giovedì 9 luglio 2020

pain of salvation, 'remedy lane'


chiedere a un fan dei pain of salvation se preferisca ‘the perfect element’ o ‘remedy lane’ è più o meno equivalente alla domanda “vuoi più bene alla mamma o al papà?”. sono due dischi vicini nel tempo, nel suono e anche nel concept, per quanto ‘remedy lane’ sia molto più legato alle esperienze personali di gildenlöw, è quasi unicamente questione di affetto, di quale si è ascoltato prima.

strutture e composizione si affinano ulteriormente, smussando gli angoli più grezzi di ‘element’ e cristallizzando la formula pain of salvation in ogni sua sfumatura: il mix di generi, la profonda emotività, le armonie vocali sbiellate, i tempi composti, le strutture in evoluzione, ogni elemento del suono del gruppo trova il suo apice in ‘remedy lane’, a scapito forse (ma in maniera molto lieve) di un po’ di istintività che ancora guidava ‘element’.
la voce di daniel è ormai lanciata verso l’infinito e oltre, le sue interpretazioni sono tutte stellari, con l’apice di ‘undertow’ a cui arriveremo tra poco.
partiamo da una considerazione su come suona il disco: malino. le take non sono le migliori e il mix, come in ‘the perfect element’, tende ad impastare più che a far uscire i singoli strumenti; se da un lato questo può fare innervosire chi cerca la pulizia sonora, dall’altro crea un mare di suoni in cui, ancora una volta, gli strumenti si perdono in un insieme dal fortissimo carattere. nel 2016 la band ha pubblicato un remix del disco, pitoccato da jens bogren ai fascination studios, suona meglio ma anche un pelo più finto (e in ogni caso a me ‘ste cose non son mai piaciute per cui io vi parlo del disco originale del 2002).

ancora tre capitoli, altri quasi 70 minuti di musica, un’altra storia che tratta di crescita, sesso, rapporti umani e tradimenti, questa volta più fisica del solito. quello che importa è che di nuovo il disco si basa su una serie di idee e pezzi originali e vincenti che funzionano perfettamente sia nella loro consequenzialità narrativa che presi singolarmente. basta guardare il primo capitolo: dopo l’intro ‘of two beginnings’ il gruppo mette in fila la solenne apertura di ‘ending themes’, ancora con un rap di gildenlöw inserito nella trama lenta e oppressiva del pezzo, il prog incontenibile di ‘fandango’, basata su una melodia in 10/4 e retta da una ritmica tanto fantasiosa quanto compatta, la lunga e teatrale ’a trace of blood’, in cui la prova vocale di gildenlöw è ancora protagonista sopra a una struttura in perenne assedio dalla sezione ritmica, per chiudersi con la delicata ballad ‘this heart of mine’, non lontana da ‘morning on earth’ ma meno marcia e ancora più emotiva. 
chiuso un capitolo del genere ci si aspetta che il disco si rilassi un attimo, invece fa come ‘breaking bad’ e continua a migliorare con ogni pezzo: il secondo capitolo è praticamente un miracolo a parte, una sequenza di 4 pezzi che definire perfetti sarebbe un eufemismo. ‘undertow’ è uno dei classici più classici, una cupissima (musicalmente quanto liricamente) ballata impegnata in un crescendo dinamico ed emotivo da pelle d’oca, legato ad una delle migliori prestazioni vocali di daniel in assoluto; ‘rope ends’ è più prog del prog, un susseguirsi di ritmiche stronze, tempi dispari e cambi di atmosfera che lascia senza fiato, pur senza perdersi nel mero esercizio e mantenendo l’intensità che percorre il disco, grazie anche a stupendi giochi di armonie vocali. la vera perla però è probabilmente ‘chain sling’, esempio di come un’ispirazione sincera possa far convivere melodie dai toni world con metriche assurde, giochi di voci ed emotività profonda, un gioiello tra i più brillanti nella storia dei pos. il capitolo si chiude con il delicato strumentale ‘dryad of the woods’, perfetto nel dare un attimo di luce in mezzo a tanta disperazione.
il gran finale inizia con l’inutile intermezzo synth di ‘remedy lane’, più utile come intro dal vivo che altro, ma prosegue con ‘waking every god’ che è tutto meno che inutile. ricordo che all’epoca dell’uscita del disco un recensore di un famoso giornale del metallo dichiarò qualcosa come “la maggiorparte dei gruppi prog venderebbe la madre per poter scrivere un pezzo così”; vero, nulla da dire. come ‘reconciliation’ sul disco prima, fa la parte del pezzo rock “normale” ma è continuamente insediata da piccole trovate ritmiche che la rendono meravigliosa. ‘second love’ è un pezzo scritto da gildenlöw molti anni prima ed è forse il momento più debole del disco, una ballata non brutta ma leggermente fuori contesto come melodie; poco male perché a seguire c’è invece il miglior pezzo del disco, ‘beyond the pale’. come per la canzone ‘the perfect element’, siamo di fronte ad un brano che può riassumere l’intera carriera del gruppo; questa volta però, nonostante la sezione ritmica sempre fenomenale, nonostante bizzarri giochi di chitarre, nonostante le onnipresenti tastiere di hermansson, le luci sono tutte puntate su daniel, la sua interpretazione è straripante, profonda, emotiva, potente, assolutamente memorabile nell’immergersi in un testo torbido fatto di sesso e desideri proibiti. un capolavoro nel capolavoro, capace di regalare melodie suadenti quanto momenti di rabbia cieca con il sangue agli occhi.

con questo disco di fatto i pain of salvation sono esplosi nel mondo, tutta la critica si è finalmente accorta di loro e i dream theater se li sono portati come spalla nel loro tour europeo del 2002. poco dopo l’ego di gildenlöw inizierà a prendere il sopravvento, portando pian piano la formazione a sfaldarsi, prima che succeda questo però il gruppo riuscirà ad infilare almeno un altro capolavoro e due grandi dischi come ‘be’ e ‘scarsick’. comunque ‘remedy lane’ è un disco imperdibile per chiunque ami il progressive, i concept album e l’originalità, un altro tassello fondamentale nella storia di un gruppo unico.