mercoledì 29 marzo 2023

enslaved, 'heimdal'

 

la discografia degli enslaved assomiglia sempre più a una vera e propria saga vichinga, ogni fan preferisce una divinità o un’altra ma di fatto i loro sedici album non conoscono realmente punti deboli, ognuno col suo specifico carattere è un capitolo di una lunga saga di cui speriamo di non vedere mai la fine.

già, perché per quanto qualcuno li accusi (ingiustamente) di aver perso smalto negli ultimi 10-15 anni, ‘heimdal’ è un altro disco fantastico, anche superiore al suo già ottimo predecessore ‘utgard’.


come sempre con i norvegesi, non assistiamo a uno sconvolgimento di rotta quanto più all’inserimento di nuovi elementi che portano una prospettiva lievemente diversa su un suono collaudato e unico. pochi elementi alla volta, sì, ma vedere tutta la strada che il gruppo ha fatto anche solo da ‘isa’, per non parlare dei primi album, è davvero impressionante.

oggi gli enslaved sono un gruppo professionale di musicisti di livello, grazie anche all’ingresso nel 2018 di iver sandøy, contemporaneamente il miglior batterista e cantante (clean) che la band abbia mai avuto nonché fonico e tastierista aggiuntivo, un jolly non da poco che in ‘heimdal’ ha un ruolo fondamentale, soprattutto per le sue doti vocali che lo rendono il perfetto contraltare del ringhio aspro di grutle kjellson.


non parliamo di un capolavoro, capiamoci, ci sono momenti che non convincono al 100%, come ad esempio ‘behind the mirror’ in apertura: i suoi arrangiamenti sfrenati e pomposi suonano più come una conclusione che un inizio e la struttura è poco efficace e meccanica. poco male, visto che subito dopo ‘congelia’ spazza via tutto, rivelandosi man mano come uno dei momenti più alti del disco. la sua furia black è inesauribile per tutti gli otto minuti di durata, il gioco di chitarre è una goduria, solcato dai synth e trainato da una batteria indomabile; l’apertura melodica nel finale vi innalzerà dritti fino al valhalla.

‘forest dweller’ vive di bei contrasti elettroacustici in un modo che può ricordare sia i green carnation che gli opeth (con tanto di mellotron e uno sbrocco di hammond) ma che è inequivocabilmente enslaved, specialmente nel riffing delle chitarre; ‘kingdom’ gioca con synth come si faceva su ‘utgard’ ma riesce ad integrarli molto meglio, facendoli interagire ritmicamente con le chitarre e dando al pezzo un carattere molto specifico. interessante anche ‘the eternal sea’, specialmente nell’introduzione spaziale e liquida, per quanto comunque la voce di sandøy si faccia poi protagonista di alcune linee melodiche davvero notevoli e la chitarra di bjørnson (come sempre autore di tutta la musica e dei testi) non manchi mai di infilare riff da scapoccio duro, più o meno come tutti i riff che animano la seguente ‘caravans to the outer worlds’, un altro dei picchi di ‘heimdal’. questo pezzo forse è il migliore nel riassumere il carattere del disco intero: un’introduzione effettistica lascia presto spazio a chitarre torrenziali che passano dal riffing serrato delle strofe, rafforzato da un hammond distorto, ad arpeggi aperti su cui si stagliano la voce e il blast beat di sandøy, il tutto unito da transizioni che tanto sanno di progressive prima di lasciare che il pezzo si spenga nello spazio da cui è nato, ricordando da vicino alcuni momenti dell’indimenticabile ‘vertebrae’ (un disco criminalmente sottovalutato).

si chiude col brano che dà il titolo all’album. all’inizio ‘heimdal’ sembra indecisa se suonare doom o king crimson e il risultato non è affatto sgradevole, grazie anche all’ottimo lavoro di synth di håkon vinje; poi tutto collassa e in generale il pezzo affronta problemi simili a ‘behind the mirror’, con una struttura che sembra più messa insieme che non scritta con intenzione: per quanto ogni singola parte sia bella non si avverte un reale flusso e ‘heimdal’ finisce col suonare un po’ troppo meccanica e anticlimatica, con un finale che si spegne nel nulla senza particolari sbalzi.


la matrice black metal del gruppo non era così evidente da ‘in times’, così come la coesione dell’album: sia ‘e’ che ‘utgard’ erano dischi molto più dinamici mentre ‘heimdal’ torna più saldamente al metal e i suoi brani si muovono in modi abbastanza simili.

i momenti entusiasmanti non mancano e quelli a vuoto non sono nulla di grave, ancora una volta gli enslaved aggiungono un capitolo alla loro saga, qualcuno lo amerà e qualcuno lo odierà ma la qualità della proposta dei norvegesi rimane sempre altissima.

viva heimdal, viva odino, viva gli enslaved.

venerdì 24 marzo 2023

fever ray, 'radical romantics'

 

avevamo lasciato karin dreijer nel 2017, dopo il bel ‘plunge’ e relativo tour con tanto di ottimo ‘live at troxy’ annesso. poi il covid, i lockdown, eccetera eccetera, non stiamo più a ripeterlo. quello che sembra sia successo in più a karin è una serie di ragionamenti su cosa sia un rapporto di coppia nei nuovi anni 20, cosa significhino il romanticismo e l’amore oggi.

questi pensieri stanno alla base di ‘radical romantics’, un disco che ogni fan del progetto fever ray amerà al primo ascolto per vari motivi.


primo motivo di entusiasmo è la presenza nei primi quattro brani di olof, fratello di karin e suo unico collega negli eccezionali the knife, uno dei migliori progetti elettronici degli ultimi 20 anni, sparito dalle scene nel 2013 dopo l’incredibile ‘shaking the habitual’. questi quattro pezzi suonano esattamente come li vorreste, coi suoni storti e dal carattere tribale a cui i fratelli dreijer ci hanno abituato ma con una spiccata sensibilità pop che riporta forse più a ‘deep cuts’ che non agli album successivi.

gli spazi e la tensione di ‘what they call us’, i profumi mistici speziati di peter gabriel di ‘shiver’, la percussività aggressiva (molto ‘plunge’) di ‘new utensils’ e le delizie melodico-paranoiche di ‘kandy’, una gemma pop punteggiata da un ewi deliziosamente appoggiato sul tempo, è come assistere a un’evoluzione/maturazione di tutto il passato di dreijer combinato in modi se non nuovi di certo ancora eccitanti e frizzanti.


altro motivo di festa è la collaborazione con un titano come trent reznor (e atticus ross) in ‘even it out’ e ‘north’, due pezzi per certi versi opposti ma accomunati dal gusto reznoriano (e atticus ross) per le distorsioni sottopelle e le ritmiche ossessive. nel primo pezzo dreijer minaccia di fare a pezzi un ragazzino per aver bullizzato suo figlio alle superiori, il tutto su una base urticante e martellante mentre ‘north’ è una dichiarazione d’amore su un tappeto ambientale che riporta la mente ai fasti di ‘the fragile’ e capolavori di reznor (ma non atticus ross) come ‘the great below’.

già che si parla di tappeti ambientali, coraggiosa la scelta di chiudere l’album con ‘bottom of the ocean’, sette minuti di soundscapes e vocalizzi ipnotici trasportati tra i flutti dal delay, un brano più sperimentale che rimanda tanto a ‘shaking the habitual’ quanto, curiosamente, a ‘i’d swear there was somebody here’ di david crosby.

per tutto l’album la vocalità di karin è molto naturale e fa un uso decisamente ridotto di effetti rispetto al passato, sottolineando il carattere profondamente umano dei testi: troverete poche deformazioni mostruose come in ‘silent shout’, ‘if i had a heart’ o ‘one hit’ ma potrete apprezzare ancora di più il carattere unico della voce dell’artista svedese.


restano episodi minori? no. cioè, restano episodi ma qui di minore c’è ben poco e questo è un altro dei motivi di entusiasmo. forse giusto ‘looking for a ghost’, più interessante da un punto di vista lirico che non musicale, perché ‘carbon dioxide’ (in collaborazione con vessel) è una bomba electro-techno-pop con melodie irresistibili mentre ‘tapping fingers’ coccola con un’oscurità metropolitana che riporta all’insuperabile esordio solista ‘fever ray’.


album denso, intenso e sincero, ‘radical romantics’ si pone all’istante molto in alto nel catalogo fever ray (e fa rinascere le speranze per una tanto desiderata reunion dei the knife), centrando una serie di canzoni che non conoscono momenti di stanca e mostrano karin dreijer nella sua maturità ma senza alcuna stanchezza, con ancora voglia di giocare coi suoni e marchiare tutto con la sua voce inimitabile.

lunedì 26 dicembre 2022

distant zombie warning 2022

 



eccoci all’immancabile riassumaggio (sì, è una parola bellissima) di fine anno. anno ricco di uscite ma con pochi sobbalzi, per quanto la sostanza non sia assolutamente mancata. ciancio alle bande, come sempre la top10 è in ordine a cazzo di cane perché le classifiche mi stanno sul cazzo, poi ci sono altri 56 dischi ascoltati, alcuni molto belli, alcuni molto brutti.




soul glo, ‘diaspora problems’


se dev’esserci per forza un vincitore, allora io vado con ‘diaspora problems’. i soul glo hanno fatto uno dei dischi più genuini, incazzati, aggressivi e violenti degli ultimi anni, una scheggia isterica in cui hardcore, post-hardcore, metal e il rap più lercio e cattivo si mischiano e vengono sparati in faccia a un volume esorbitante, con la pazzesca voce di pierce jordan sempre in primo piano a sputare parole a velocità supersoniche. un disco intelligente e creativo quanto violento e isterico, davvero una perla.


https://soulglophl.bandcamp.com/album/diaspora-problems





oren ambarchi, ‘ghosted’/‘shebang’


difficile scegliere tra ‘shebang’ e ‘ghosted’, per cui facciamo che questo è lo slot di oren ambarchi, il quale quest’anno ha messo a segno due colpi da maestro. il primo (‘ghosted’) è fatto di atmosfere nebbiose e lontane, un trio di chitarra-basso-batteria che a volte sembra una versione accelerata dei bohren, il secondo (‘shebang’) è un’incredibile costruzione per organico allargato in cui una decina di strumenti giocano su enormi cicli polirtmici dai mille colori, due dischi diversi ma evidentemente progettati dalla stessa persona, uno più bello dell’altro.


https://orenambarchi.bandcamp.com/album/ghosted

https://orenambarchi.bandcamp.com/album/shebang




chris bathgate, ‘the significance of peaches’


ho un debole per chris bathgate, lo ammetto candidamente, trovo la sua voce una delle più belle di tutto il panorama cantautoriale americano moderno. ho avuto paura quando ha annunciato un disco con l’organetto a sostituire la chitarra ma poi mi sono ritrovato ad ascoltare ‘peaches’ tutti i giorni e ad amarlo anche più del precedente ‘dizzy seas’ (mai quanto ‘salt year’ ma si sa, al cuore non si comanda). grandi spazi americani, arrangiamenti gustosi e una voce per cui morire, non si può chiedere di più.


https://store.chrisbathgate.org/album/the-significance-of-peaches




wiegedood, ‘there’s always blood at the end of the road’


è difficile trovare un solo elemento che rende questo disco incredibile, è l’insieme che lascia a bocca aperta. il trio belga riesce a pubblicare un disco che ha solide radici nel black metal ma sa sporcarsi di psichedelia, industrial e tendenze progressive mettendo il tutto al servizio di una scrittura cristallina e intoccabile. per dirla con altre parole, sono un pezzo più bello dell’altro e tutto cavalca nella stessa direzione, dalla scrittura al mix e master spintissimi, imperdibile.


https://www.youtube.com/watch?v=yIcxav3n3rw




the mars volta, ‘the mars volta’


dopo dieci anni di pausa torna uno dei migliori gruppi rock degli ultimi 20 e lo fa reinventandosi e vestendosi con un abito più pop che mai: canzoni da 3-4 minuti, melodia a palate, arrangiamenti maniacali e una qualità di scrittura altissima. sono i mars volta, non avrete mai dubbi durante l’ascolto, ma se volete le orge sonore di ‘frances’ vi conviene riascoltare quel disco perché qui troverete ben altro. oro hanno più volte citato gli steely dan come ispirazione e almeno per il mostruoso lavoro di studio è facile capire perché.


https://themarsvoltaofficial.bandcamp.com/album/the-mars-volta-the-mars-volta




the ephemeron loop, ‘psychonautic escapism’


ho scoperto questo disco troppo avanti nell’anno e avrei voluto ascoltarlo molto di più ma fin dal primo ascolto non ho avuto dubbi: ‘psychonautic escapism’ è un’opera pazzesca, risultato di 14 anni di lavoro per vymethoxy redspiders, trans gallese capace di mischiare in scioltezza glitch, breakcore, synth pop, ambient, black metal, grindcore, psichedelia varia e quant’altro le sia servito per dipingere questo mostro sonoro in continua mutazione, capace di sorprendere in ogni momento.


https://heatcrimes.bandcamp.com/album/psychonautic-escapism




scarcity, ‘aveilut’


brendon randall-myers è il direttore della glenn branca orchestra da quando il maestro è passato a miglior vita. scarcity è il progetto che ha creato per superare dei lutti personali, mettendo in ‘aveilut’ tutto il dolore possibile e lasciando che venisse interpretato dalla povera ugola di doug moore dei pyrrhon. è circa black metal ma talmente astratto che il termine risulta quasi inadatto: le chitarre di muovono per giochi microtonali, strati di armonici e tecniche alternative mentre la ritmica ha il respiro dei migliori liturgy. asfissiante e meraviglioso.


https://scarcity-nyc.bandcamp.com/album/aveilut




sampa the great, ‘as above, so below’


sampa è una cantante dello zambia naturalizzata australiana, le sue radici sono tanto nella tradizione quanto nell’hip hop e la sua creatività l’ha portata a registrare un disco che, nei suoi momenti migliori, è erede delle più grandi produzioni di michael jackson/quincy jones. ‘as above, so below’ conta su una produzione stellare in cui l’africa fa continuamente da sfondo a canzoni scritte quasi sempre benissimo, a partire dall’incredibile singolo ‘never forget’. un disco moderno e sincero che si fa riascoltare decine di volte.


https://sampathegreat.bandcamp.com/album/as-above-so-below




tears for fears, ‘the tipping point’


non avevo nessuna speranza, lo ammetto serenamente: per me alla fine dopo ’big chair’ i tears for fears non ne hanno mai più imbroccata una. quanto sono stato felice di sbagliarmi, ‘the tipping point’ è pieno di ritornelli fantastici immersi in una produzione rétro ma moderna in cui le voci di smith e orzabal la fanno da padrone. è una piccola capsula ottantiana, assolutamente anacronistica ma, forse anche per questo, genuina, costruita da chi un certo suono ha contribuito a crearlo più di 40 anni fa.


https://www.youtube.com/playlist?list=OLAK5uy_kzNOnAtqj9ygPWbHJ_-uz9agsdgJzPCtE




dead cross, ‘ii’


il primo dead cross era molto bello ma ‘ii’ è a un altro livello. scritto mentre il chitarrista michael crain lottava contro un tumore e mike patton contro l’alcolismo e la depressione, è un disco che trasuda urgenza e malessere, fin dal grezzo mix e dal master esagitato. ci sono melodie inaspettate che hanno molto del post-punk, c’è patton ispirato come non si sentiva da anni, c’è lombardo che ti fa chiedere come cazzo faccia ancora, ha un’età, checcazzo. e soprattutto delle belle canzoni che non stancano mai e si fanno ricordare e addirittura canticchiare.


https://deadcross.bandcamp.com/album/ii










burial, 'antidawn', 'streetlands'

william bevan continua a sfuggire dalla “forma disco” ma pubblica due ep da più di mezz’ora ognuno in cui una ambient dai forti toni hauntology aleggia come nebbiolina senza neanche fare finta di avere una pulsazione, due uscite affascinanti e molto riuscite.

https://burial.bandcamp.com/album/antidawn-ep

https://burial.bandcamp.com/album/streetlands



foxtails, ‘fawn’


furioso e affascinante, il suono di questo quartetto è marcato dall’uso del violino ma si nutre di emozioni violente e disperate come la voce lancinante di megan cadena-fernandez. il post alla dirty three incontra il post-hardcore a tinte screamo e insieme generano un bellissimo mostro.

https://fffoxtails.bandcamp.com/album/fawn


boris, ‘w’

tra le varie uscite dei boris degli ultimi tempi, ‘w’ è il disco che mi è piaciuto di più e a cui sono tornato più spesso. pesantezza e spazio infinito, melodia e distorsione, un album che non sorprende ma rapisce. ma del resto ormai dei boris ci fidiamo anche a scatola chiusa.

https://boris.bandcamp.com/album/w


ben bondy, ‘camo’


qui parliamo di ambient a livelli altissimi, bondy utilizza una tavolozza che non è certo unica nel panorama moderno ma con questi colori riesce a restituire una musica che respira e vive di accidenti proprio come la realtà, anch’essa sfruttata con field recordings vari. wow.

https://www.youtube.com/watch?v=RdomHQ8FIBQ

john zorn/bill laswell, ‘the cleansing’


zorn finalmente imbraccia di nuovo il sax e lo fa in duo con la leggenda del basso bill laswell per un disco che propone una prospettiva (ovviamente)  inusuale ma neanche troppo, con zorn a scaldarsi sempre di più e laswell a gestire una quantità enorme di suoni che arrivano anche a distorsioni davvero maleducate. sempre un piacere.











krallice, ‘crystalline exhaustion’,‘psychagogue’


il primo è un pacco, roba ritrita con una produzione piatta e insulsa, il secondo invece riprende qualche idea dello spettacolare ‘demonic wealth’ e risulta più incisivo e riuscito, quindi buttatevi direttamente su ‘psychagogue’.

https://krallice.bandcamp.com/album/crystalline-exhaustion

https://krallice.bandcamp.com/album/psychagogue-3



black country, new road, ‘ants from up there’


molti sono impazziti per questo disco, io ho tanto amato il primo ma sono rimasto piuttosto indifferente di fronte a questo. non che faccia schifo, le ottime idee non mancano ma la voce è stucchevole e mancano sbalzi, tutto un po’ troppo teen.

https://blackcountrynewroad.bandcamp.com/album/ants-from-up-there




animal collective, ‘time skiffs’


ma stato fan degli animal collective, li ho sempre trovati spocchiosi e freddi, mi sono però sorpreso a riascoltare più volte questo disco e in poco avevo metà dei ritornelli in testa. gli arrangiamenti sono più grateful dead che mai e le canzoni funzionano, bravi.

https://anmlcollectve.bandcamp.com/album/time-skiffs




raum, ‘daughter’


questo duo americano torna a nove anni dal primo disco con un album in cui con drone, ambient e field recordings si recupera la lezione di brian eno e se ne da una convincente interpretazione moderna. non rivoluzionario ma senza dubbio molto molto bello.

https://grouper.bandcamp.com/album/daughter




author & punisher, ‘krüller’


l’immagine di tristan shone mi ha colpito fin dall’inizio e vederlo dal vivo è stato un’esperienza ma i suoi dischi non mi hanno mai entusiasmato. in ‘krüller’ invece si trovano forse le migliori canzoni mai scritte dall’americano e l’album è un piacere dall’inizio alla fine.

https://authorandpunisher.bandcamp.com/album/kr-ller



imarhan, ‘aboogi’


quintetto tamashek algerino, gli imarhan si sono costruiti il loro studio al confine col deserto e con ‘aboogi’ si inseriscono prepotentemente nel panorama già composto da tinariwen (due di loro partecipano al disco), mdou moctar, bombino e altri. rock blues del deserto che sa di sabbia e sole ardente, ancora non a livello degli altri nomi forse ma comunque molto bello.

https://imarhan.bandcamp.com/album/aboogi



napalm death, ‘resentment is always seismic- a final throw of throes’


è solo un ep, sono sono gli “scarti” dell’ultimo disco, ma siccome l’ultimo disco era una bomba, anche questo ep non è molto da meno e infila 7 pezzi (più una cover dei bad brains) uno meglio dell’altro, fino all’apoteosi finale della title-track, non perdetevelo.

https://www.youtube.com/watch?v=4HueV8Bh_dU



bunuel, ‘killers like us’


avete un costante bisogno di jesus lizard e affini? vi manca il primo teatro degli orrori? ecco ‘killers like us’, tutto per voi, salite in macchina e alzate il volume.

https://profoundlorerecords.bandcamp.com/album/killers-like-us






blood incantation, ‘timewave zero’


hanno fatto uno degli album death metal migliori degli ultimi anni ma quest’anno i blood incantation ci hanno dato un album ambient-dungeon-vintage che si saranno sicuramente divertiti a fare ma non dice proprio un cazzo di niente. peccato.

https://bloodincantation.bandcamp.com/album/timewave-zero




an evening redness, ‘an evening redness’


questo duo americano ha pubblicato un esordio molto carino, sei quadri sonori tra americana, folk, drone e doom in cui le strutture si sfaldano per dipingere la vastità degli spazi americani. molto carino, lo prendo come una promessa.

https://transylvaniantapes.bandcamp.com/album/an-evening-redness




caroline, ‘caroline’


se i black country, new road mi hanno lasciato piuttosto perplesso, questo esordio dei caroline invece è una bomba. si parla sempre di rock sfilacciato, decostruito e “post” ma c’è un elemento più emozionale che rende il disco davvero godibile.

https://caroline.bandcamp.com/album/caroline




kill alters, ‘armed to the teeth’


bonnie baxter e nicos kennedy sono marito e moglie con un passato costellato di traumi. la madre di lei soffriva di tourette e registrava cassette in cui si sfogava, oggi il duo usa parti di queste registrazioni in un album tanto sadico quanto masochista ma anche liberatorio, fatto di squarci industrial, nastri trattati, ritmiche ossessive e voci paranoiche, un disco disturbante e molto interessante.

https://hausumountain.bandcamp.com/album/armed-to-the-teeth-l-m-o-m-m



dream widow


il progetto supermetal di dave grohl, colonna sonora del meraviglioso ‘studio 666’, è divertente e riuscito quanto il film. neanche 40 minuti di metal ottantiano violento e appassionato, con una manciata di riff davvero grandiosi.

https://www.youtube.com/playlist?list=OLAK5uy_m90yBWGA4hkEtUnkos-0BG11C2CIMYddY












jack white, 'fear of the dawn', 'entering heaven alive'


‘fear’ è bellino, in linea coi primi dischi senza smuovere di un centimetro le coordinate di white, ‘heaven’ invece mi suona molle, spompo e poco ispirato, forse una sintesi tra i due album sarebbe stata più efficace.

https://officialjackwhite.bandcamp.com/album/fear-of-the-dawn

https://officialjackwhite.bandcamp.com/album/entering-heaven-alive



human cull, ‘to weep for unconquered worlds’


un disco grindcore fatto da paura, con dei riff dissonanti alla napalm death e suoni grezzi ma potentissimi, bravi ragazzi.

https://humancull.bandcamp.com/album/to-weep-for-unconquered-worlds






pan american, ‘the patience fader’


fondamentalmente una raccolta di bozzetti sonori nati da trattamenti estremi di chitarra elettrica, evocativo, leggero, spazioso e perfetto per un risveglio pacifico.

https://panamerican.bandcamp.com/album/the-patience-fader















undeath, 'it's time... to rise from the grave'

corpsessed, 'succumb to rot'


due dischi di death metal fatto veramente bene. molto bellino quello dei corpsessed, un pelo più moderno; ancora più bello quello degli undeath, un vero e proprio manuale death metal old school con una serie di riff perfetti.

https://undeath.bandcamp.com/album/its-time-to-rise-from-the-grave

https://darkdescentrecords.bandcamp.com/album/succumb-to-rot












royksopp, ‘profound mysteries i-ii-iii’


a volte ritornano. mah, se invece di tre dischi ne avessero fatto uno sarebbe stato… boh, carino, non certo a livello dei primi due. cotti e un po’ bolsi ma con qualche sprazzo di energia qua e là, comunque potete farne a meno.

https://royksopp.bandcamp.com/album/profound-mysteries-2



nu genea, ‘bar mediterraneo’


cambio di nome e lieve variazione di rotta per il duo napoletano che si allontana dagli steely dan per andare più verso una disco sempre di classe e bene fatta ma che non sempre convince appieno, bello ma il primo era meglio.

https://nugenea.bandcamp.com/album/bar-mediterraneo













rafael anton irisarri, ‘sacred hatred’, ‘agitas al sol’


delle due uscite di quest’anno ho trovato la prima un po’ vuota mentre ‘agitas al sol’ mi ha convinto di più, secondo capitolo di ‘solastagia’ composto di due suite registrate nel 2019 che risultano evocative e riuscite.

https://irisarri.bandcamp.com/album/agitas-al-sol


shabaka, ‘afrikan culture’


prima uscita solista per il guru del nu-jazz inglese, un ep di musica spirituale e meditativa in cui il musicista suona quasi unicamente uno shakuhachi, creando accompagnamenti di kora, mbira e altri strumenti dal mondo. cliché ma bello.

https://www.youtube.com/playlist?list=OLAK5uy_mJc_jelgDni92sNcuYQuDvyjb3EkXKm9M



sofie birch, ‘holotropica’


la sound artist danese pubblica un disco ambient che è veramente strepitoso, fatto di suoni in tinte pastello, lievi pulsazioni annebbiate e idee timbriche interessanti, coese e avvolgenti, davvero bellissimo.

https://sofiebirch.bandcamp.com/album/holotropica




lucy liyou, ‘welfare/practice’


volete qualcosa di diverso? questa uscita raccoglie i primi due dischi di lucy liyou, sound artist americoreani (plurale richiesto da loro). sono esperimenti sonori basati su una forma di teatro coreana chiamata p’ansori in cui una voce è accompagnata da un’unica percussione. qui la voce è sintesi vocale artificiale e l’accompagnamento è fatto di glitch, modulazioni e sporadiche note, più presenti in ‘practice’ in cui compare anche un piano acustico.

https://lucyliyou.bandcamp.com/album/welfare-practice


mai mai mai, 'rimorso'

antonio tricoli nel 2022 porta il suo progetto mai mai mai di un paio di livelli più in alto con un disco assolutamente fantastico in cui il folk mediterraneo incontra elettronica, drone, glitch e ambient in un quadro sonoro affascinante e sorprendentemente godibile, anche per i meno avvezzi al genere.

https://maimaimai.bandcamp.com/album/rimorso



alanis morissette, ‘the storm before the calm’


la canadese si da alla ambient con un disco di “musica per meditazione”. è una vaccata, chiariamolo subito, un disco che rasenta la new age da centro benessere per il 95% del tempo ma che incredibilmente centra un pezzo fuori scala con ‘resting in the fire’, rituale percussivo-elettronico che sa di nine inch nails a cinque chilometri di distanza. disco orrendo, pezzo fantastico.

https://www.youtube.com/watch?v=1rKk8iZC4TI


porcupine tree, ‘closure/continuation’


mavvaffanculo. il perché se volete lo spiego qui http://distantzombiewarning.blogspot.com/2022/06/porcupine-tree-closurecontinuation.html







candy, ‘heaven is here’


per chi non ne avesse mai abbastanza di botte sui denti, ‘heaven is here’ è una chicca grind/hardcore di una violenza spropositata, con un mix e master fatti apposta per farvi sanguinare le orecchie. sublime.

https://candygonnadie.bandcamp.com/album/heaven-is-here





heimito künst, ‘post exoticism’


progetto anonimo ma sappiamo che è italiano, con questo secondo disco künst è capace di raccontare storie tramite synth, field recordings, nastri trattati ed altre tecniche elettroacustiche, con un velo hauntology che aleggia su tutto il lavoro, bellino assai.

https://heimitoknst.bandcamp.com/album/post-exoticism



knoll, ‘metempiric’


altre mazzate, sempre di grindcore parliamo, in questo caso meno hardcore e un filo più death e opprimente, con un grandioso finale in cui la furia diventa rituale e l’infinito feedback di chiusura una liberazione. 

https://knollgrind.bandcamp.com/album/metempiric



paolo nutini, ‘last night in the bittersweet’


attesissimo (da me), non mi ha deluso. non mi ha neanche sorpreso o fatto saltare, però è un gran bel disco, sicuramente migliore dello sfilacciato ‘caustic love’, con almeno 4-5 pezzi memorabili. purtroppo è troppo lungo, ma va bene così.

https://www.youtube.com/playlist?list=OLAK5uy_ntQ3IhCRyIabprrsSVU72_TjgRUDpZryw


altars, ‘ascetic reflection’


il death metal degli australiani altars è strano, etereo, quasi evanescente a tratti, un po’ come i migliori blood incantation. e funziona cazzo, suona davvero come una spinta ulteriore nella direzione tracciata dai morbid angel di ‘formulas’, disco bellissimo.

https://everlastingspewrecords.bandcamp.com/album/ascetic-reflection



black midi, ‘hellfire’


altro discone inattaccabile, forse un pelo più prevedibile ora che siamo al terzo album ma comunque la scrittura è solidissima, i pezzi divertenti e loro suonano troppo troppo troppo bene cazzo.

https://bmblackmidi.bandcamp.com/album/hellfire




imperial triumphant, ‘spirit of ecstasy’


boh. non è brutto eh, però mi suona un po’ come una minestra riscaldata, è praticamente la stessa cosa dell’eccelso ‘alphaville’ ripetuta per un’ora, suonata benissimo e con dei gran momenti, innegabile, ma comunque boh. meh.

https://www.youtube.com/watch?v=gQ_0BRITM3A



vladislav delay, ‘isoviha’


anche qui devo ammettere la mia devozione nei confronti di ripatti, i capolavori sono nel passato ma di roba sua brutta ancora non ne ho sentita. siamo dalle parti dei ‘rakka’, texture elettroniche sature di suoni, sprazzi ritmici che destabilizzano e un’atmosfera da catastrofe incombente, bello.

https://vladislavdelay.bandcamp.com/album/isoviha


motorpsycho, ‘ancient astronauts’


instancabili, i norvegesi arrivano al disco numero 21 e centrano in pieno quello che è forse il miglior album da ‘here be monsters’ con pezzi che lasciano spazio, crescono e si cibano delle inarrivabili doti tecniche dei tre senza mai dover fare showoff.

https://www.youtube.com/watch?v=dwj91hTgc-c



kokoroko, ‘could we be more’


altro collettivo inglese che si tuffa nei meandri del “nuovo jazz”, anche se in questo caso siamo molto più nel regno dell’afrobeat con incastri ritmici dalle pronunce bizzarre e un’atmosfera da festa di gruppo che coinvolge e diverte, consigliatissimo.

https://kokoroko.bandcamp.com/album/could-we-be-more


blind guardian, ‘the god machine’


ma ci credi che i blind guardian han fatto un bel disco nel 2022? io non ci credo. l’ho sentito e ho detto “oh! wow!”, ho sentito delle gran chitarre, dei riff fantastici, hansi cantare meglio di 20 anni fa e comunque ancora non ci credo. eppure.

https://www.youtube.com/watch?v=EE01U07iVe0




eunoia, ‘psyop of the year’


una delle sorprese più belle del 2022, questo trio dell’ohio frulla assieme math, hardcore, grind e sferzate black in una furia col sangue agli occhi come i today is the day di una volta. mix e master di colin marston fanno il resto, album davvero imperdibile.

https://tombtreetapes.bandcamp.com/album/psyop-of-the-year



ken mode, ‘null’


sludge, post-hardcore, odori industriali, jesus lizard e un sax impazzito, ‘null’ dei canadesi ken mode è musica violenta e creativa, il suono non è dei più personali ma i riffazzi non mancano e il furioso trasporto della band fa il resto.

https://kenmode.bandcamp.com/album/null



city of caterpillar, ‘mystic sisters’


a volte ritornano, paladini dello screamo più viscerale e profondo assieme ai pg.99 nei primi 2000, i city of caterpillar pubblicano un disco e pare che il tempo non sia mai passato, non fosse per l’evidente crescita tecnica e di scrittura del gruppo che centra un disco fantastico quasi come i classici del tempo.

https://cityofcaterpillar.bandcamp.com/album/mystic-sisters


cloud rat, ‘threshold’


questi tre americani sono una delle band più violente che abbia mai visto live, il loro ‘pollinator’ resta un apice grind degli ultimi anni e questo ‘threshold’ non è da meno: gioca con una maggiore dinamicità dei brani ma infila sempre dei riff incredibili che attaccano alla giugulare, grandissimo disco.

https://cloudrat.bandcamp.com/album/threshold


al-qasar, ‘who are we?’


quartetto multinazionale, gli al-qasar si definiscono ‘arabian fuzz’ e non gli si può dare torto. sono un po’ la versione sotto steroidi dei tinariwen ma il loro suono è molto più sbilanciato verso il medioriente. in più vantano ospiti da leccarsi le caviglie come lee ranaldo e jello biafra, album divertentissimo.

https://alqasar.bandcamp.com/album/who-are-we


goat, ‘oh death’


era da un po’ che i goat non mi entusiasmavano ma ‘oh death’ mi è proprio piaciuto, un po’ più “out there” rispetto al passato ma sempre basato sul loro folk “totale” sporcato di rock psichedelico e kraut.

https://goat.bandcamp.com/album/oh-death




moin, ‘paste’


‘paste’ prosegue perfettamente il discorso dell’esordio dell’anno scorso, al punto che i due dischi finiscono con l’assomigliarsi un pelo troppo, pur mantenendo una qualità media sempre alta. è il rock a pezzi degli anni 90 rivisto dall’ottica di due produttori elettronici con l’ottima valentina magaletti alla batteria.

https://m-o-i-n.bandcamp.com/album/paste-2


horse lords, ‘comradely objects’


il math degli horse lords è alieno, obliquo e spiazzante ma in qualche modo riesce sempre ad essere coinvolgente, persino ballabile spesso. è n loro piccolo miracolo e ‘comradely objects’ è forse il loro miglior disco ad oggi, impressionante.

https://horselords.bandcamp.com/album/comradely-objects-2


la colonie de vacances, ‘echt’


collettivo francese che praticamente fonde quattro gruppi in uno, questi pazzi con ‘echt’ pubblicano un album fantastico in cui glenn branca incontra il math-rock, bizzarri esperimenti timbrici, melodie di voci armonizzate inaspettate quanto belle e una ricerca ritmica vertiginosa. non lasciatevelo scappare.

https://viciouscircle.bandcamp.com/album/echt



ulla, ‘foam’


dopo lo strepitoso ‘limitless frame’ dell’anno scorso, ulla straus vira verso un’elettronica in cui i sample vocali fatti a pezzi diventano parte fondamentale di texture sonore da pochi minuti ognuna, in cui i suoni si mischiano in modi stranianti ma sempre morbidi e avvolgenti, un’altro piccolo gioiello da un’artista sempre più interessante.

https://ullastraus.bandcamp.com/album/foam-2


show me the body, ‘trouble the water’


che succede a fare noise/sludge con un banjo distorto? rispondono gli show me the body con un disco che è ben più che mero giochino e mostra una profondità inaspettata, oltre a una pesantezza sonora devastante. sorprendente.

https://showmethebody.bandcamp.com/album/trouble-the-water



wu-lu, ‘loggerhead’


è rap? boh, no, c’è del rap. è elettronica? sì e no, non lo definirei proprio un disco elettronico, ce n’è in abbondanza ma gli strumenti acustici non mancano. è un disco narrativo, che vuole dire delle cose e le dice in modi diversi, a volte con toni violenti, altre più dimessi. un disco scritto e costruito benissimo che si fa consumare.

https://wu-lu.bandcamp.com/album/loggerhead


muse, ‘will of the people’


ci tengo a lasciarvi con uno degli ascolti più impressionanti dell’anno. ragazzi io una merda del genere l’ho sentita davvero poche volte nella vita, le canzoni sono una più brutta dell’altra, con apoteosi e apici della bruttura galattica come ‘compliance’, l’agghiacciante ‘liberation’ (con tanto di citazione da ‘supergiovane’) e soprattutto ‘we are fucking fucked’, in 40 minuti di disco troverete un concentrato di tutto quello che è di cattivo gusto, tutto quello che non dovrebbe mai succedere alla musica (tipo chessò, i queen), inclusi un mix terrificante in cui tutto è plasticaccia e un mastering criminale con UNA MEDIA DI -4 LUFS. ho urlato, scusate, non si fa. ma del resto potete darmi torto? 

https://museband.bandcamp.com/album/will-of-the-people



se siete arrivati fino in fondo... bravi. buon 2023 che già promette fever ray, metallica, enslaved, liturgy, depeche mode e forse pure pain of salvation.