sabato 21 dicembre 2019

classifica distant zombie warning 2019


blablabla un altro anno blablabla sticazzi.
dischi. 



non poteva che andare così, lingua ignota vince tutto. kristin hayter mostra un controllo totale della materia musicale, dalla tecnica alla composizione, arrangiamento e creatività senza mai dimenticare la profonda emotività che muove la sua arte.
una delle cose che trovo più affascinanti di questo disco è come riesca ad utilizzare i linguaggi svicolandoli dalle loro funzioni caratteristiche: ci sono parti neoclassiche soffocanti e nere e momenti noise/metal che funzionano da rilascio, aprendo la tensione in uno sfogo liberatorio. è una lingua “totale” che può incorporare qualsiasi cosa nel suo discorso, come dimostrano gli accenni liturgici dell’est europa tra le sfuriate noise metal.
un’opera stupefacente, profonda, drammatica, spaventosa, immaginifica e tremendamente densa, imperdibile.




questi quattro ragazzini se ne sono usciti con un disco pazzesco che gioca con tutto ciò che è rock e lo rimescola con un linguaggio dalla spiccata personalità, un torrente di musica su cui si contorce la particolare voce di geordie greep. con un’età media di 20 anni, è lecito aspettarsi grandi cose da questi inglesi e il secondo disco è già annunciato per il 2020.



3. full of hell, ‘weeping choir’

se i black midi hanno fatto un frullato di rock, i full of hell hanno fatto un frullato di orrore sonoro. tutti i generi più marci, lerci e rumorosi vengono fatti a pezzi e rimessi insieme, grind, noise, black e death metal, drone, doom, sludge, tutto quello che fa schifo e rumore viene magistralmente riutilizzato dai full of hell nel loro miglior disco, una collezione di riff pazzeschi, un'aggressività fuori dal normale e la capacità di scrivere dei brani e non solo strati di rumore.




il grande merito di ‘braindrops’ è di riuscire a spostare il baricentro della musica dei quattro australiani a neanche un anno dalla pubblicazione dello strepitoso esordio. è tutto più cupo (a partire dai suoni) e decisamente più emotivo, necessita di più tempo per essere assimilato ma alla fine non solo non delude, riesce anche a stupire di nuovo.



5. girl band, ‘the talkies’
‘the talkies’ è il secondo disco degli irlandesi girl band ed è semplicemente stupendo, un album in cui ansia, paranoia e ossessione esplodono con suoni che stanno tra l’industrial più urticante, un rock (circa) chitarristico che di regole armoniche non ne vuole sapere neanche alla lontana, momenti post-punk e un fitto lavoro di manipolazione preso dall’elettronica, che pure si fa sentire con qualche cassa quasi techno/bigbeat qua e là. un disco lacerante come la voce di dara kiely.




o’malley e anderson riescono a tornare a livelli eccelsi con una prova cangiante, colorata e addirittura dinamica (entro certi limiti, s’intende). gli ospiti si fanno sentire e la registrazione magistrale di steve albini dona varie dimensioni aggiuntive all’ascolto. 




da quanto tempo non impazzivo per un bel disco metal, grazie blood incantation. c’è chi li ha definiti i nuovi morbid angel, di certo l’influenza non manca ma questi quattro esplorano più a fondo una vena psichedelica che a tratti prende il sopravvento, bellissimo anche grazie ad una fantastica produzione analogica che non appiattisce ma esalta le dinamiche dei brani.




ce n’è voluto di tempo per avere un bel disco di santana ma finalmente ce l’abbiamo fatta: ‘africa speaks’ è divertente, coeso e soprattutto suona vivo, al contrario di molti(ssimi) dischi che l’hanno preceduto. il tema africano riporta unità e ricerca e il risultato è fantastico.



9. claypool lennon delirium, ‘south of reality’

se il primo disco era divertente, questo ‘south of reality’ riesce a sviluppare un suono meglio impastato, meno lennon+claypool e più delirium per intenderci, nonostante ci siano momenti evidentemente frutto della penna dell’uno o dell’altro. ciò non toglie che ‘south of reality’ sia una figata di rock sghembo tra prog e psichedelia sessantiana.



10. drenge, ‘strange creatures’

questo disco dei drenge può essere messo o tolto nella storia della musica e non cambierà assolutamente niente. nonostante ciò, trovo che i tre giovani inglesi siano molto bravi nel bilanciare melodia e impatto, oltre al loro incorporare vari suoni che vanno dal rock americano dei primi ’90 al post-punk, new wave e pure dei momenti quasi britpop.


questi i dieci che ho deciso di premiare ma è stato un anno veramente saturo di bella roba: mdou moctar, chitarrista tuareg del niger, è uscito con ‘ilana (the creator)’, un disco bellissimo che mischia blues, psichedelia e suoni desertici; sempre in tema "etnico", 'derin derin' dei turchi baba zula è una meraviglia lisergico-timbrica (lo so, non vuol dire un cazzo), una bellissima collezione di quadretti sonori dagli arrangiamenti strambi. gli schammasch hanno prodotto un altro mastodonte di doom/black/dark ambient, ‘hearts of no light’, che almeno un ascolto lo merita tutto e, per restare in tema di mazzate, ‘planet loss’ degli wallowing è un muro di suono violentissimo e stupendo. e ancora botte col grandioso 'everything that dies someday comes back' ad opera dei the body con gli uniform, marciume noise-industriale con beat distorti, urla orrende e chitarre acide e maleducate. figata anche 'pollinator' dei cloud rat, una sorta di grind acido e corrosivo che attacca alla faccia tipo face hugger.
shabaka hutchings torna coi suoi the comet is coming con ben due dischi e un ep, tra i quali spicca il bellissimo ‘the afterlife’, là fuori tra jazz cosmico, elettronica e ritmiche tribali. a proposito di elettronica, l’avete sentito ‘ecstatic computation’ di caterina barbieri? fatelo perché è una goduria di suonini e arpeggiatori che vi coccolerà come facevano certi tangerine dream; e già che ci siete, date un ascolto anche a ‘utility’ di barker, un tizio che ha fatto un disco techno senza cassa. il risultato è una cosa molto morbida e luminosa che però non manca mai di avere un beat, molto bello.

è anche uscito il megacofanettone di woodstock che finalmente ci ha dato modo di godere dello spettacolare concerto dei creedence, assolutamente imperdibile (in particolare la cover di 'i put a spell on you' è da pelle d'oca), oltre al tanto bistrattato e per nulla brutto live dei grateful dead.
quindi parentesi nerd: coi 4 'dave's picks' usciti quest'anno è andata bene assai, l'unico pacco è stato un '79 ma almeno il primo dell'anno (vol.29) è un '77 da lacrime con un secondo set a dir poco esaltante. non posso pronunciarmi ancora sull'ultimo dell'anno perché i servizi postali hanno deciso che devo aspettare... ma è un '73 e ho pochi dubbi in merito, è sicuramente strepitoso.
per chiudere con live e ristampe, 'tuscaloosa' dagli archivi di neil young è una perla, suonato perfettamente da una band durata troppo poco.

e poi c’è prince. ovviamente non posso metterlo tra i dischi dell’anno perché non vale ma quest’anno ne abbiamo avuta di roba. il bellissimo ‘originals’ ha stupito e soddisfatto abbastanza ma il cofanetto di ‘1999’ è, permettetemi, una sega a tre mani, due non bastano. il remaster non l’ho neanche ascoltato e me ne frega molto poco ma i due cd di inediti dalla vault sono uno scrigno di tesori perduti con gemme incredibili su cui svettano almeno l’intensa take intera di ‘how come u don’t call me anymore?’ e la splendida ‘moonbeam levels’ (ma è tutta una festa). poi c’è lo strepitoso live audio, un documento fondamentale per capire la musica del nano in quel periodo, e pure quello video, dalla qualità non eccelsa ma comunque imperdibile.


le delusioni non sono state molte, penso ai magma che  non mi hanno convinto con ‘zess’, troppo orchestrale e poco magma, e agli ulver il cui ‘drone activity’ penso sia stato scritto in mezz’ora al massimo. non mi sono piaciuti i tanto osannati fontaines dc, che mi sembrano una tribute band dei clash, e i cattle decapitation, troppo prodotti, plasticosi e finti.
non ho nessuna voglia di parlare di nick cave.
sulla linea di confine tra il meh e l'orrore stanno gli opeth che si sbilanciano un po' di qua e un po' di là.
molto più interessanti le vere e proprie vaccate: i baroness vincono senza dubbio la palma di peggior disco dell’anno, solo perché non ho voglia di pensare alla merda di un decennio intero se no probabilmente sarebbero in top ten. è un disco vergognoso con canzoni demenziali, suonate malino, registrate col culo e con una produzione a dir poco ridicola, complimenti, di merda così non se ne sente tanta.
townsend si aggiudica il secondo posto con l’osceno ‘empath’, una caciottata fatta di patchwork orrendi e iperprodotti che annoiano per un’ora e un quarto senza andare mai in nessuna direzione.
bella schifezza anche il nuovo no-man, atteso per anni e deludente in tutto e per tutto: composizione approssimativa, melodie stanche, arrangiamenti scontati, ben poco da salvare.
citazione finale per l’insulsa presa in giro dei tool. non sto a dire altro, è come sparare sulla croce rossa.

bello, un sacco di roba interessante, una manciata di disconi e qualche stronzata di cui ridere, un buon anno. le premesse per il 2020 sono un nuovo black midi e soprattutto ‘no good to anyone’, ritorno dei today is the day anticipato dal devastante singolo, se mantiene le promesse non ci sarà molta gara ma staremo a vedere.