lunedì 16 aprile 2018

prince and the revolution, 'parade'


veniamo quindi all’ultima uscita targata prince and the revolution, la colonna sonora del secondo lungometraggio del folletto di minneapolis, ‘under the cherry moon’.
‘parade’ è l’apice di un percorso iniziato con ‘1999’, è il momento in cui le influenze portate soprattutto da wendy e lisa, jazz e classica su tutte, convergono a creare un ibrido di musica assolutamente moderna che però mantiene solide le sue radici nella tradizione. quale tradizione? dipende, come vedremo. intanto bisogna anche notare il cambio netto di estetica: scompare completamente il viola, così come tutti i colori ad eccezione del bianco e nero. la patina vintage è fortemente voluta da prince e si adatta splendidamente alle canzoni, mentre risulta piuttosto ridicola nel film. già, perché ancora una volta ci troviamo di fronte ad una colonna sonora, e questa volta ancora più che per ‘purple rain’ sarebbe il caso di sorvolare sulla controparte cinematografica. invece no, certe cose vanno dette: ‘under the cherry moon’ è una cagata pazzesca. un film in bianco e nero, girato e ambientato a nizza, dove prince interpreta un artista squattrinato (credibile quanto una moneta da 4,23 euro), seguito dal suo fido compare jerome benton dei the time. si innamora di un’artistocratica, blablablablabla alla fine muore in maniera tragicomica. davvero, lasciamo perdere, pensiamo invece al disco. 
(siccome questo è molto probabilmente il mio disco preferito di prince, ogni tanto potrei perdere un po’ il controllo, a partire dal fatto che farò una cosa che in genere evito accuratamente: il temutissimo e nerdissimo track-by-track.)

‘christopher tracy’s parade’ apre le danze, ed è il caso di dire che lo fa col botto. l’evento più importante da registrare è l’inizio della collaborazione con clare fischer (ed il figlio brent), un artista che herbie hancock ha definito come una grossa influenza sul suo pensiero armonico, non so se rendo l’idea. multistrumentista ed arrangiatore per i hi-lo’s, michael jackson, paula abdul, chaka khan, branford marsalis e molti altri, fischer ha contribuito in maniera massiccia alla riuscita di alcuni dei brani più belli della produzione di prince, con un apice inarrivabile come ‘crystal ball’. in ‘parade’ fischer porta l’aria europea, molto cercata nelle atmosfere e negli arrangiamenti (e anche nel film, ma lasciamo stare); l’orchestra si rivela strumento versatile nelle sue mani, riuscendo, a seconda del brano, ad assecondare o contrastare le idee di prince. in ‘christopher tracy’s parade’ l’impatto non è morbido: la fusione delle due parti genera un muro di suono che non può non riportare la mente al ‘sgt. pepper’, una sbronza di suoni e colori, fiati, archi, cori e quant’altro che lascia storditi. inizia qui anche un'altra collaborazione importante, quella con Eric Leeds, sassofonista che ricoprirà un ruolo fondamentale nel periodo subito successivo a ‘parade’ (dai dischi pubblicati come prince al grandioso esperimento madhouse, passando per le jam post-concerto al trojan horse o allo small club, leeds sarà una forza propulsiva per la musica di prince).
interessante è il processo di registrazione dei primi 4 brani del disco: prince diede ordine di far partire il nastro, si sedette alla batteria e suonò queste 4 canzoni di fila senza mai fermarsi, buona la prima, poi nel giro di qualche ora aggiunse tutti gli altri strumenti e voci.
se questo è l’inizio, il resto come può proseguire? svuotando tutto, asciugando ogni colore e distillandosi in ‘new position’, funk secchissimo (come james brown amava) e storto dall’arrangiamento asciutto ma ricco di cori, molto vicino alle sonorità di ‘kiss’, a parte per un basso irresistibile che guida tutto il brano. nessuna pausa tra i primi due brani e nessuna prima di ‘i wonder u’, vortice sonoro che vede la voce di wendy melvoin protagonista, circondata da effetti sonori, una chitarra aliena e le orchestrazioni di fischer (soprattutto flauti) sparse negli spazi. ancora non ci viene dato il tempo di respirare, dopo solo 1:40 si passa a ‘under the cherry moon’, ballata pianistica in cui c’è molto da notare. sono i dettagli a rendere incredibile ‘parade’ e questo brano lo dimostra: il pianismo jazz è sottinteso all’accompagnamento, la tradizione europea arriva con gli archi che avvolgono le melodie, il vento mediterraneo soffia con dei mandolini nascosti tra gli strumenti; si nota l’eterna alternanza tra il prince sciupafemmine (‘i guess we’ll make love under the cherry moon’) e quello macho egocentrico (‘maybe i’ll die young like heroes die’, come poi fa succedere nel film. ma lasciamo perdere.), c’è il contrasto tra l’artista rinchiuso in studio in solitudine (suona tutti gli strumenti non orchestrali) e quello aperto alle collaborazioni ed influenze (difficilmente sarebbe arrivato a scrivere un pezzo così senza wendy, lisa e fink). una canzone importante, oltre che bellissima, posta in chiusura di un medley iniziale che non ha mezze misure e lascia senza respiro.
ci si sente un po’ più a casa con ‘girls and boys’, uno dei brani più longevi nelle scalette dei concerti, un funk venato di paranoia che gioca con gli incastri degli strumenti un po’ come faceva ‘when doves cry’. è anche il primo brano in scaletta a vedere la partecipazione di tutti i membri dei revolution e suona infatti molto organico e compatto (wendy melvoin racconta che al tempo, durante le prove, erano soliti improvvisare anche per 4 o 5 ore di fila, senza pause, prendendo un groove e usandolo come un mantra. sono evidentemente le situazioni da cui nascono brani come questo, ‘mountains’, ‘america’ o ‘billy’). nonostante si torni su sentieri più familiari, resta un senso di cambiamento forte: anche solo il sax di leeds è qualcosa di nuovo per uno che faceva bandiera del suo sostituire i fiati con i synth, inoltre le melodie del brano sono tutte sbilenche, con momenti di dissonanze inaspettate. il discorso è lo stesso ma il suono ancora più straniante in ‘life can be so nice’, un pezzo che stordisce con armonie forzate e di grande impatto, oltre a un treno ritmico inarrestabile che ha apice in un break guidato dalla doppia cassa (tutto suonato in solitaria da prince, of course. c’è sheila e ma suona solo il cowbell) su cui wendy e lisa incrociano le voci con quella di prince in cori sincopati in rapida sequenza. non proprio roba di tutti i giorni, ecco. il primo lato del disco si chiude con ‘venus de milo’, un delicato strumentale che continua il discorso di ‘under the cherry moon’ in punta di piedi, un’oasi estremamente piacevole in mezzo al marasma sonico dell’album.
dopo neanche due minuti ‘mountains’ deflagra dalle casse e ci si trova davanti uno dei momenti più alti del disco e, conseguentemente, della carriera di prince. il tiro è quello classico del suono di minneapolis, l’arrangiamento è ricco e lussurioso (matthew 'atlanta bliss' blistan si aggiunge con la sua tromba al sax di leeds), l’orchestra sottolinea ed enfatizza l’epicità della canzone, soprattutto nello special strumentale fatto di obbligati e sincopi. le melodie portanti sono semplicemente bellissime ed il tutto si somma in una canzone intensissima. momento di relax con ‘do u lie’, divertissement jazzato d’epoca, leggero e riuscito, ottimo per introdurre un’ultima parte di disco che non fa prigionieri.
su ‘kiss’ o si scrive un libro intero o si cerca di stare in un paio di righe. proverò la seconda opzione, fallendo. cazzate a parte, cosa volete che vi dica che non sappiate già? magari non sapete che era stata scritta (6 giorni dopo l’uscita di ‘around the world in a day’) per i mazarati, gruppo di brown mark, come pezzo blues; i mazarati l’hanno virata funk, prince l’ha sentita, se l’è ripresa, ha tenuto batteria e cori del gruppo ed ha aggiunto tutto il resto, lasciando intenzionalmente fuori il basso. mitologia a parte, sintetizza alla perfezione la parte funk di ‘parade’: suono secchissimo, arrangiamenti asciutti e percussivi, cori profondi che punteggiano la voce principale, un sunto dell’anima più zozza del disco.
‘anotherloverholenyohead’ chiude invece il discorso di ‘life can be so nice’ e ‘mountains’: anima rock, tiro funky e una profondità di suono che contrasta con la frontalità del pezzo precedente. ha un ritornello da stadio che l’ha riportata dal vivo molto spesso, con grande felicità dei fan. in mezzo al pezzo ricompare l’orchestra, portando la consueta punta di psichedelia con giochi melodico-armonici che spostano il brano verso il finale, dove c’è un continuo aprirsi in momenti quasi astratti e riprendere il tiro solido del brano.
forse avrete intuito che a me prince piace e mi piace parlare della sua musica. molto. vi dico la verità, di fronte a ‘sometimes it snows in april’ mi trovo regolarmente senza parole. non le trovo, non credo che esistano, almeno non quelle che vorrei. è una ballata acustica, wendy alla chitarra e cori, lisa al piano e cori e prince alla voce, registrata il 21 aprile del 1985 ai sunset studios di hollywood; esiste un arrangiamento orchestrale di fischer ma prince ha preferito escluderlo da questa versione. è comparsa più o meno regolarmente in quasi tutti i tour seguenti e ne esistono due versioni live ufficiali del 2002. vi ho appena detto aria fritta. perché? perché il momento in cui la voce di prince sussurra “maybe one day i’ll see my tracy again” e tutti gli strumenti restano sospesi in un vuoto che è la risposta a quella speranza… boh, non lo so come spiegarvelo. ditemelo voi perché io non lo so.

e così ho finito

di parlarvi dei pezzi del disco, poi c’è tutto il resto: b-side, pezzi scartati e tour (risata diabolica).
partiamo dalle b-side, che quantomeno sono state pubblicate ufficialmente.
‘love or $’, b-side di ‘kiss', è il primo pezzo pubblicato da prince in cui c’è la partecipazione di eric leeds. è un funk asciutto e secco, perfettamente in linea col suono di ‘parade’, ma presenta anche una pienezza timbrica che guarda già a ‘sign o the times’; non si sa molto di certo su chi suoni nella canzone, di sicuro wendy, lisa e leeds.
‘alexa de paris’ invece è stata pubblicata come b-side di ‘mountains’ (e si sente nel film. ma lasciamo perdere.) ed è un pezzo strumentale curioso, a partire dalla lineup: prince suona tutto tranne la batteria che viene suonata da sheila e invece che dal fido bobby z; oltre ai due c’è “solo” l’orchestra arrangiata da clare fischer. è una canzone che mantiene tutto il profilo melodico di parade ma per struttura e pomposità se ne allontana decisamente, ricordando più cose future come ‘3 chains o’ gold’ nella sua magniloquenza quasi progressive. di certo è un piacere sentire quella chitarra svolazzare libera per gli ampi spazi di un brano tutt’altro che inferiore, solo piuttosto diverso.
curiosamente questi due brani sono gli unici b-side del periodo 82-86 a non essere stati inclusi nel terzo cd di ‘the hits/the b-sides’, non ci è dato sapere il perché.
venendo poi ai pezzi scartati, c’è da restare a bocca aperta davanti a ‘all my dreams’: un tripudio di arrangiamenti bizzarri, cori, tasiere, voci filtrate, un break jazzato in mezzo al brano e un finale epico con tanto di coro in stile gospel (non sono pervenuti commenti di prince riguardo alla canzone ma se avesse osato ancora una volta dire che non ci sono i beatles di mezzo ci sarebbe da ridere sul serio).
‘old friends 4 sale’ è una ballad blueseggiante sleazy e torbida, un po’ come sarà ‘slow love’ su ‘sign o the times’, puro feeling (e la mancata occasione di un assolo di chitarra strappamutande, sigh). ‘others here with us’ invece è uno dei pezzi più strani mai registrati da prince, con un testo che parla di suicidi, bambini morti e fantasmi e un campionario di suoni raccapriccianti presi direttamente dal nuovo synth fairlight con cui stava giocando in quel periodo, una forma di impressionismo sonoro che a tratti sa più di esperimento che altro.

il tour di ‘parade’ avrebbe dovuto compensare anche al mancato tour di ‘around the world in a day’ (mai programmato, mai nemmeno ipotizzato, prince si è gettato direttamente nel progetto ‘parade’/‘under the cherry moon’). nelle scalette in realtà, a parte la posizione d’onore di apertura per la title-track, comparivano solo i due singoli ‘raspberry beret’ e ‘pop life’, la prima con un’introduzione di obbligati infernali per tutta la band, suonata poi molto simile alla versione originale; la seconda invece, dopo un’introduzione di synth ambientali, veniva suonata decisamente più veloce della versione pubblicata, arricchita da fraseggi di flauto ma non al livello dell’originale.
il resto della scaletta escludeva tutto ‘purple rain’ ad eccezione della title-track in chiusura di concerto e di ‘when doves cry’ (resa incredibilmente con l’ingresso dell’intera band a metà pezzo) e presentava quasi tutto ‘parade’, in genere restavano fuori solo ‘do u lie’ e ‘sometimes it snows in april’. questa scelta era dettata dal fatto che gli show erano di un’energia incontenibile, non c’era un momento di pausa e la band era compattissima nel seguire il direttore. non potendo contare sulle orchestrazioni del disco, gli arrangiamenti dei pezzi si basano molto di più sull’interazione tra gli strumenti e sulle combinazioni tra essi, con la sezione ritmica a fungere da collante. ’new position’ si arricchisce dei fiati che le donano una profondità maggiore, ‘i wonder u’ trova una nuova veste con linee di fiati inedite ed un tiro più dance; ‘anotherloverholenyohead’ esagera ed accresce il livello di energia dell’originale, grazie anche ai continui “call out” di prince; ‘girl and boys’ fa il suo ingresso trionfale nelle scalette in versione simile a quella pubblicata ma graziata dall’incredibile stato della band che la rende vibrante, esattamente come ‘life can be so nice’, che verrà però ripescata molto meno spesso in futuro.
si trova qualche bootleg in qualità abbastanza buona che documenta alcune delle date del tour, il quale curiosamente non ha neanche sfiorato le americhe, venendo unicamente in europa con un’appendice giapponese di 4 date. più difficile trovare video in buona qualità ma qualcosa c’è, frugate negli orrendi meandri dell’internet.

ho quasi finito davvero. poche righe per sottolineare come il periodo di ‘parade’ abbia rappresentato un vertice nella produzione di prince, se non altro per un disco che fotografa il momento di massima intesa e cooperazione con i revolution, sciolti poco dopo la fine del tour mentre lavoravano a nuovi progetti rimasti inediti come ‘roadhouse garden’ o ‘dream factory’.

i brani del disco sono la fusione perfetta delle varie anime di prince, quella funk lercia, quella romantica, quella macho e quella artistica/geniale. è soprattutto una prova di composizione altissima, in quanto riesce a costruire un telaio solido su cui utilizzare una quantità di materiali diversi che spiazza, sorprende e lascia appagati. è il punto preciso di equilibrio di un suono ibrido e instabile che per 40 minuti non si dà pace, un miracolo di arrangiamento creativo e lo sfavillante inizio della collaborazione con clare fischer. un’opera d'arte per cui bisogna sentitamente ringraziare il suo creatore, per quanto piccolo e testardo fosse. 



(non ci si deve sentire invece in obbligo di ringraziarlo per il film. forse è meglio lasciar perdere.)