mercoledì 1 aprile 2020

nine inch nails, 'ghosts v: together', 'ghosts vi: locusts'


per me è una gioia immensa poter parlare di nuovo dei nine inch nails senza doverli insultare, davvero. ho amato visceralmente trent reznor da quando ho scoperto la sua musica a 15 anni e da allora certi suoi dischi per me sono rimasti come fari nel buio; purtroppo poi è arrivata roba che ho preferito dimenticare, facciamo che non è mai successo: tra il 2006 e il 2016 il gruppo si è preso una pausa e non ha pubblicato niente.
beh, quasi niente: ‘ghosts i-iv’ a me è sempre piaciuto, pur nella sua frammentarietà l’ho sempre trovato un gradevolissimo raccoglitore di suoni bizzarri, atmosfere sbilenche e atmosfere assolutamente nin, per quanto fossero più quadretti sonori che composizioni.

due nuovi ‘ghosts’ non potevano che accendere il mio entusiasmo quindi e sono estremamente contento che questo entusiasmo si sia rivelato giustificato: ‘together’ è magnifico, soddisfa, sorprende e avvolge mentre ‘locusts’, più ruffiano e prevedibile, è una goduria per i sensi, tutto quello che ci si aspetta da un disco strumentale dei nin. messi insieme sono un viaggio intenso e totalizzante che vi lascerà pieni e soddisfatti.

‘together’ (8 brani, 70 minuti) stupisce da vari punti di vista. innanzitutto è incredibile vedere come reznor, dopo 30 e passa anni di carriera, ancora abbia voglia e riesca ad evolvere le sue tecniche e idee: è evidente come le molte esperienze nel mondo delle colonne sonore abbiano influito sul suo modo di strutturare le composizioni, dando un tocco cinematico a moltissimo del materiale recente; eppure ‘together’ non è una colonna sonora e si sente. l’idea di ogni brano è in primo piano e c’è una maggiore dinamicità, oltre a una maggiore attenzione a melodie ed armonie, per quanto dilatate. è musica che discende direttamente da brani come ‘a warm place’, ambientale e larga ma strutturata e in grado di farsi ricordare.
c’è poi un cambio di riferimenti: se i primi ‘ghosts’ si nutrivano di anni ’80 e viravano spesso sul tamarro (semmai ora troviamo qualche eco del david sylvian più etereo, nel basso di ‘hope we can again’, ad esempio), qui le parole d’ordine sono calma, dignità e classe e i riferimenti semmai si spostano indietro di un decennio, brian eno ma anche tangerine dream e vangelis. eppure. eppure se per caso doveste sentirci risonanze non così vaghe di roba modern classical dalle parti di nils frahm non mi sentirei di darvi torto, perché se è vero che questo tipo di musica arriva da molto tempo fa, la forma di estetismo timbrico (virtuosismo, sì) esibito da reznor è molto più moderno, così come questa contestualizzazione delle sue classiche sonorità pianistiche. per dire, non è musica da museo, è attuale e viva.
e stupisce poi, restando in tema, l’omogeneità timbrica del tutto: abituati alla valanga di suoni stratificati spesso impiegata dai nin, è bello trovarsi davanti a un disco che si basa su pochi suoni perfettamente calibrati, abbastanza dinamici da non annoiare e sempre intriganti. interessante notare come non si scada mai nel minimalismo spiccio, evitando figure ostinate o linee ossessive e lasciando che siano i vuoti ad esprimersi.
se poi vi aspettaste un’altra collezione di frammenti, rimarrete piacevolmente stupiti anche dall’unitarietà dell’opera, le cui parti suonano molto più come movimenti di una suite che come frammenti.
difficile infatti estrarre brani da segnalare, di sicuro è dura non restare ammaliati dall’equilibrio desolato ma consolante di ‘together’ mentre fa quasi sorridere lo spuntare di un synth tremendamente vangelis in ‘with faith’, sostenuta da uno dei classici suoni melodico/percussivi dei nin; rapiscono le dissonanze e risoluzioni di ‘apart’ e stupisce la comparsa di chitarre nel finale con ‘still right here’, il pezzo più “movimentato” del disco, con addirittura un beat aggressivo che spunta dalla nebbia ribaltando il feeling del brano per una manciata di secondi prima della dissoluzione finale. un album perfetto dall’inizio alla fine, fotografia placida e rassegnata di una post-apocalisse che in questi giorni sembra di vedere dalla finestra.

‘locusts’, 15 brani, 83 minuti. le linee di piano sono più reznor di reznor stesso, i suoni e alcuni arrangiamenti arrivano direttamente da ‘the fragile’ e c’è be poco che vi stupirà. ciononostante è un bel disco, il livello delle composizioni è mediamente alto per intenzione, realizzazione e riuscita e il viaggio è di quelli da ricordare. mettiamola così, se ‘together’ è una landa desolata nella nebbia in cui poche ombre si incontrano, ‘locusts’ è nettamente più scuro e paranoico ma anche abitato da molti più esserini che si muovono nell’ombra. c’è più ricchezza di strumentazione (spunta più volte lo swarmatron che fece la fortuna di ‘social network’, quasi assente in ‘together’. del resto si chiama swarmatron e il disco ‘locusts’…) e una maggiore dinamicità strutturale con brani generalmente più brevi e cambi più frequenti. i suoni sono più concreti e vicini, anche se nella parte centrale del disco la musica tende ad allontanarsi; ci sono molte più dissonanze ed interferenze e una saturazione più muscolare dei timbri. i primi tre brani sono incentrati su un pianoforte scuro ed ossessivo che svetta sull’ondeggiare dei synth dissonanti creando un loop continuo di tensione con apice nella bella ‘the worriment waltz’, ornata anche con brevi e distanti fraseggi di tromba prima di chiudersi con uno sciame di locuste sintetiche. se ’run like hell’ potrebbe tranquillamente essere una outtake di ‘the fragile’, unico brano ad avere (addirittura) una batteria vera e propria che, in un’esplosione di pochi secondi, rimarca la forte ritmicità del brano, i brani successivi tendono a confondersi in una dark ambient un po’ generica e fin troppo vicina a colonne sonore come 'watchmen' o ‘the girl with the dragon tattoo’, con l’influenza di coil e throbbing gristle a risaltare in più momenti. 
bisogna aspettare ‘turn this off please’ per una risalita, brano da 13 minuti, articolato su un crescendo di densità e tensione magistrale, non lontano dagli affascinanti strumentali di ‘bad witch’, prima di un finale intenso e struggente.

se ‘locusts’ fosse uscito da solo probabilmente mi sarebbe piaciuto anche di più, purtroppo per lui il confronto con ‘together’ non regge molto e, per quanto comunque assai bello, resta meno interessante del quinto, splendido capitolo.
insomma, questa coppia di ‘ghosts’ spazza via la prima raccolta da vari punti di vista (e io sono uno che difende anche i primi) e si rivela un’altra ottima uscita a nome nine inch nails dopo la rinascita con la bellissima trilogia di ep, la conferma del buono stato di ispirazione di un artista di cui si era davvero sentita la mancanza. daje trent, bravo, bis.