venerdì 18 aprile 2014

terra tenebrosa, 17.04.14, circolo magnolia, segrate



per chi non lo sapesse, i terra tenebrosa sono il nuovo gruppo dell'ex chitarrista dei breach. per chi non sapesse neanche questo, i breach sono stati uno dei gruppi più geniali che la musica estrema abbia avuto negli ultimi 20 anni, stavano lassù con i neurosis e pochi altri (forse giusto i converge).

i cinque svedesi stanno vagando per l'europa a seguito dell'esibizione al roadburn, minata, come già vi ho raccontato, da alcuni inconvenienti tecnici. stasera quegli inconvenienti non ci sono stati e i terra tenebrosa ci hanno fritto il cervello.
arrivo giusto in tempo per vedere 3 pezzi dei divertenti e tamarrissimi americani gozu che, esattamente come al roadburn, non si possono contenere e se la riffeggiano paciosi e zarri.

poco da dire sui the old wind, nuovo gruppo del cantante dei breach. era uno dei miei cantanti estremi preferiti ma stasera non sembra particolarmente in forma, in più i pezzi proposti dal gruppo sono troppo generici per catturare la mia attenzione: il "solito" minestrone di breach, isis e compagnia affine, anonimo e senza troppo mordente. vedremo se in futuro riusciranno a convincere di più.

i terra tenebrosa sicuramente hanno le idee precise su quello che vogliono fare. l'enigmatico cuckoo, leader e autore di tutte le musiche e testi del gruppo (lui è l'unico ex-breach dichiarato, in teoria ce n'è un altro, secondo me è il batteraio), sale sul palco per primo e subito un'aura di inquietudine si impossessa del palchetto del magnolia. quest'immagine, unita alle maschere e veli che coprono gli altri 4 componenti, è parte integrante dello show tanto quanto la musica e funziona veramente veramente bene. il loro non è un concerto, è un rituale marcio e perso in un mondo di incubi, popolato di suoni dissonanti, urla orribili, beat devastanti e un'atmosfera straniante che sarebbe davvero difficile descrivere a parole. 
musicalmente si sente il trascorso nei breach in vari momenti ma il tutto è ammantato da un qualcosa che vagamente ricorda il black metal, pur non essendo in alcun modo black metal. è una colonna sonora del buio in cui immagini orribili passano davanti agli occhi dell'ascoltatore lasciandolo sanguinante a terra, mentre the cuckoo emette versi incomprensibili usando la voce come strumento per peggiorare l'incubo.
non sto a citare questo o quel pezzo, è stato un trip di un'ora senza pause che mi ha veramente impressionato, sono davvero felice di essere riuscito a vederli anche perché, se continuano così, le loro prossime evoluzioni potrebbero venire ricordate per molto tempo. gli auguro sinceramente che sia così perché sono uno dei gruppi più intelligenti che l'estremo abbia oggi: immagine studiata ma non banale o finta o ridicola, musica istintiva ma arrangiata in modo strambo e funzionale, idee precise ed un suono perfettamente riconoscibile fin dal primo disco. se questo non fa dei terra tenebrosa un gruppo della madonna, come al solito allora non ho capito un cazzo della vita.

setlist:

probing the abyss
black pearl in a crystalline shell
terra tenebrosa
the arc of descent
through the eyes of maninkari
the purging

house of flesh

mercoledì 16 aprile 2014

nanodischi #10: febbraio-marzo 2014



chiedo scusa, è da un po' che non vi rovescio addosso una carriolata di dischi. ora lo farò.

bruce palmer - the cycle is complete

dopo lo scioglimento dei buffalo springfield, ognuno prese la sua strada. stills si mise in ditta con crosby e nash per fare ciò che ben sappiamo, neil young se ne andò per la sua strada solista prima di riallacciarsi a stills e compagnia cantante, dewey martin continuò coi suoi new buffalo springfield mentre richie furay si diede a gesùcristo diventando pastore e cazzi vari. e quel fattone di bruce palmer? quel fattone di bruce palmer registrò un capolavoro chiamato the cycle is complete, opera lisergica e dilatata, basata su groove di percussioni e basso su cui gli strumenti improvvisano e giocano, solcati di tanto in tanto dalle litanie di palmer. un'opera psichedelica totale da consumare sul divano.

bark psychosis - hex

quello che oggi chiamano "post-rock" ci ha veramente rotto il cazzo. tutte quelle inutili band che continuano imperterrite a scopiazzare explosions in the sky e godspeed you non hanno veramente nulla da dire (come armai anche gli originali, da un pezzo) e, per un genere che vorrebbe essere un minimo proiettato in avanti, è un difetto piuttosto grave.
tanti anni fa non era così. quando quel "post" non era appiccicato a caso, c'erano gruppi meravigliosi come i bark psychosis, i tortoise, i rodan e i talk talk che veramente prendevano il rock e andavano oltre. in hex il genere viene piegato ad uso descrittivo di scenari metropolitani deserti, in una notte tiepida con solo i lampioni a fare luce. come una sorta di perdition city meno algido, hex è un racconto da godersi con calma.

paolo nutini - sunny side up

vista l'uscita in questi giorni del nuovo (bellissimo, ve ne parlerò a breve) caustic love, vi ricordo che paolino nutino ben 5 anni fa ci regalò questo disco bellissimo in cui vengono frullati insieme reggae, swing, cantautorato, motown, funk e quant'altro (anche profumi caraibici) in quello che è stato uno degli album che ho ascoltato di più negli ultimi anni. è puramente pop, non c'è nulla che vi possa far storcere il naso, è uno di quei dischi di cui fare la copia per averlo fisso in macchina, così da poter sempre sentire la voce roca e sgraziata ma al contempo poetica e profonda di nutini.

bitch magnet - umber

a proposito di quei gruppi che col rock fanno il cazzo che gli pare, i bitch magnet alla fine degli anni '80 già facevano cose che oggi quando escono vengono ancora considerate "innovative". il loro suono era un deragliamento del treno hardcore in cui i suoni si facevano più definiti e potenti mentre le chitarre andavano slabbrandosi in strutture inusuali che giocavano sulle dinamiche in maniera impressionante, andando, come dicevo per i bark psychosis e gli altri, a definire quel momento di passaggio tra un modo di pensare il rock e il suo successore. gruppi anche come i converge sarebbero impensabili senza il lavoro di questi pionieri.

cynic - kindly bent to free us

traced in air era stato un miracolo, non me l'aspettavo. il terrore di veder riesumato un nome come quello dei cynic era enorme ma gli americani erano riusciti a dare un seguito al capolavoro focus (pur non raggiungendone certo gli apici). kindly bent to free us non ci riesce. è noioso, pacchiano e, a mio modo di vedere, arrangiato male: il basso di sean malone è veramente un pugno in un occhio, dall'inizio alla fine di questo inutilissimo disco.
gran cagata, fatevi un favore ed evitatelo.

comsic dead_easterfaust

torna il quartetto scozzese dei cosmic dead. era un po' che non ne sentivo parlare per cui non so bene cosa sia successo in mezzo: i primi dischi erano un magma sonico enorme e ribollente, oggi li ritrovo… beh circa uguali ma con una forte dose di melodia in più e le tastiere ben più in primo piano a dare maggiore ariosità ai due (o uno? l'ho visto in tutte le versioni…) brani che compongono i 40 e passa minuti di musica ivi contenuti. se non avete voglia di pensare, mettetelo su e alzate il volume.

talk talk - the colour of spring

da quando ho scoperto quelle pietre miliari chiamate spirit of eden e laughing stock, ogni tanto ho provato a riascoltare anche i dischi precedenti dei talk talk. mentre it's my life continua a non piacermi, the colour of spring mi si è rivelato qualche settimana fa come un godibilissimo disco pop, arrangiato magistralmente e con in nuce già molti degli elementi che andranno a costruire (o decostruire) i due dischi successivi. c'è quella vena malinconica che evoca brilliant trees di sylvian o the hurting dei tears for fear ma la voce di mark hollis c'entra ben poco con quella degli altri due come timbrica, sebbene allo stesso modo marchi a fuoco i brani. già dal titolo, disco perfetto per la primavera.

.o.rang - herd of instinct

parliamo sempre di talk talk. dopo laughing stock e il conseguente scioglimento del gruppo, hollis se ne andò per i fatti suoi a scomparire nel nulla per ricomparire sporadicamente come ospite mentre paul webb e lee harris si diedero al progetto .o.rang. con strutture totalmente improvvisate, il disco si basa su lunghe jam editate poi in studio. rock, jazz, psichedelia e profumi d'oriente/medioriente compongono l'ossatura di questi affreschi sonori, con ospite d'eccezione beth gibbons, non ancora superstar, che si farà poi produrre il suo dischi solista proprio da webb. sapevatelo.


martedì 15 aprile 2014

roadburn festival 2014, 10-13 aprile, 013 venue, tillburg, olanda



visto che la maggiorparte di voi non leggerà mai tutto questo report, parto dalla fine: il roadburn è il festival più bello che abbia mai visto. per qualità, organizzazione, gruppi, suoni e luogo, gli caga in testa a qualsiasi stronzata gli italiani abbiano mai provato ad organizzare. su 26 gruppi che ho visto, UNO SOLO ha ritardato per motivi tecnici, i suoni sono sempre stati perfetti, adattandosi di volta in volta al gruppo che suonava. la cosa stupenda è che il festival mette ogni gruppo in condizione di esprimersi al suo meglio senza dover pensare ad altro.
l'emblema del festival è arrivato durante il secondo concerto degli yob. mike scheidt chiede dal palco "where's my beer?", qualcuno dal pubblico risponde "where's my face?".
ma andiamo con ordine.

giorno 1

all'inizio del festival ci perdiamo qualche gruppo per una gita obbligata a rotterdam, vista l'impossibilità per gli stranieri di accedere ai coffee shop della provincia locale.
il tutto inizia quindi con l'insolita prestazione dei napalm death che presentano tutti quei pezzi che normalmente non fanno live, i mid tempo marci ed angoscianti del periodo fear emptiness despair per intenderci. il gruppo rivela un'inedita dinamicità sul palco, con una prestazione maiuscola del "solito" barney e il suo latrato devastante che guida il gruppo in quello che è forse il primo concerto in carriera senza neanche un blast beat. complimenti, ci avete aperto in 4.

tempo per una rapidissima pausa e poi subito veniamo assaliti in quello che si rivelerà uno dei 2-3 migliori concerti del festival: i corrections house.
tutti in divisa nera con il simbolo del gruppo sparso ovunque sul palco, i quattro americani danno vita ad uno show massacrante per volumi ed intensità; la chitarra di scott kelly deve sopperire all'assenza del basso per cui copre uno spettro di frequenze pazzesco mentre williams sbraita come un ossesso i suoi testi di marciume e schifo, straziati dagli interventi del sax infernale di sanford parker. un vero e proprio massacro che ci lascia con un sorriso ebete in faccia.

i crowbar, come loro solito, salgono sul main stage e colano sul pubblico un'ondata di melma ribollente fatta di riff massicci e ritmiche quadrate sulle quali kirk "canta" con la sua vociaccia lercia. bello, bravi.

per chiudere il primo giorno, una piccola delusione: aspettavo molto i bong, su disco mi piacciono davvero tanto ma la loro prestazione (pur perfetta come suoni, ovviamente) si rivela monodinamica e alla lunga stufa, complice anche una non certo esplosiva presenza scenica. bel magma sonoro ma purtroppo la noia arriva verso metà concerto, peccato, rimandati. 

ce ne torniamo quindi spipacchiando verso il campeggio, soddisfatti da questo antipasto/prima portata.

giorno 2

il venerdì è il giorno del curatore, che quest'anno è il signor åkerfeldt, il quale oncluderà infatti il giorno con una buona prestazione degli opeth a cui arriveremo a suo tempo.
il giorno si apre subito con quello che per me è stato il milgior concerto di tutto il festival: grazie mikael per averci portato i magma.

i francesi salgono sul palco senza presentazioni né introduzioni e attaccano subito con un nuovo pezzo inedito e per tutto il concerto il flusso sonoro sarà indescrivibile. un padronanza delle dinamiche incredibile, partiture folli che si incastrano in arrangiamenti che sono opera d'arte a sé, tecnica mai e poi mai fine a se stessa ma messa al servizio dell'emozionalità dei brani che nel giro di due battute passano dal minaccioso violento al dolce cullare in 6/8 di voci angeliche. su tutto spicca una sezione ritmica da mascella per terra composta dal batteraio fondatore christian vander dal tocco puramente jazz-rock di vecchia scuola, con un gusto sublime, e dal bassista philippe bussonnet, semplicemente uno dei migliori bassisti che abbia mai visto in vita mia: tecnica ineccepibile, groove ficcante e suono potente e pieno, veramente un maestro.

ovviamente è dura suonare dopo uno spettacolo del genere ma se il nome del gruppo dopo è comus, il grado di difficoltà scema notevolmente. 

altri grandi riesumati del giorno, li attendevo con impazienza avendoli già visti in svezia nel 2008 (di fianco ad un entusiasta lee dorrian) prima della pubblicazione dell'ultimo, bellissimo "out of the coma". la formazione è rimasta invariata e 5 su 6 sono gli stessi musicisti che diedero vita a quella gemma unica chiamata "first utterance" nel 1971. proprio da lì viene presa la maggiorparte del materiale suonato magistralmente dal sestetto, gradito stacco dalla pienezza media del suono roadburn: le acustiche di wootton e goring si incastrano in pura magia mentre le voci, angelica quella di bobbie watson, acida e maligna quella di roger wootton, disegnano melodie senza tempo. "semplicemente" grandiosi.

c'è poi un'altra mia personale delusione: da anni speravo di vedere dal vivo gli änglagård, il cui "hybris" ritengo ad oggi uno dei migliori dischi progressive degli anni 90. purtroppo invece dal vivo li ho trovati troppo freddi e distaccati, troppo manieristici e poco coinvolgenti. non era certo un problema di suoni, come sempre assolutamente perfetti, più un'aria di saccenza che si innalzava dal palco. amen, peccato, pausa e poi goblin.

sui goblin (o meglio, claudio simonetti's goblin) c'è parecchio da dire. innanzitutto quella distinzione nel nome non è fatta tanto per: oggi i veri goblin (almeno per nome) non esistono, per cazzi legali che non sto a spiegare anche perché non c'ho capito un cazzo nemmeno io… la formazione praticamente è quella dei daemonia, gruppo con cui simonetti propone versioni riarrangiate dei grandi classici. 

proprio in questi riarrangiamenti sta un grosso problema: per dire, io la doppia cassa in suspiria non me la ricordavo. tutto viene intamarrito e metallizzato ma le versioni originali restano ad anni luce di distanza. inoltre il fatto che un gruppo del genere faccia un uso tanto limitato di proiezioni durante lo show è ridicolo, così come gli spezzoni di 2-3 minuti ripetuti a loop ogni tanto durante i pezzi. gli unici italiani che ho visto al festival hanno fatto proprio la figura degli italiani. ciò non toglie che lo spettacolo diverte e coinvolge il pubblico, incluso mike degli opeth tra le prime file.

a questo punto ci dirigiamo verso il ristorante più di classe della zona, il sublime kfc di tillburg, decidendo di battercene la ciolla dei candlemass che fanno per intero un disco sottotono. in realtà vedremo poi un paio di pezzi e il gruppo sembra decisamente informa, guidato da mats levén e, per uno dei due pezzi da me visti, dal cantante dei primordial il cui nome non ho voglia di copiare. bravi ma la pausa era dovuta.

ci infiliamo quindi al patronaat dove sta suonando sula bassana col suo gruppo. gran volumata pissichedelica che inonda la stupenda sala e fa ciondolare tutte le teste, gran bel trip, bravi.
qui poi io attendevo tantissimerrimo ma proprio tanto i terra tenebrosa, essendo la cosa più vicina ai breach che si possa vedere al giorno d'oggi. purtroppo per qualche problema tecnico, il concerto ritarda di ben 20 minuti (che in italia dici "e sticazzi?", qui è un ritardo mostruoso e inaccettabile. sai, quando il tutto è organizzato da professionisti….).

per questo il pubblico si è un po' spazientito (me incluso) e quando il gruppo è finalmente apparso sul palco, il fatto che la voce fosse pressoché inaudibile ha indispettito non poco. ho visto tre pezzi, gli svedesi hanno una grande presenza scenica grazie a maschere e cappucci e un sacco di fumo, il loro però è un muro di suono distorterrimo e cubico che a fine giornata risulta molto presto pesante. non ne dico male perché i dischi li adoro e comunque può essere colpa della mia stanchezza, però non mi hanno detto molto, li attendo in altre condizioni.

allora mi butto al main stage dove stanno suonando gli opeth. 

il gruppo appare in gran forma, mike è dimagrito un bel po' e la prestazione generale è sicuramente ottima. certo, per un'occasione del genere poteva esserci un po' più sforzo per proporre una scaletta particolare (mi aspettavo almeno un pezzo nuovo vista l'imminente uscita…), invece la band si limita a una normale scaletta degli opeth, con anche puntatine negli scadenti damnation e watershed. almeno c'è stata una gran chiusura con "blackwater park".
poi la stanchezza prende il sopravvento e ci si ritira nella casetta nel bosco, il terzo giorno non sarà leggero.

giorno 3

daje daje, ci si intrufola nella batcave per vedere 15 minuti di e-musik gruppe lux ohr, solo per il nome. sono ovviamente un trip ectro-kraut-stikazzen stupendo per iniziare la giornata, synth e piruliruliruli vari che spinolano, sdruillano, sberluccicano, pullulano e sghirivizzano.

al contrario invece dei canadesi monster truck che incontriamo poi nella green room, southern rock estremamente 70, ritornelloso e con un gran tiro, assolutamente consigliati se passano dalle vostre parti.
poi mentre vagavamo per il mercatino, qualcuno ci dice "oh al patronaat ci sono degli imbecilli in tutina che fanno cose strane". ovviamente ci fiondiamo per vedere suddetti imbecilli, che si rivelano poi essere i circle. sfuggenti è la parola che mi viene in mente. peculiari, ecco. vestiti effettivamente in tutine colorate e borchie, guidati da un cantante in tuta azzurra, occhiali da sole e catena d'oro, li troviamo intenti in una parte atmosferica creepy e dilatata, "avanguardista" se vogliamo usare i paroloni. poi esplodono in un delirio metal noise grind tipo strapping young lad negli anni 80 o… boh. qualcosa. seriamente, non c'ho capito una fava (ero ovviamente soberrimo e pienamente in possesso delle mie facoltà mentali) ma mi sono divertito un sacco.

distrutti dall'esperienza, facciamo una capatina alla green room per vedere un po' di gozu che tamarreggiano duro, prima di piantarci davanti al main stage per l'avvento degli yob. mike scheidt è dall'inizio del festival che gira tra la gente, chiaccherando con tutti amabilmente (ora ha un paio di dischi dei king bong, oh yeah.).

una persona gentilissima. però poi sale sul palco (oggi per suonare per intero "the great cessation") e diventa qualcos'altro. avevo visto gli yob al lo-fi a milano (che oggi mi sembra una squallida bettola adatta forse al liscio per l'acustica che ha) ed era stato bello. oggi non so bene come raccontare quello che è successo sul palco. quei tre avevano un suono che riempiva ogni minimo spazio esistente, tremava qualsiasi cosa potesse tremare, una cosa del genere non l'ho mai sentita, nemmeno a un concerto dei sunn O))). la voce di scheidt lacera il buio con le sue urla mostruose mentre dalla sua chitarra escono cose che cthulhu avrebbe timore di nominare. grazie yob per tutte le ossa che ci avete tritato.

questo è un buon momento per una pausa cibo. oggi pensiamo alla salute per cui goodbye kfc, hello kebab.
al nostro appesantito (anche per il cibo) ritorno, ci si intrufola nel patronaat per quella che sarà una delle sorprese più belle del festival, ovvero i devastanti indian. 

gli americani aggrediscono duro con uno sludge violentissimo, urla lancinanti e riffazzi putridi e lo fanno con una carica animale che solleva ovazioni enormi (tutte meritate) tra il pubblico. uno di quei gruppi che "molto bello il disco ma se li perdete live siete stronzi". sapevatelo.

ci godiamo a questo punto un po' del trip dei loop, più per dovere di cronaca vista l'occasione che altro. a me fanno lo stesso effetto dei loro dischi, bello un pezzo, carino un altro, poi basta, sono tutti uguali. c'è comunque da notare come il main stage si adatti perfettamente ai suoni del gruppo, decisamente diversi dalla media.

proviamo a vedere qualcosa degli enfant prodige the vintage caravan, ragazzini islandesi che pestano un bel po' in maniera molto fortemente seventies. purtroppo però la batcave è strapiena e dopo un paio di pezzi fuggiamo, decidendo di tornare al main stage dove si preparano gli americani harsh toke.

altro gruppo palesemente più adatto al live che al disco, la formazione si basa su riff ripetuti all'inverosimile sui quali si rovesciano gli assoli casinari dei due chitarrai. poco altro da dire, un viaggio bellissimo di un'ora abbondante in posti tutti colorati, perfetta conclusione per la giornata.

giorno 4: afterburner

l'ultimo giorno di festival ha dei ritmi decisamente più umani, limitando il tutto a tre sale invece che 5.
vediamo un po' di aqua nebula oscillator, carini ma un po' troppo ripetitivi nelle idee, poi ci svacchiamo al secondo piano del main stage per vedere lo spettacolo tributo al deceduto selim lemouchi. formazione enorme (due batterie,  quattro chitarre, un basso, due tastieristi più voce solista, sorella di lemouchi), gli "enemies" propongono uno show intenso ed emozionale, molto pinkfloydiano e morbido, che ci piace assai, non sapendo nulla né di loro né del loro compianto leader.

saltiamo in pieno gli avatarium e vediamo invece una mezzoretta dell'interessantissima collaborazione chiamata the papermoon sesisons, ovvero jam collettiva con membri di papir ed electric moon. gente che sa quello che fa, anche quando non lo sa: improvvisazioni lanciate nello spazio, groove e riffazzi seventies, suonini ultradimensionali, veramente un grandissimo show. peccato però che poi yob. di nuovo. peggio.
ma come peggio? sì. i suoni la seconda volta sono migliorati ulteriormente, con nostra meraviglia assoluta. questa volta il set è libero e viene suonato anche un nuovo brano, dall'ancora inedito leading the path to ascend. mentre the great cessation è un blocco unico e massiccio, la band in questo secondo set esplora tutte le sue dinamiche, rendendo l'assalto ancora più pesante quando arriva all'apice. una inutile quanto graditissima conferma della statura superiore di questo trio che sta finalmente raccogliendo i frutti più che meritati.

proviamo poi ad entrare nel cul de sac per carlton melton e dr.space ma la calca è notevole e il caldo ancora di più per cui ripieghiamo su una buona fetta dello show dei triptykon. carini, quadrati e metallosi, a me non dicono però lo show è di indubbia qualità. preferisco provare a chiudere in bellezza con gli harsh toke nella green room ma forse è troppo presto per loro e non me li godo come il giorno prima.

quindi giorno e festival vengono conclusi in compagnia dei lumerians, curiosa band di san francisco che si presenta in tunica bianca e maschera con occhi luminosi. 

nel buio e nella condizione mentale media fa sicuramente il suo effetto. poi la musica va a toccare più o meno qualsiasi cosa sia psichedelica, dal kraut all'elettronica al drone passando dagli anni 80 del paisley underground e quant'altro, senza mai perdere in coinvolgimento e spettacolo.

:(

come ho già detto, non ho alcun dubbio sul fatto che il roadburn sia il miglior festival che abbia mai visto. in italia una cosa del genere non la vedremo mai nemmeno di traverso, rassegnamoci.
di tutte le band che ho visto (26 se non erro), nessuna nessuna nessuna era scarsa. poi i gusti sono gusti ma tutta la gente che ho visto suonare sapeva fare il proprio lavoro e non era lì per caso o per pubblicità. l'organizzazione è impeccabile, ripeto, di tutti i gruppi ne ho visto uno solo fare ritardo e venire penalizzato per questo. la scaletta dei gruppi, pur con le sue ovvie sovrapposizioni, è stata impeccabile, dando sempre ampia scelta sul genere di concerto a cui assistere. le aree ristoro erano anche due per sala, più quelle esterne, e tutto era a prezzi buoni (a parte magari l'acqua a due euro…).

non so veramente cos'altro dire, se non ci andate non capirete, è qualcosa di assolutamente magico e da oggi in poi lo aspetterò ogni anno come il natale.