale assenza di tastiere e synth in tutto il disco, cosa che non succedeva da inside out probabilmente)

ci sono poi i ma, che ovviamente arrivano puntuali.
il più grosso e clamoroso è il plagio inaccettabile che si svolge nell'intro di into the black, palesemente rubata di forza da the drapery falls degli opeth. davvero non capisco il perché di questa scelta, mi ha fatto incazzare non poco, nonostante il pezzo si sviluppi poi in maniera eccezionale e risolva in un altro ritornello strappamutande da applausi. vabè.
simile è la critica che viene da fare a i am, a tratti davvero troppo troppo tool per passare inosservata.
e già che siam qui a cagare il cazzo, diciamolo: and yet it moves, che chiude il disco coi suoi 14 minuti, non è still remains. nemmeno lontanamente. non che sia un brutto pezzo ma, come anche wish su fwx, fa pensare ai tempi in cui i dischi dei fates warning si chiudevano con perle assolute come the road goes on, part XII, ivory gate of dreams o la già citata still remains. parliamo di capolavori veri e propri con cui questa nuova arrivata fa un po' fatica a confrontarsi e alla fine sa un po' di paraculata: è il pezzo lungo alla fine del disco.

ma tutto ciò non intacca assolutamente il valore di questo lavoro. e non è valore dovuto solo al fatto che loro sono gli unici ad aver mantenuto la dignità e l'integrità. c'è indubbiamente anche quello ma di base stiamo parlando di un discone che può insegnare a frotte di ragazzini come si fa a suonare prog metal moderno, intelligente ed inaspettatamente orecchiabile, e scusate se è poco per un gruppo di 50enni con più di 30 anni di carriera alle spalle.
forse oltre ai ragazzini di cui sopra, anche i colleghi di un tempo dovrebbero chiedere consiglio a matheos e amici per i loro prossimi dischi, si sa mai che una vaga parvenza di dignità e onestà la si riesca a recuperare.