domenica 11 dicembre 2016

2016: dischi dell'anno (stavolta davvero)



molti articoli di fine anno del 2016 stanno essendo più dei necrologi che delle classifiche. come dargli torto, è stato indiscutibilmente un anno di merda ma qui ai distant zombie warning ci piace pensare più a quelli che sono ancora in piedi, per cui niente sviolinate, in memoriam o tributi vari. piuttosto, daje con la solita svangata di dischi, in nessun ordine particolare a parte il primo.




la palma quest’anno se la piglia il trio norvegese, tornato ai massimissimi livelli appena prima di perdere (sigh) (se n’è andato, non è morto) l’incredibile batterista kenneth kapstad. ‘here be monsters’ mostra un gruppo pienamente consapevole al servizio di una scrittura intelligente e sempre obliqua, difficilmente categorizzabile. il groove inarrestabile della sezione ritmica traina melodie sognanti che creano scenari sonori affascinanti e profondi, il tutto coadiuvato da un mix preciso e rifinito che mantiene però la dimensione live e da un mastering perfetto che non va mai ad intaccare le dinamiche create dai tre. 




l’impronunciabile esperimento live/studio degli ulver riesce quasi perfettamente e ci regala un altro tassello inaspettato della discografia dei lupi. una serie di (circa) improvvisazioni eseguite durante un breve tour europeo nel 2015 (con tappa memorabile al bloom di mezzago) sono state registrate e poi lavorate in studio: editing, sovraincisioni ed effetti danno vita agli strani quadretti che si susseguono senza sosta in una galleria astratta e spaziale, marcata dal tono malinconico e profondo che caratterizza da sempre gli ulver. un altro centro, decisamente.




e chi se lo aspettava. ‘croz’ era carino, sì, ma non certo memorabile. la svolta sonora di crosby negli ultimi 30 anni non sembrava portare in questa direzione, invece poi ti arriva un bassista inglese che sfida il baffo a scrivere e registrare un disco in due settimane e ne esce il regalo più bello che david ci abbia fatto da tanto, tanto tempo. la dimensione è acustica, intima e ravvicinata, pochissimi riverberi, un sacco di chitarra e la voce di croz in primo piano, vissuta, a volte fragile, a volte semplicemente e teneramente vecchia. il regalo è una serie di canzoni emozionanti che ci restituiscono un sopravvissuto della musica a livelli ancora alitssimi, rispetto ed applausi.



wadada leo smith - america’s national parks

personaggio interessante leo smith. alfiere della aacm negli anni ’70, poi convertito alla religione rastafariana aggiungendo wadada al nome, è sempre andato a scandagliare quei luoghi misteriosi del jazz che si annidano in mezzo ai silenzi, blocchi sonori che fluttuano nel nulla, caratterizzati da scelte timbriche e dinamiche molto precise, possibili grazie alla sua tecnica perfetta alla tromba. qui rende tributo in un doppio disco alla storia dei grandi parchi nazionali americani, ispirandosi agli eventi che hanno segnato ognuno di questi piuttosto che cercare di dipingerli in musica. due dischi, poco più di un’ora e mezza di musica in cui perdersi completamente, un’immersione totale che vi lascerà affascinati e soddisfatti.




di metal "nuovo" da queste parti non se ne ascolta più molto. gli schammasch mi hanno costretto ad un’eccezione perché il loro ‘triangle’ è un’opera davvero riuscita, pur essendo marcata dall’ambiziosità del metal “””avanguardista”””. le virgolette sono d’obbligo perché le basi da cui si muove ‘triangle’ sono le stesse del capolavoro ‘bergtatt’ degli ulver e parliamo di 22 anni fa, ma va bene così. gli svizzeri riescono a vincere mantenendo un senso della misura che a quasi tutti i loro colleghi sfugge: nonostante il disco sia triplo, ogni cd dura mezzora e le differenze fra le tre parti sono sensibili, dando l’idea di tre movimenti distinti che non annoiano mai, mischiando black, psichedelia e shoegaze con una spiccata attitudine melodica ed atmosferica.



david bowie - blackstar

altro discone che non mi aspettavo, giusto prima di lasciarci bowie ci dona una perla oscura che mostra ancora voglia di evoluzione. non sono mai stato suo fan per cui non sto ad inoltrarmi troppo, quello che mi è piaciuto davvero tanto di ‘blackstar’ è la fantasia negli arrangiamenti, sempre trascinanti ed azzeccati, oltre che dati in mano a un manipolo di musicisti pazzeschi (ben monder e mark guiliana su tutti). nella sua durata contenuta, ‘blackstar’ riesce a non avere mai cali ma almeno tre picchi con “sue (or in a season of crime)”, “girl loves me” e soprattutto la strepitosa title-track, scura e marcescente.


fates warning - theories of flight

loro di colpi non ne hanno praticamente mai sbagliati. quando erano dei ragazzini metallari incarnavano perfettamente spirito e sonorità dell’heavy americano degli anni’80, da quando hanno preso la svolta prog con ‘parallels’ di dischi brutti non ne hanno mai fatti e ‘theories of flight’ non fa eccezione, superando anche il suo predecessore per scrittura, arrangiamento e suoni, tutto un pochino meno smaccatamente metal e più avvolgente, sempre con la melodicità unica ed inconfondibile di ray alder. inaffondabili.



kula shaker - k2.0

il ritorno di crispian mills per il ventesimo anniversario di ‘k’ è probabilmente il miglior disco del gruppo dal ’99. ‘k 2.0’ riesce a coniugare lo spirito spudoratamente sixties dei primi dischi con la maggior morbidezza ed elaborazione di quelli della reunion e lo fa con una serie di canzoni divertenti e con un gran tiro, sempre venate delle influenze orientali e indiane che sono marchio di fabbrica dei kula shaker. ‘death of democracy’, ‘here come my demons’, ’33 crows’ sono tutti pezzi ottimi e ‘infinite sun’ con ‘mountain lifter’ sono la ciliegina sulla torta, due pezzi incredibili in cui la verve del gruppo risulta ancora come nuova.



metallica - hardwired… to self-destruct

abbiamo dovuto aspettare quasi vent’anni ma finalmente ecco un nuovo disco bello dei metallica. quando menano convincono come non succedeva da ‘…and justice for all’, quando rallentano i tempi sono rocciosi e rotolanti come succedeva nel sottovalutatissimo (capre) ‘load’ o nel sottovalutato (cani) ‘reload’, due dischi la cui dinamicità si era persa nel piattume sterile di ‘death magnetic’, senza nemmeno parlare del "quasi-disco" 'st.anger'. ‘am i savage’ e ‘dream no more’ sono probabilmente le migliori canzoni dei metallica da anni, ben accompagnate da ‘hardwired’, ‘moth into flame’, ‘atlas, rise!’ o ‘spit out the bone’, bravi, ben tornati, era anche ora cazzo.



king crimson - radical action (to unseat the hold of monkey mind)

è un live, non è proprio giusto che stia qui. il problema è che è un live mostruoso e propone anche i primi brani inediti a nome king crimson dal 2003 per cui sticazzi, fripp ha tutto il diritto di stare qui. il lavoro di riarrangiamento dei grandi classici è impressionante così come lo è l’ingranaggio mostruoso incarnato da gavin harrison, pat mastellotto e bill rieflin, tre batteristi perfettamente complementari, base ideale per gli svolazzi di mel collins ai fiati. lascia a bocca aperta l’intensità vocale di jakko jakszyk, da brividi le sue interpretazioni di ‘epitaph’, ‘the letters’ e ‘starless’. il tuttto sotto l’occhio supervisore, serio e severo, di un eroe dell’umanità chiamato robert fripp. chi era alle serate agli arcimboldi a novembre capisce bene cosa voglio dire.

menzione speciale per il devastante 'know how to carry a whip' dei corrections house, ancora meglio dell'esordio.
veniamo ora alle sòle, alle delusioni o, più in generale, ai dischi brutti, che quest’anno non sono mancati.
la delusione più grande penso mi sia arrivata dai katatonia, ‘the fall of hearts’ gira in tondo e non risolve nulla, accartocciandosi su un suono standard senza canzoni che possano supportarlo. quasi allo stesso modo falliscono gli opeth, con un ‘sorceress’ che più che progredire stagna in un manierismo settantiano che risulta stantio e poco ispirato.
che dire poi del da me tanto atteso ritorno di sting alla musica pop? ‘57th and 9th’ delude pressoché su tutti i fronti, manca la classe nella scrittura, manca la grinta, manca di incisività in produzione, mancano le canzoni. praticamente quando si arriva alla fine del disco ci si chiede se si abbia effettivamente ascoltato qualcosa o se fosse solo un ronzio di sottofondo.
steven wilson continua a grattare il fondo, dopo un inutile quanto discutibile ‘best of’ solista ci propina un ep di scarti dai due dischi precedenti, interessante quanto un porno con gigi marzullo. i tortoise si sono un po’ smollati in ‘the catastrophist’, non brutto ma altalenante e non molto incisivo, i meshuggah riscaldano la solita minestra, almeno questa volta lo fanno tutti insieme live in studio ma il risultato è comunque mediocre e noioso. il grande ritorno degli in the woods è una palla al cazzo pretenziosa e vecchia di vent’anni in un genere che già allora aveva finito le cose da dire.
ah sì poi in mezzo è uscito un disco chiamato ‘figgatta de blanc’. è vergognoso che certa gente si permetta di pubblicare degli abbozzi di canzonette che già in partenza fanno schifo, è una presa per il culo ma non di quelle buone, di quelle che rubano soldi alla gente e basta. 


un anno tra alti e bassi, troppe delusioni e qualche sorpresa ma va bene così, quando i metallica fanno un bel disco è abbastanza. per me si chiude comunque in positivo, tra gli altri ho visto due volte i king crimson e tre volte neurosis e kula shaker oltre a blind idiot god, motorpsycho, neil young, green carnation, dave liebman, i toto e i sunn O))) in un labirinto, non sarò certo io a lamentarmi per una volta.