lunedì 9 aprile 2018

prince, '1999'


quando si analizza l’opera di prince, bisogna stare molto attenti a non cadere in tranelli e luoghi comuni. ad esempio, chi parla di ‘purple rain’ come dell’apice del "suono prince” dice stronzate: ‘purple rain’ è un suono di passaggio, troppo sbilanciato verso il rock rispetto all’estetica princeiana, tanto quanto il suo bistrattato successore ‘around the world in a day’. questo non lo rende affatto un disco inferiore poiché coincide con alcune delle composizioni migliori del genio di minneapolis, oltre a godere di una produzione perfetta che riesce a glorificare quel suono rock e a vestirci i pezzi. i momenti in cui veramente si è definito il suono prince sono ‘dirty mind’, ‘1999’ e ‘lovesexy’ (disco di qualità leggermente inferiore (qui mi faccio nemici) ma dalla ricerca sonora incredibile), poi semmai dopo ‘the gold experience’ e ‘the rainbow children’ ma è tutt’altra storia. ‘dirty mind’ ha settato i parametri di quel funk secchissimo con i synth a sostituire i fiati, ‘1999’ ha aggiunto l’epos, la grandeur che non ha più abbandonato i dischi di prince, ‘lovesexy’ ha mostrato una strada per portare tutto ciò nel decennio successivo (strada non seguita, se non da un episodio isolato come ‘thieves in the temple’).

oggi voglio parlarvi di ‘1999’, album dell’82 che ha mostrato al mondo l’immagine ed il potenziale del prince che tutti conosciamo. la lavorazione dell’album è iniziata alla fine del 1981, il disco non contiene canzoni composte in precedenza. l’album precedente, ‘controversy’, è probabilmente l’unico anello debole di una catena perfetta che va da ‘dirty mind’ a ‘lovesexy’, in quanto reitera la formula sonora del precedente disco senza muoversi troppo, pur contando su almeno 2-3 pezzi fenomenali. con ‘1999’ la musica di prince compie il grande passo, esce dal ghetto della musica nera e si propone a tutto il mondo come nuovo paradigma almeno del funk, se non del pop da fm: i primi due pezzi da soli bastano per accorgersi di questo, si chiamano ‘1999’ e ‘little red corvette’. c’è una linea che arriva da james brown, passa per sly e stevie wonder e arriva a prince. nel 1982 la grossa differenza tra prince e i suoi predecessori era semplice quanto tremenda: mentre brown e wonder cercavano di forzare la propria musica nell’estetica degli anni ’80, quella di prince ci nasceva. i suoni sintetici di ‘little red corvette’ sono alla radice del pezzo tanto quanto la melodia, ‘part-time lover’ o ‘isn’t she lovely’ di wonder avrebbero potuto essere state scritte dieci anni prima e poi riarrangiate. la grandeur di cui dicevo prima esplode nel ritornello di ‘little red corvette’ e suona perfettamente in bilico tra pacchiano, drammatico ed epico (come la maggiorparte della miglior produzione pop degli ’80) senza mai cadere nel ridicolo (come la maggiorparte della produzione pop degli anni’80). quando prince vuole far ridere lo fa apposta, cerca il divertimento spensierato e ti travolge con ‘delirious’, un synthabilly deficiente quanto efficace e divertente. poi tanto due tracce dopo spazza via tutto con ‘d.m.s.r.’: il gene james brown (‘funky drummer’: beat incessante senza variazioni tenuto ad oltranza) è presente ma il pezzo più che far pensare a ciò che c’è stato prima fa pensare a quello che ci sarebbe stato dopo: anticipa la tendenza della dance ai ‘mega mix’ dai minutaggi smisurati di almeno 5-6 anni. parliamo di un pezzo che riesce ad avere un groove inarrestabile con una batteria programmata, grazie alla mano divina del nano sulla chitarra, grazie agli incastri di synth e basso nell’arrangiamento, grazie ad una verve vocale a livelli inarrivabili.
se poi dovesse venire il dubbio di trovarsi davanti a un disco paraculo, ci pensa il pezzo migliore di tutto l’album a dare risposte: ‘something in the water’ è una composizione sublime, dalle trame melodiche oblique e ipnotiche, dal beat ricercato, fittissimo ma non invadente e scosso da algide dissonanze sintetiche, i kraftwerk con sly stone che reinventano il pop.
l’atmosfera da (post?)apocalisse futuribile incombe su ogni momento del disco, il cielo è sempre viola (ben più che in ‘purple rain’) e la fine del mondo è una prospettiva tangibile, solo che invece di disperarsi e nascondersi prince organizza un’orgia generale per le strade e tutti ballano e ci danno dentro. anche in ‘lady cab driver’, dove fondamentalmente si parla di un amplesso in taxi (le macchine sono sempre piaciute a prince, da ’dirty mind' alla corvette rossa alle allusioni in ‘endorphinmachine’), i suoni gelidi dipingono tutto di colori alla blade runner mentre il pezzo cresce insieme ai gemiti della tassista e si dipana per 8 minuti abbondanti.
ci sarebbe da citare anche il fatto che per la prima volta in copertina compare il nome dei the revolution, per quanto nascosto (è scritto al contrario nella 'i' di 'prince' in copertina). i revolution hanno effettivamente collaborato al disco (soprattutto wendy e lisa) ma unicamente in qualità di coristi (e le lead assegnate in '1999') o battimani, la scritta "produced, arranged, composed and performed by prince" campeggia in bella vista sul retro del disco, bisognerà aspettare 'purple rain' per sentirli effettivamente suonare su disco.

nonostante la durata considerevole (71 minuti, doppio lp) non c’è un solo momento in cui ‘1999’ perda il “flow”, è un disco magistralmente focalizzato, dal suono fortemente distintivo e basato su una ricerca timbrica profonda, oltre al lavoro di scrematura che ha portato alla solita valanga di pezzi inutilizzati.
dall’ascolto delle outtakes è impressionante notare come la visione artistica di prince fosse già avanti di almeno un paio di dischi: se ‘moonbeam levels’ fosse apparsa su ‘around the world in a day’ nessuno probabilmente avrebbe pensato che fosse un pezzo di 5 anni prima. ‘purple music’, come ‘d.m.s.r.’, anticipa la tendenza dei remix infiniti nella musica dance, dieci minuti di flusso dance-funk con inaspettate aperture melodiche, mentre ‘extra lovable’ è un pezzo bellissimo, melodico e trascinante che finisce in una coda effettata e distorta (sorvoliamo sul testo…). ‘no call u’ e ‘turn it up’ invece stanno dalle parti di ‘delirious’ e delle versioni di ‘can’t stop this feeling i got’ precedenti la pubblicazione, rockabilly divertente e divertito, nulla di imprescindibile ma neanche di orrendo. risale a quest’epoca anche la prima versione di ‘we can funk’, ancora chiamata ‘we can fuck’, 10 minuti che mettono in mostra non solo il talento melodico di prince ma anche la sua capacità compositiva, tramite un lungo crescendo perfettamente gestito anche se con strumentazione abbastanza minima.
ci sono poi le b-side dei singoli, e qui parliamo di almeno altre due perle fondamentali: ‘irresistible bitch’ (b-side di ‘let’s pretend we’re married'), ‘how come you don’t call me anymore’ ('1999'), la prima un funk secco e sexy (ma va?) che sarà fisso in scaletta nel tour di ‘purple rain’, la seconda una splendida ballata pianistica dalle venature gospel che verrà reinterpretata (molti) anni dopo da alicia keys e che mette in bella mostra il corredo afroamericano di prince. c’è anche ‘horny toad’, b-side di ‘delirious’ che prosegue in maniera trascurabile il discorso rockabilly, non certo un gioiello.


come avrete intuito, di carne al fuoco ce n’è una quantità imbarazzante. il fatto è che anche la qualità di questa carne è imbarazzante ma in senso positivo: anche i pezzi peggiori non sono mai brutti e sono proprio pochi. il resto è il frutto di una visione musicale avanti di anni, una coesione sonora che è solo un punto nel percorso di prince ma che crea un nuovo paradigma per il pop mondiale. e il mondo non sta certo a guardare: 4 milioni di copie vendute solo negli usa, 5 singoli e uno spettacolare tour in giro per l’america parlano chiaro. l’esplosione completa era vicina, ‘purple rain’ era già dietro l’angolo ma con ‘1999’ prince ha impresso un marchio a fuoco nella musica di fine ‘900, cosa che in pochi nel pop sono riusciti a fare.