martedì 2 giugno 2020

o(+>, 'emancipation'


‘emancipation’ è la miglior prova tangibile del rincoglionimento di prince sul finire degli anni 90, quella follia da control freak che lo portò prima a cambiare nome, poi a pubblicare dischi inutili, poi a uccidere un figlio. ops.
l’idiozia totale dei dettami della sua nuova religione (testimone di genova, ovviamente) lo accompagna passo per passo in una ritrovata vitalità e gioia di vivere, buon per lui, peccato che il risultato di questa nuova libertà sia un triplo disco (tre ore esatte di materiale) che, per essere realmente interessante, doveva essere ridotto a un ep da mezz’ora.

la quantità di fumo contenuta in questo disco è ineguagliata nella carriera di prince. ricordo bene che questo fu il suo primo album di cui vidi l’uscita coscientemente, tenni i soldi del compleanno per spendere ben 54000 lire per portarmelo a casa. è stato un momento importante, sì, e all’epoca ovviamente mi piaceva tantissimo e l’ho ascoltato un sacco. oggi io, da fan hardcore che consuma i suoi dischi da quando aveva 11 anni, ricordo a malapena un terzo dei pezzi di ‘emancipation’, il resto si è completamente dissolto nel nulla.

su 36 pezzi quelli degni di nota sono cinque, neanche 30 minuti totali; in un ideale best of se ne potrebbero mettere tre o quattro per rappresentanza ma dubito che qualcuno si lamenterebbe della loro assenza.
cosa è andato storto? nulla in particolare, oltre all’invasamento di prince per i dettami dei testimoni (che qualche anno più tardi ripudierà), per la sua nuova moglie mayte incinta del primo figlio di mr.nelson (che nascerà malformato e morirà nel giro di una manciata d’ore, cosa che si sarebbe potuta evitare se a mayte fosse stata permessa una visita medica che ovviamente il grande geova vieta in ogni modo) e soprattutto la tanto agognata libertà dai “tiranni” della warner con il contratto scaduto una settimana prima dell’uscita dell’album. dopo la guerra legale contro la warner, la emi non ha alcuna intenzione di tarpare le ali a prince che, ovviamente, vuole uscire con un triplo. secondo voi che problema può avere un triplo album di prince nel 1996 in cui ogni singolo cd dura esattamente un’ora per dodici pezzi? potrebbe essere dispersivo dite? già, potrebbe. 
eufemismi.

eppure si sente che prince ci credeva in questo disco, il lavoro di produzione è stato enorme, comunque produrre 3 ore di musica non è una passeggiata e il materiale qui incluso è tutto composto apposta per il progetto, senza alcun ripescaggio dalla vault. in più c’è un’evidente spinta spirituale che anima (se così si può dire) i brani, una voglia di rinascita umana e artistica che prince vede incarnate in mayte. sbagliando.
ci credeva davvero tanto, peccato fosse il progetto sbagliato in cui credere. è un disco assolutamente sincero, però è una cagata.

i tre cd in realtà sono abbastanza coesi, così come tutto l’album; pure troppo, verrebbe da dire. il primo è quasi tutto giocato su groove mid-tempo, sinuosi e marcati dal programming mostruosamente anni ’90 di kirk johnson; il secondo cd è più melodico-naif, con ballate,  (tremendi) pezzi farfalloni e una punta eclettica un pelo più accentuata; il terzo cd vira su una dance-house che puzza di vecchio già nel ’96.
la quantità di fuffa inutile è imbarazzante: ‘right back here in my arms’, ‘get yo groove on’, ‘white mansion’, ‘i can’t make you love me’, ‘one kiss at a time’, ‘emale’, ‘let’s have a baby’, ‘new wold’, ‘the human body’… non avete mai sentito nominare nessuno di questi pezzi, c’è un motivo, anzi, vari. l’inutilità regna sovrana, almeno 25 pezzi su 36 girano a vuoto, non hanno ritornelli ficcanti, hanno groove mosci e riciclati e arrangiamenti standard senza mordente. certo, poi ci sono quelli davvero brutti. nel primo cd ‘courtin’ time’ è un rockabilly swingato orrendo, plasticoso, senza alcun senso all’interno del disco, che dire poi di ‘betcha by golly wow!’, cover degli stylistics scelta come singolo di lancio. è una delle cose più disgustosamente kitsch, zuccherose e vomitevoli che possiate sentire, un vero manuale di pessimo gusto. il rocchettino artificiale di ‘we gets up’ sta sulla linea di confine tra brutto e orrendo, più o meno come ‘damned if i do’ che forse nelle intenzioni voleva suonare alla ‘sign ‘o’ the times’ ma finisce col suonare alla ‘chaos and disorder’ (che, è giusto ricordarlo, è la peggior pubblicazione dell’intero catalogo di prince), offensiva. si salvano ‘jam of the year’, bel groovazzo in apertura, e ‘in this bed i scream’, chiusura se non memorabile quantomeno gradevole con qualche melodia più azzeccata, un arrangiamento sfavillante il giusto e un bel lavoro di produzione (e un finale con una insolita vena paranoica).
il secondo cd si può buttare via così com’è, salvando unicamente ‘saviour’, che poi è il pezzo migliore di tutto l’album, una bellissima ballata con ancora michael bland e sonny t alla ritmica, un gran crescendo con una grandiosa prestazione di prince alla chitarra, gran ritornello e atmosfera azzeccata, è l’unico pezzone su 36. ‘the holy river’ è invece tra i peggiori, il classico esempio di brano che vorrebbe essere semplice e invece risulta banale, con una orrenda chitarra acustica da spiaggia e un maldestro tentativo finale di rialzare il pezzo con una sezione strumentale che lascia più perplessi che altro. di ballate come ‘one kiss at a time’ negli anni ’90 ne abbiamo sentite davvero troppe e questa non fa niente per farsi riconoscere. ‘soul sanctuary’ invece fa una cosa per farsi riconoscere: fa vomitare. sembra la versione rincoglionita di ‘scandalous’ o ‘when 2 r in love’. ‘curious child’ (che a me pare un pezzo dei pain of salvation) è talmente fuori contesto che non si capisce nemmeno se sia brutta del tutto o solo in parte mentre ‘dreamin’ about you’ è proprio una cagata. il secondo cd è letteralmente da buttare via tutto salvando solo saviour.
il terzo non va meglio, va meno peggio. è un album techno-prince in cui le influenze house-techno-dance da primi anni ’90 la fanno da padrone. si salva l’apertura ‘slave’, interessante perché sembra rileggere in chiave prince-iana certe trovate del jackson di ‘dangerous’, a partire da un rullante minimal secchissimo, cori in minore con armonie molto marcate e un feeling più drammatico del solito, oltre ad un inciso percussivo devastante che funziona molto bene. purtroppo la seguente ‘new world’ sembra una outtake di ‘come’ che già era un disco del cazzo. ‘the human body’ rilegge la house di inizio ’90 con 6-7 anni di ritardo, alla meglio annoia, alla peggio fa ridere. ’face down’ sarebbe stata bene su ‘the gold experience’ se fosse stato un disco completamente senza palle. per fortuna non lo era e ‘face down’ infatti non c’era. per la cover di ‘la la means i love you’ dei delfonics valgono più o meno le stesse considerazioni di ‘betcha by golly wow!’, avrete i conati di vomito ora della metà della prima strofa. ‘style’ incarna perfettamente questo terzo cd: groove che tenta un minimo di presa ma pezzo che gira completamente a vuoto, non fa schifo ma nessuno si ricorderà mai della sua esistenza. 
e tutto continua a girare pietosamente a vuoto fino alla bella conclusione della tlte-track, finalmente un pezzo cazzuto con un bel ritornello e prince che si incazza, un gran basso slappato, figata. si devono subire tre ore di martellate sulle palle ma alla fine c’è un altro bel pezzo.

il commento migliore che possa riassumere tutto ciò è: e vabbè, è andata così. ci ha creduto, aveva i mezzi, aveva l’entusiasmo ma le canzoni gli sono orrendamente mancate. c’è una monotonia di base che annoia già a metà del primo cd, gli arrangiamenti sono sempre gli stessi, mancano i ritornelli, i groove sono freddi, i testi oltre lo stucchevole.
il peggiore di prince? no, prima ci sono almeno ‘chaos and disorder’ e ‘come’, di sicuro però anche per i fan hardcore è un’impresa ascoltarlo tutto di fila e la fatica in questo caso non regala alcuna soddisfazione finale se non un sospiro di sollievo. era l’inizio del periodo peggiore di tutta la sua carriera, ha senso che l’abbia inaugurato in grande stile. 
fuggite, sciocchi.