sabato 30 novembre 2019

blood incantation, 'hidden history of the human race'



che meraviglia le sorprese di fine anno; uno pensa che i giochi siano fatti, poi spunta sempre il discone dal nulla che ti fa cadere la mascella.
in questo caso parliamo di metallo, di quello pesante. molto pesante.
i blood incantation sono un quartetto di denver al loro secondo album e parliamo di uno dei migliori dischi metal che abbia sentito da un po' di anni. death metal nella fattispecie, con riferimento principale i sempiterni morbid angel (mai abbastanza lodati, viva viva) ma anche i death del secondo periodo, da ‘human’ in poi. sono riferimenti piuttosto marcati, infatti non parliamo di un disco che cambierà le carte in tavola; tuttavia i blood incantation hanno un loro tocco personale, rintracciabile soprattutto nelle chitarre psichedeliche che solcano l’inferno sonoro sottostante e in momenti spaziali e dilatati, finestre aliene che rendono il disco dinamico e originale.

incredibile a dirsi, parte della grandezza del disco sta anche nel mix e master: finalmente un disco metal estremo che gode di un respiro dinamico, in cui la batteria suona come tale e non come un midi programmato (vedi tutto il panorama metal-core e buona parte di quello metal “generale” dal 2000 in poi), il basso fretless trova sempre il suo spazio per farsi sentire e il master è spazioso e fangoso allo stesso tempo, senza perdere in definizione o potenza. 

pochi dubbi su dove vada il merito: l’intero album è registrato in analogico su nastro ai world famous studios e mixato da pete deboer, già con living colour, george clinton, nora jones, dmc, branford e winton marsalis, nels cline… uno che il suo lavoro lo sa fare e si sente. il gruppo deve averci speso una cifra non indifferente ma il risultato giustifica ogni dollaro, è un disco che suona meravigliosamente.
la tecnica di certo non manca ai quattro americani, le chitarre  (morris kolontyrsky e paul riedl, anche al growl) aggrediscono ma hanno un groove fantastico, il basso (jeff barrett) è fantasioso quando serve, altrove è un pugno in faccia mentre la batteria (isaac faulk) non è mai ferma, senza mai risultare però invadente o troppo in primo piano; in più tutti i membri del gruppo si occupano di synth vari (moog, jupiter, prophet, etc).

quattro pezzi di cui uno da 18 minuti su 36 totali di musica, ognuno con le sue peculiarità: ‘slave species of the gods’ aggredisce con tutti i morbid angel possibili e una serie di riff micidiali tra groove e tremolo, ‘the giza power plant’ introduce chitarre psichedeliche in profumo mediorientale (sì, ricordano i nile), ‘inner paths (to outer space)’ è tutta là nello spazio, anche quando gli strumenti sovrastano i synth; il gran finale si chiama ‘awakening’, dura 18 minuti ed è una vera e propria suite in cui la destrutturazione del progressive prende il comando, sempre facendo uso di blast beat, riff tremolo epici e ritmiche tritamacigni, con oasi ambientali che, come l’alieno in copertina, guardano le galassie più lontane. il finale doom che sembra omaggiare i my dying bride prima di congedarsi in acustico è la chicca finale di un album che riserva una sorpresa dietro l’altra.

è un disco narrativo, scritto benissimo, suonato da paura, con un mix e mastering tra i migliori che il metal abbia offerto da tanto tempo. è vero che non cambierà le sorti del genere ma di dischi fatti così bene non se ne sentono spesso, praticamente un instant classic, che venga dal 2019 o dal 1994 poco importa.

mercoledì 13 novembre 2019

subterranean masquerade, 'suspended animation dreams'


son passati 14 anni dall’uscita di ‘suspended animation dreams’, è passata un sacco di acqua sotto ai ponti. nel frattempo i subterranean masquerade di tomer pink sono spariti per dieci anni, si sono sciolti, si sono riformati con una formazione sconvolta, poi hanno cambiato ancora qualcuno e intanto hanno fatto un altro paio di dischi, purtroppo piuttosto trascurabili, al contrario di questo gioiello del 2005.

se dovessi indicare una manciata di dischi prog post-2000 che valga veramente la pena sentire, di mezzo ci sarebbero sicuramente ‘the perfect element’ dei pain of salvation, ’de-loused in the comatorium’ dei mars volta, ‘part the second’ dei maudlin of the well, ‘disconnected’ dei fates warning e ‘suspended animation dreams’. 
i perché sono molteplici, quello principale è che tomer pink (unico autore delle musiche) con i mezzi del prog riesce a costruire canzoni e non esercizi o catene di parti incollate; c’è poi la goduriosa varietà negli arrangiamenti, che coinvolgono oltre ai classici strumenti rock anche archi, fiati, percussioni di vario tipo e strumenti a corda esotici; non ultimo c’è anche il meraviglioso artwork di travis smith (che poi è il motivo per cui ascoltai il disco a scatola chiusa).
nonostante il disco faccia largo uso di elementi metal (chitarroni, growl, doppia cassa), non suona assolutamente come le produzioni di genere di quel periodo, ben lontano da ipercompressioni, trigger plasticosi o tamarrate assortite, preferendo un profilo più rock e dimesso anche nei momenti più aggressivi.

‘suspended animation dreams’ è perfettamente strutturato e rapisce con la sua narrativa, gioca con le dinamiche e soprattutto con le stratificazioni sonore, purtroppo, è da dire, non aiutato in questo da un mix un pelo sgonfio che lascia un po’ poco spazio alle chitarre e tende ad appiattire le esplosioni. considerando però che il mix è ad opera di neil kernon (queensryche, judas priest, brand x, yes, peter gabriel, nevermore, nile, cannibal corpse… più gli altri) viene più da pensare che ad essere carenti fossero le take e si sia dovuto intervenire per migliorarle, oppure semplicemente si è cercato un suono più rock e meno metal che potrebbe stare nell’estetica del disco; purtroppo però questo penalizza un po’ le parti più pesanti anche se non gravemente.
‘no place like home’ è un labirinto sonoro che però non ha nulla della frenesia tipica di altre band (mars volta ad esempio), si snoda lungo una struttura articolata che ora profuma di black, ora di pop, ora di spezie mediorientali; ‘the rock n roll preacher’ riesce a coniugare growl death metal e arrangiamenti di fiati r’n’b (uno dei momenti più entusiasmanti dell’album) partendo da un riff secco e maligno e passando per una parte centrale larga e ariosa guidata dal piano e pure un’apertura psichedelica dilatata. c’è l’influenza degli opeth, inutile negarlo, ma è filtrata da mille altri colori, sembra quasi di assistere alla versione compiuta di quello che akerfeldt ha cercato di fare coi pessimi ‘sorceress’ o ‘in cauda venenum’, un mix di anni ’70 e metal estremo che qui però ha una precisa forma ed è messo al servizio di una scrittura genuinamente ispirata.
‘awake’ è il pezzone, 14 minuti abbondanti con un crescendo in 6/8 da brividi che apre in uno svacco semi-etnico ipnotico e straniante; il finale si concede a una furia emotiva che si porta via tutto, prima del bellissimo epilogo ‘x’, affidato alla calda voce di wendy jernijan.

una critica che si può fare è sulle linee melodiche, non sempre perfette e un pelo ripetitive: se da un lato questo aiuta la coesione, dall’altro ogni tanto fa desiderare un profilo melodico più ricco e colorato. in ogni caso l’interpretazione di paul kuhr (november’s doom) è ottima, sia in pulito con un tono baritonale pieno e profondo che in growl.

interessante notare come il gruppo non utilizzi troppi cambi di tempo, tempi dispari, obbligati o assoli, tutti classici strumenti del progressive; non che non ce ne siano, le composizioni però sono più focalizzate su un continuo movimento strutturale, il che sulla lunghezza del disco aiuta l’ascolto rendendo la musica più fluida e narrativa.

non è un disco perfetto, nessuno però può negare che sia anche un disco originale, ispirato, profondo e molto soddisfacente all’ascolto, mai troppo ostico ma nemmeno troppo pop, ruffiano al punto giusto. se tutto il progressive sapesse essere così poco autoindulgente saremmo sommersi di disconi. così non è e ‘suspended animation dreams’ resta una bellissima isola nell’oceano.