lunedì 6 luglio 2020

pain of salvation, 'entropia'


daniel gildenlöw forma i reality a eskilstuna nel 1984, a 11 anni, assieme all’amico chitarrista daniel magdic. iniziano a suonare in giro per la svezia e a farsi conoscere, intanto si uniscono al gruppo il batterista johan langell e il bassista gustaf hielm (che diventerà uno dei migliori bassisti metal in circolazione, suonando con meshuggah, townsend, mats/morgan e molti altri). sembra che durante un’ora di matematica nel 1991, il diciottenne daniel abbia pensato il nome pain of salvation per il suo gruppo e deciso di usarlo al posto del banale ‘reality’.

così prende il via la storia di un gruppo che è entrato a gamba tesa in un genere che ormai era la presa per il culo di se stesso (il progressive), mostrando a tutti come ritrovare la strada verso una musica umana ed emozionale, lontana dagli sbrodoloni strumentali autoreferenziali di tutta una serie di gruppi clonati.
questo può succedere perché i riferimenti di gildenlöw e soci non sono tanto i soliti mostri del prog o prog metal (genesis, king crimson, rush, queensryche o dream theater, che comunque non mancano) quanto i beatles, i faith no more, i buckley o il musical di broadway. ciò comporta un’attenzione alla melodia e all’emotività delle composizioni di gran lunga superiore alla media progressive e avvicinabile in quegli anni solo a ciò che mikael åkerfeldt stava facendo con gli opeth (sebbene decisamente meno estremo): gildenlöw scrive canzoni, non esercizi. capita che queste canzoni abbiano spesso strutture complesse, cambi di tempo e di atmosfera e durate notevoli ma ciò succede per un’evidente necessità narrativa (tutti i dischi sono concept) e comunicativa, non per vezzo del musicista che vuole farsi figo.
il suono dei pain of salvation è orgogliosamente frutto delle mani dei musicisti e non di produzioni milionarie, i timbri sono sempre molto naturali e il riverbero nel mix non è mai esagerato, la profondità è ottenuta con stratificazioni strumentali che fanno da palco per le sovrannaturali interpretazioni di gildenlöw. già, perché alla fine la vera arma imbattibile dei pain of salvation è proprio la voce di daniel: versatile, agile, potente, sporca quando vuole e dall’estensione disumana, capace di ricordare tanto mike patton quanto prince o jeff buckley passando da rap a strofe melodiche ad acuti impressionanti arrivando anche a momenti urlati (mai comunque scream o growl).

‘entropia’ è il primo disco della band, registrato e pubblicato nel ’97 dopo il demo ‘hereafter’ (che già conteneva molti dei brani del disco) e dopo l’ingresso in formazione di kristoffer gildenlöw, fratello di daniel, in sostituzione di hielm al basso. il tocco di kris sul fretless diventerà un marchio di fabbrica per la band, quando uscirà nel 2006 le cose cambieranno non di poco.
è stato definito come il disco più eclettico del gruppo, in realtà si può anche dire che sia non completamente a fuoco, difetto assolutamente comprensibile per un esordio. di fatto ‘entropia’ butta un quintale di carne sul fuoco, sia musicalmente che liricamente con un concept fanta-bellico-distopico-fiabesco un po’ naif e mediamente pretenzioso (del resto con ‘be’ si arriverà al concept sulle ragioni dell’esistenza divina, tutto sommato siamo ancora quasi coi piedi a terra). è anche il primo concept “tripartito” di gildenlöw, una formula che si ripeterà per molti dei dischi successivi.

non è tutto oro, non ancora almeno, ma ci sono già una manciata di pezzi che resteranno nella storia della band. ‘! (foreword)’ in apertura contiene già tutti i tratti distintivi: chitarre aggressive che si stemperano in arpeggi bizzarri, una ritmica compatta quanto fantasiosa e dinamica e su tutto la voce di daniel a dar prova della sua duttilità. la mini-suite ‘people passing by’ in nove minuti passa da groove obliqui ad aperture drammatiche, anticipando la profondità degli album successivi e facendo il paio con la bellissima ‘nightmist’ che viaggia su binari molto simili. la prima vera perla del disco è ‘winning a war’, sintesi perfettamente bilanciata di tutti gli elementi del suono del gruppo contenuti in una composizione intelligente, melodica ma di grande impatto e soprattutto coinvolgente ed emotiva. come epilogo troviamo il secondo gioiello chiamato ‘leaving entropia’, splendida melodia adagiata su un’armonia per nulla banale ma arrangiata semplicemente per chitarra acustica e voce, un pezzo che sul live ’12:5’ riuscirà ad innalzarsi ancora di più ma che per ora mostra come sia possibile fare progressive senza pressare cinquanta note in ogni battuta.

il resto non è assolutamente brutto ma risente un po’ di più dell’”effetto esordio”: ‘stress’, revival’ e ‘to the end’ sono tre declinazioni piuttosto simili del lato più prog-metal del disco mentre ‘oblivion ocean’ e ‘plains of dawn’ risultano un pochino “troppo”, trascinate da un’enfasi drammatica che non ha ancora la maturità o la profondità di una ‘ashes’ o ’undertow’; restano comunque degli episodi interessanti, soprattutto nei bizzarri arrangiamenti vocali.

non parliamo di un capolavoro ma ‘entropia’ è un disco che ha presentato al mondo un gruppo con un carattere già spiccato e una quantità di idee interessanti da far impallidire la stragrande maggioranza dei colleghi. è una promessa che verrà mantenuta entro 5 anni con tre dischi che porteranno i pain of salvation nell’olimpo del progressive.