domenica 12 aprile 2020

rush, 'grace under pressure'


parte della colpa per la mancata riuscita di ‘signals’ viene condivisa anche da terry brown, ormai storico produttore dei rush. il rapporto tra le due parti sembra non funzionare più come una volta per cui i tre decidono, dopo nove anni di collaborazione, di cambiare produttore. viene scelto steve lillywhite (u2 e simple minds) il quale però decide di tirarsi indietro due settimane prima che il gruppo entri in studio. panico, colloqui, viene scelto peter henderson, già con mccartney e i supertramp; a questo punto però buona parte del materiale è già stata scritta, lui stesso ammette di non aver potuto fare molto durante le sessioni di registrazione. 
a questo si aggiunge il fatto che geddy tende a prendere il controllo della situazione per non farla crollare e si comporta lui stesso da produttore, creando tensione con un lifeson ancora ingrugnito per il suo offuscamento in ‘signals’. la tensione arriva a un tale punto che in certi giorni i due non si parlano e si scambiano solo foglietti di carta lasciati sul mixer.

nonostante tutto questo, ‘grace under pressure’ si contende con ‘power windows’ la palma di miglior disco del periodo ’80 dei rush, ognuno dei due con i suoi enormi pregi e pochi difetti.
nel caso di ‘grace’, il valore principale che lo distingue da gran parte del resto della discografia è la sua profonda emotività: è un disco scuro, cupo, con un senso di collasso imminente che lo attraversa, in parallelo ovviamente alle tensioni internazionali del 1984. i testi di peart sono tesi, mostrano scene tragiche (‘red sector a’ è distopica ma i racconti vengono dall’esperienza nei lager dei nonni di geddy), tensioni allo stremo (‘distant early warning’, ‘between the wheels’) o malinconici e poetici tributi (‘afterimage’, dedicata a robbie whelan, tecnico del le studio mancato l’ano precedente in un incidente in macchina).
di conseguenza la musica segue questo mood, facendosi ancora più opprimente di ‘signals’, per quanto il suono sia di nuovo equilibrato e aperto. da notare come l’influenza dei police sia già mutata ed assimilata in brani come ‘the body electric’ ma soprattutto nel nuovo stile batteristico di peart, il quale ha fatto suoi certi insegnamenti di copeland e li sviluppa in un linguaggio assolutamente unico, cerebrale e composto quanto melodico e coinvolgente (ad ogni concerto dei rush si possono vedere decine di fan in prima fila imitare le sue memorabili rullate).

le canzoni sono tutti classici, regolarmente accolte da ovazioni della folla nonostante il gruppo si allontani definitivamente dalle tortuose composizioni del passato. ‘distant early warning’ contiene già il dna del disco intero con i suoi sottili cambi di tempo, la sua atmosfera tesa e vagamente aliena resa in modo superbo dagli accordi di lifeson, di nuovo davanti nel mix, intrecciati ai pad sintetici. ‘afterimage’ interpreta il malinconico testo di peart con melodie quasi rassegnate e chitarre apertissime, contrapposte al tiro veloce e aggressivo della ritmica. ‘red sector a’ ha un tiro micidiale, retto da una prestazione maiuscola di peart, nonostante questo gli accordi di synth la rendono una delle canzoni più scure e cupe che i rush abbiano mai registrato. curioso notare come sia in questo pezzo che il ‘afterimage’ si trovi una parentesi centrale quasi psichedelica nella sua dilatazione, con lifeson a contorcersi con la distorsione nel vuoto.
non ci sono pezzi brutti in ‘grace under pressure’, ci sono solo pezzi più belli di altri; l’ultimo di questi è il finale, ‘between the wheels’, una riflessione sul vivere l’attimo, sull’apatia moderna e sulla capacità/incapacità di reazione di fronte agli eventi che si snoda in un brano giocato sui continui levare, sottolineati ora dai synth, ora dalla batteria e con un lifeson straripante accordi, arpeggi e un solo meraviglioso.

se cercate i rush più leggeri non li troverete qui e probabilmente questo disco non è un buon punto di partenza per scoprirli. eppure, tra gli album in studio, è sicuramente fra i primi tre per qualità, compattezza, creatività e incisività. sì, è un cazzo di capolavoro.