mercoledì 11 aprile 2018

prince and the revolution, 'purple rain'


ed eccoci qui, il momento in cui prince diventa ufficialmente un fenomeno mondiale, l’esplosione su grande scala. il successo di ‘purple rain’ è tale che la maggiorparte delle persone conoscono solo questo disco di prince o addirittura solo la title-track. com’è stato possibile questo successo? i fattori in gioco sono tanti, sedetevi comodi e parliamone.

‘1999’ aveva avuto un successo enorme e aveva presentato il personaggio che prince avrebbe interpretato per il resto degli anni ’80, un’estetica fatta di glitter, pose provocatorie, un’oscillazione costante tra sciupafemmine efebico e chitarrista rock macho, il tutto immerso in un viola profondo, a metà tra il vellutato ed il minaccioso. 
musicalmente poi aveva creato un mondo, solidificando il suono di minneapolis ed introducendo già una parte rock bianca che ora prenderà il sopravvento.
la musica pubblicata su ‘purple rain’ è stata tutta scritta tra l'83 e l’84, a parte ‘baby i’m a star’, una cui versione demo viene fatta risalire a fine ’81. questo dimostra, ancora una volta, una chiarezza di intenti invidiabile da parte di prince: il cambio di suono rispetto a ‘1999’ non è indifferente, ci si aspetterebbe un disco di transizione per arrivare ad una forma compiuta mentre prince, grazie alla qualità assoluta delle composizioni, riesce a centrare l’obiettivo al primo colpo.
come vedremo più avanti, la quantità di materiale composto in questo periodo è enorme (duane tudahl ci ha scritto un intero libro, “prince and the purple rain era studio sessions: 1983 and 1984”), tanto che molte di queste canzoni finiranno in dischi successivi (‘raspberry beret’ e ‘pop life’ su ‘around the world in a day’ ad esempio) o come b-side di singoli (’17 days’, ‘erotic city’, ‘god’, ‘another lonely christmas’ prima, poi la stupenda ‘she’s always in my hair’ e ‘girl’) oppure dimenticate nei meandri della sconfinata vault di paisley park. 

ma veniamo al disco in sé finalmente. no, non è vero, manca ancora un po’. questo perché  ricordiamoci che il disco non è altro che la colonna sonora del film, almeno nella testa di prince; poi che il film sia un’opera assolutamente trascurabile e il disco un capolavoro è un altro discorso, il nano comunque ha investito una quantità importante di tempo e soldi nel progetto cinematografico ed ha anche avuto un buon successo nelle sale. è il film migliore di sempre? beh sì, certo, è un film con prince, ma a parte questo particolare, no, non lo è neanche alla lontana. è un film che parla di conflitti su vari livelli senza approfondirne veramente nessuno, resta un po’ per aria e funziona grazie all’immagine di prince e dei revolution, altrimenti nessuno se lo sarebbe mai filato.
ecco, i revolution. finalmente hanno modo di farsi sentire in buona parte dei nuovi pezzi e questa volta non solo come coristi. i tre pezzi finali dell’album, ‘i would die 4 u’, ‘baby i’m a star’ e ‘purple rain’, giungono direttamente da un live del 3 agosto 1983 al first avenue di minneapolis e includono quindi la lineup completa: bobby z alla batteria, brown mark al basso, wendy melvoin alla chitarra ritmica, lisa coleman e matt fink alle tastiere. questa è la band che accompagnerà prince per altri due dischi (editi) dopo ‘purple rain’ e per i relativi tour, prima che venga sciolta dallo stesso prince prima della pubblicazione di ‘sign o the times’.

l’organo che apre ‘let’s go crazy’ ha un valore religioso per un fan di prince, è il segnale dell’inizio di una festa che non finisce mai, è la campanella di fine lezioni, è il suono del treno della metro quando rientri il venerdì sera. il tono ieratico con cui poi veniamo invitati a perdere ogni controllo non fa che accentuare questo aspetto religioso, discendente in qualche modo di quelle note iniziali di ‘a love supreme’ di coltrane. nello svolgersi del pezzo si viene investiti da un’onda di suono a cui è impossibile resistere, fino a quel momento in cui il fiato si ferma e si rimane sospesi con un feedback di chitarra lancinante, prima del pirotecnico finale. c’è ancora quel tono da rituale post-apocalittico di ‘1999’ ma questa volta dopo la linn drum non entra un esercito di synth, bensì una sezione ritmica rock che sposta completamente il baricentro del suono. il funk è ancora presente ma ‘purple rain’ è uno dei dischi più bianchi di prince e sicuramente il suo disco più rock degli anni ’80: le schitarrate e doppia cassa in ‘darling nikki’ sono difficili da ricondurre alla tradizione afroamericana, così come le trame pop di ’take me with u’ o lo svolgersi di ‘computer blue’ (soprattutto nella sua versione integrale, ci arriviamo poi) (ve l’avevo detto di mettervi comodi, ne ho ancora per un bel po'). 
questo è poi un disco che crea un precedente importantissimo: uno dei suoi singoli di maggior successo è ‘when doves cry’, ovvero il primo pezzo funk senza basso di prince, due anni prima di ‘kiss’. la canzone non solo sta in piedi comunque ma si eleva fino ad essere uno dei brani migliori mai scritti dal nano grazie ad un riff di tastiera memorabile e ad un’interpretazione drammatica e profonda della voce.
come dicevo prima, le basi per il trittico finale sono state registrate dal vivo al first avenue di minneapolis; su queste poi sono state operate sovraincisioni varie per arrivare al risultato finale ma la carica dell’esecuzione live si fa sentire sia in ‘i would die 4 u’, gioiello melodico ammantato di una vaga psichedelia che tornerà nel disco successivo, che in ‘baby i’m a star’, pezzo tirato e festaiolo che fa da perfetto perambolo al finale dell’album. e che vi devo dire del finale dell’album? è il pezzo più famoso di prince, è diventato il suo simbolo, è la canzone che tutti volevano sentire ai suoi concerti. è una ballata lenta e molto aperta, con ampi spazi lasciati alle code dei suoi, ai riverberi, allo spazio tra le note; conta su una delle migliori performance vocali che prince abbia mai registrato, nonché su un assolo di chitarra che mostra tutto il suo feeling sullo strumento. è graziata da un trio d’archi arrangiato da david coleman, fratello di lisa che si occupa di tutti gli archi nel disco (un fatto non da poco visto che di lì a breve da ‘parade’ inizierà la collaborazione con il maestro clare fischer). una canzone perfetta, inattaccabile da ogni punto di vista, che rappresenta il culmine emotivo di un album (e film) pseudo-biografico in cui particolari reali della vita di prince si intersecano a storie e leggende che lo accompagneranno per tutta la carriera (il rapporto con suo padre era buono, tanto che a volte gli regalava crediti per le canzoni).

se il materiale pubblicato sul disco è praticamente perfetto, quello rimasto fuori non è tanto da meno, anzi. partiamo da ‘computer blue’, 3:59 sul disco, 12:19 nella sua versione integrale, la cosiddetta ‘hallway speech version’, recentemente pubblicata sulla ristampa di ‘purple rain’ (osceno e criminale il remaster ma il materiale bonus è assolutamente da avere, incluso il dvd con l’intero concerto al carrier dome di syracuse dell’85). in quasi un quarto d’ora di musica, prince riesce a cambiare continuamente feeling, passando dalla parte cantata a una lunghissima sequenza strumentale in cui, su un beat costante, vengono continuamente introdotti temi e suoni nuovi, prima di deragliare in una coda rumoristica. la sintesi dell’album è comunque un’opera incredibile ma questa versione mostra ancora una volta la capacità di prince di operare su lunghi brani.
ci sono poi le b-sides: ’17 days’, ‘erotic city’, ‘god’ e ‘another lonely christmas’. se ‘christmas’ può essere trascurata (un pezzo rock da stadio non brutto ma neanche eccelso), le altre tre canzoni sono invece assolutamente a livello dei brani dell’album. ‘god’ esiste in due versioni, una è una ballata di 4 minuti per piano, voce e synth, molto sentita e dagli acuti impressionanti, l’altra è uno strumentale di otto minuti che si inerpica addirittura per territori progressive, trainato dalla chitarra selvaggia e avvolto in pad sintetici. dal vivo poi era un’altra cosa ancora, un dialogo parodistico tra prince e la voce di dio che era più scena che musica.
in ’17 days’ si sente pesantemente la mano dei revolution, soprattutto di wendy e lisa: il riff portante di tastiera è loro e arriva da una jam in studio. il pezzo ha una melodicità tutta sua, con ancora una volta quel tocco psichedelico e sixties che si sposa alla perfezione con il lato più naive di prince. ‘erotic city’ invece sembra provenire già da ‘lovesexy’ (non a caso aprirà i concerti di quel tour nell’88/89), un pezzo dance scarnificato che inizia ad esplorare il mondo dell’effettistica vocale accelerando il nastro della voce principale, un espediente che in futuro prince utilizzerà pesantemente. 
nel frattempo vengono composti brani anche per i ‘protetti’, ad esempio i the time e sheila e, futura batterista/percussionista/corista della band di prince che in questo periodo esordisce sul mercato con ‘the glamorous life’, disco trainato dall’omonimo singolo di grande successo… scritto da prince. ci sono poi le vanity 6, per le quali in questo periodo viene scritta ‘g-spot’, divertente pezzo danzereccio di gran lunga più interessante nella versione cantata da prince. viene anche scritta ‘manic monday’, regalata poi alle bangles e pubblicata nell’86 su ‘different light’.
diverso il destino invece di ‘a place in heaven’, delicata ballata in falsetto reperibile in due versioni, una cantata da prince e registrata in questo periodo, l’altra con lisa alla voce principale, ipotizzata nella scaletta di ‘dream factory’, album poi abortito di cui varie canzoni finiranno in ‘sign o the times’.

chiudiamo questa rassegna degli inediti con due dei brani più sperimentali mai registrati da prince, ovvero ‘cloreen bacon skin’ e ‘billy’ (o ‘billy’s sunglasses’, dagli occhiali che porta il personaggio di billy sparks nel film ‘purple rain’). la prima verrà pubblicata solo nel ’98 su ‘crystal ball’, è un duetto con prince al basso e voce e morris day alla batteria, un quarto d’ora di improvvisazione con la voce filtrata di prince che racconta di una sua fantomatica prima moglie molto grassa chiamata, appunto, cloreen. l’esperimento non è un caso isolato, troviamo un suono molto simile in bob george sul ‘black album’, ad esempio, altro delirio su base basso/batteria funk e zozza. ‘billy’ invece è un’esperienza. è un’improvvisazione di gruppo durante una prova nell’83 in cui prince suona la chitarra in un modo estremamente rock, come gli si sentirà fare in abbondanza più avanti nella carriera. il beat incessante e le tastiere di fink sono una cornice perfetta per questo sproloquio vocal/hendrixiano che dura ben 51 minuti, un viaggio non per tutti ma sicuramente consigliato a chi vuole farsi un’idea della versatilità di prince.


bene, è stata lunga ma siamo giunti alla conclusione. come avrete capito, l’album ‘purple rain’ è solo la punta di un iceberg chiamato prince. è la summa della produzione di quel periodo e ne è sicuramente una rappresentazione fedele, per quanto sintetica. è la fotografia di un momento in cui la creatività di prince cresceva di pari passo con le sue capacità e conoscenze, aiutato anche dalla musica che wendy e lisa gli facevano ascoltare (sorpattutto jazz e classica, influenze che esploderanno su ‘parade’). è uno dei momenti di sinergia migliore insieme a una band che, per quanto fondamentale nell’evoluzione dell’artista americano, durerà un attimo e scomparirà nel 1986, solo due anni dopo la pubblicazione di ‘purple rain’. è la dimostrazione che anche negli anni ’80, con i suoni degli anni ’80, si poteva fare grande musica da tramandare alle generazioni future e da conservare nella memoria collettiva.

ps: alcuni dei brani che ho citato nella seconda parte dell'articolo sono molto difficili da reperire. il mio consiglio è di cercare in giro per internet quello scrigno meraviglioso chiamato 'work it 2.0', una raccolta di 34 (sì, 34) cd di materiale inedito che è trapelato negli anni dalla vault, brani inediti, demo, versioni alternative, etc., tutto diviso cronologicamente. se foste interessati contattatemi in privato.