domenica 19 aprile 2020

rush, 'power windows'



‘power windows’ rappresenta una linea di passaggio per i rush, da vari punti di vista.
il primo punto importante è sicuramente il cambio di produttore e l’arrivo di peter collins, inglese dalle idee moderne che prende il suono rush e lo porta per mano nel pieno degli anni ’80.
il secondo aspetto è comunque legato alla produzione: da qui in poi i dischi dei tre suoneranno moderni e pieni, senza più svisoni tipo ‘signals’; con ‘power windows’ il suono dei rush diventa ufficialmente adulto, per qualcuno fino troppo laccato e pulito ma tant’è.
poi, la voce di geddy finalmente si abbassa di un paio di toni, trovando un range più adatto alla musica e meno stridulo, concedendosi anche raddoppi e qualche controcanto, dando così molta più profondità alle melodie.
neil non resta a guardare i cambiamenti e intraprende un percorso di evoluzione nel suonare la batteria che lo porterà, qualche anno dopo, a studiare con il guru freddie gruber per scoprire nuove tecniche. qui il suo stile si fa molto più ricco a livello timbrico, i pad simmons irrompono tra i tamburi e portano campioni di ogni tipo di percussione dal mondo; oltre a questo, i suoi arrangiamenti si fanno ancora più composti ed eleganti, mirando a vere e proprie linee melodiche percussive che arricchiscono ogni momenti delle canzoni.
lifeson non resta a guardare, per contrastare la tonnellata di synth il suo suono si ripulisce da un sacco di effetti e torna a schitarrare in modo più abrasivo, creando un ulteriore strato sonoro da esplorare.

insomma, i rush si impegnano seriamente per prendere una strada nuova e ci riescono in pieno: se ‘signals’ o ‘grace’ erano spiazzanti per i vecchi fan, ‘power windows’ è uno shock. le tastiere sono ovunque (suonate a tratti anche da andy richards degli strawbs) e danno un impronta algida e maestosa ai brani, la melodia la fa da padrona ovunque e arrivano addirittura arrangiamenti per orchestra e coro in ‘manhattan project’ e ‘marathon’. è il disco “super prodotto” dei rush, per dirla con le parole di neil, un’opera in cui ogni singolo dettaglio è studiato fino allo sfinimento, pur senza sfociare nella paranoia che aveva regnato durante le sessioni di ‘grace’. anzi, pare che per registrare ‘power windows’ i tre s siano divertiti parecchio, finendo a registrare parti anche negli air studios di sir george martin a montserrat. sì, i soldi non mancavano.

il risultato è, ancora una volta, stupefacente. se lo shock sonoro può colpire in faccia (e ‘big money’ non fa certo molto per ammorbidirlo), quello che è evidente è come la qualità delle composizioni non sia calata di un microgrammo. la composizione lascia ancora spazio per momenti di classicissimo rush sound (‘manhattan project’ e ‘marathon’ nonostante l’orchestra suonano rush al 200%) ma va poi a spingere verso nuovi territori come nell’iniziale ‘big money’, dominata dai synth solcati dal bel riff di lifeson, o come nel capolavoro che chiude il disco, ‘mystic rhythms’,  una delle migliori prove di neil peart come batterista su cui lifeson infila accordi e arpeggi uno più bello dell’altro e geddy canta una delle sue melodie migliori, con un ritornello che è magia pura. anche ‘territories’ osa, con una cassa in quattro che non concede tregua e addirittura una modulazione super-pop per l’ultimo ritornello.

i testi di peart questa volta sono tutti incentrati sui giochi di potere, siano essi derivanti dai soldi (‘big money’), dalle emozioni (‘emotion detector’), dai confini del mondo (‘territories’) o da situazioni più complesse e delicate (‘manhattan project’ guarda allo sviluppo dell’atomica per rendersi conto di come gli scienziati fossero solo esseri umani mentre ‘mystic rhythms’ si interroga sulle forze naturali che regolano gli eventi e i nostri sentimenti). sono ancora più maturi e a fuoco e restituiscono un’immagine speculare rispetto a quelli di ‘grace’: se di là avevamo paura, dolore e paranoia, qui c’è un’osservazione quasi asettica, è uno sguardo pseudo-scientifico che cerca di non sbilanciarsi mai, lasciando svariati spunti di riflessione per il lettore.

disco coraggioso, maniacale, sovrarrangiato… diverso. come già detto, questo è uno spartiacque, qui veramente i rush cambiano pelle e iniziano il percorso che li porterà nel decennio successivo. ora però siamo in pieni anni ’80 e, piaccia o meno, lee, lifeson e peart decidono di tuffarcisi di testa, spazzando via lo stesso ridicolo tentativo compiuto da un gruppo ormai di serie b come i genesis.
i gusti son gusti ma ‘power windows’ è un disco pazzesco, la riprova che un gruppo con cervello e coraggio con l’idea giusta può fare quello che vuole. probabilmente l'ultimo capolavoro dei rush.