giovedì 11 giugno 2020

cynic, 'focus'


la storia dei cynic è la storia di paul masvidal e sean reinert, amici fin dall’adolescenza, compagni di vita e menti musicali illuminate che hanno regalato al metal (e non solo) uno dei momenti più alti di tutta la sua storia.
‘focus’ arriva nel 1993 ma il gruppo è già attivo discograficamente dall’88, con una serie di demo che contenevano già tutti gli elementi (e parte dei pezzi) che avrebbero reso questo disco inarrivabile. perché così tanto tempo prima dell’esordio? semplice: tra il ’90 e il ’91 entrambi i musicisti erano stati “rapiti” da chuck schuldiner per ‘human’ e conseguente tour (disastroso: la band finì in crisi finanziaria e in inghilterra vennero sequestrati tutti gli strumenti per sei mesi). dopo questa esperienza, i due si dedicano anima e corpo al loro progetto con una formazione completata dal bassista sean malone (che sostituisce tony choy, passato agli atheist dopo la morte di roger patterson) e dal secondo chitarrista jason gobel (monstrosity, poi negli agghiaccianti gordian knot). viene anche coinvolto tale tony teegarden per il growl, bel timbro, perfetta contrapposizione; resta, per quanto ne so, un totale sconosciuto.

cos’ha di speciale ‘focus’? tutto. sul serio, non c’è niente in questo disco che sia fuori posto, di troppo o buttato lì. intanto proviamo a spiegare di cosa stiamo parlando: la base di partenza è il death metal, riff tremolo, doppia cassa, growl e velocità elevate sono il punto da cui si origina l’arte dei cynic ma tutto questo è pesantemente ibridato (tanta fusion e prog ma anche ombre elettroniche) e deformato in svariati modi. tanto per cominciare la voce è divisa a metà tra growl selvaggio (teegarden) e voci sintetiche melodiche (masvidal); questo crea un contrasto continuo che rende le linee molto più interessanti rispetto al disco death medio, oltre ad aggiungere strati di melodia sul maelstrom strumentale. 
poi, se vi aspettate l’attacco frontale degli obituary o dei morbid angel siete fuori strada, i riff dei cynic sono complessi, spesso su metriche dispari o composte, arrangiati per due chitarre (più alla maniera dei king crimson che degli iron maiden) e fanno largo uso di varie tecniche (e qui si vede la maestria di masvidal, che usa anche chitarra synth e midi) che li rendono molto più dinamici del solito chugga-chugga. la batteria di reinert è un fiume in piena, i suoi arrangiamenti contengono una varietà di idee incredibile, riesce inoltre ad essere fisico e groovy suonando partiture dai tempi stronzissimi e unendo i puntini tra i riff di chitarra, un batterista assolutamente unico. da notare anche l'uso di pad elettronici, derivati forse da neil peart, che aprono ulteriormente le possibilità timbriche.
se di solito nei dischi death il basso è o inudibile o completamente inutile, qui malone rivolta le carte, fraseggiando su e giù per il manico fretless e riuscendo sempre ad emergere dal mix con uno stile molto personale.
non mancano nemmeno i synth: pad, arpeggiatori, semplici suoni, tutti strumenti utilizzati per arricchire le tessiture sonore dell’album.
insomma, è un ulteriore salto avanti rispetto all'approccio già rivoluzionario di 'human', molto più legato al death propriamente detto.

e poi ci sono i pezzi. lontani dalla monotonia della maggiorparte delle produzioni del genere, sono otto scene eteree quanto nitide, otto capitoli di un unico racconto-non-racconto i cui testi affondano i denti nella filosofia, misticismo, meditazione e buddismo (tutti interessi di masvidal). no, non c’è ‘zombie ritual’, è proprio un’altra roba. del resto è un disco death che si apre con un crescendo di synth prima di accoglierci con la vocina filtrata e aliena di masvidal; ‘veil of maya’ può bastare come ascolto per cogliere i fondamenti della formula unica dei cynic: riff incessanti, batteria scatenata, le voci che si alternano e una stratificazione sonora estrema che lascia spazio a inaspettate oasi celestiali e luminose. il lavoro dei morrisound alle registrazioni e mix è impeccabile, ogni strumento ha il suo spazio ed ha modo di farsi sentire, senza mai perdere un insieme timbrico irripetibile.
non c’è alcun motivo per citare tutti i pezzi, questi 35 minuti vanno vissuti come un viaggio unico senza interruzioni. l’unica eccezione che mi sento di fare è per ‘textures’, strumentale arioso in cui le influenze fusion (attenzione a parlare di jazz, ce n’è ben poco) vengono prepotentemente a galla per dipingere uno scenario di grande respiro, grazie anche a un uso magistrale delle dinamiche. se ancora credete che il metal sia un genere grossolano da buzzurri questo album potrebbe essere il modo migliore per ricredervi.

i cynic con ‘focus’ sono entrati nella leggenda, il loro scioglimento poco dopo farà disperare i fan e le voci di una reunion si rincorreranno per anni e anni fino a quando, 14 inverni più tardi, il gruppo tornerà insieme dando finalmente la possibilità di vederli a chi non ha potuto al tempo. arriverà anche un secondo disco, il bellissimo ‘traced in air’, e pure un terzo (il mediocre e deludente ‘kindly bent to free us’) prima che masvidal e reinert facciano doppio outing, dichiarando la loro omosessualità e anche la fine della loro relazione, chiudendo di fatto la storia dei cynic. la morte di reinert il 24 gennaio 2020 ha colpito duro tutti quanti e ora il nome dei cynic riposa con lui ma ‘focus’ non ha alcuna intenzione di sparire. 
potrei andare avanti per ore a parlare di questo disco, è una pietra miliare che ha cambiato la vita a me come a miriadi di altri musicisti, mostrando la via per un metal estremo lontano dai cliché, fantasioso, personale, originale. artistico. è un album da ascoltare centinaia di volte, da scomporre in ogni sua parte e da amare per tutta la vita. 

(ps: io il video iutub lo metto ma ascoltare questo disco in pessimo mp3 è un crimine contro l'arte e l'umanità, sapevatelo.)