domenica 1 marzo 2020

rush, 'a farewell to kings'



chiusa la prima fase, i rush entrano nel loro periodo d’oro. i quattro dischi che seguono ‘2112’ sono tutti perfetti, ognuno a modo suo, ognuno con le sue precise caratteristiche.
‘a farewell to kings’ è un disco serio in cui il classico humor del gruppo resta leggermente velato, forse per dimostrare dopo un disco ingombrante come ‘2112’ che il gruppo aveva ogni intenzione di fare sul serio. 
il livello è ancora più alto rispetto all’illustre predecessore, la qualità media si alza ulteriormente e i picchi diventano irraggiungibili: ‘xanadu’ e ‘cygnus x-1’ volano alto nelle intezioni, nell’esecuzione e negli arrangiamenti, si fanno più presenti chitarre a dodici corde e acustiche, le dinamiche si accentuano e il "suono rush” si fa concreto più che mai. 
per la prima volta il gruppo non ha l’acqua alla gola durante le registrazioni, i soldi non mancano e il tempo nemmeno per cui si prendono tre settimane chiusi con terry brown ai rockfield studios in galles e ne escono con un disco che lascia a bocca aperta.

‘a farewell to kings’ apre le danze proprio con una chitarra acustica, una bella introduzione di lifeson che esplode poi in accordi luminosi e aperti prima di tuffarsi nell’hard del pezzo vero e proprio, diviso in due da un assolo in 7/8 in cui il jazz rock fa la sua parte e geddy si mostra bassista sempre più originale e competente nel sostenere gli svolazzi e gli armonici di un lifeson ai suoi massimi livelli.
‘xanadu’, come già detto, è uno degli apici del disco: un testo di peart ispirato al ‘kubla khan’ di coleridge porta l’ascoltatore in un mondo mistico e lontano, cullato dagli arpeggi della 12 corde ma con la propulsione inarrestabile di neil che infila rullate su rullate senza mai risultare invadente o esagerato. geddy da parte sua inizia seriamente a mettere le mani sulle tastiere e ad usare minimoog e bass pedal, mostrando un interesse per le tecnologie digitali che esploderà poi pienamente negli anni ’80. da un’introduzione ambiental-psichedelica spunta un lick di chitarra (che ricorda molto alcuni fraseggi di garcia nella parti più spaziali delle 'dark star' del '69) che guida il resto del gruppo per la tortuosa struttura di un brano epico e drammatico ma mai pesante lungo i suoi 11 minuti.
‘closer to the heart’ è uno dei pezzi più famosi dei rush ed è sicuramente pregna del loro suono, una power ballad che va indurendosi pian piano in modo sottile e divertente, scritta benissimo e con un solo leggendario.
‘cinderella man’ e ‘madrigal’ sono i due momenti deboli del disco, trascurabili ma mai brutte, semplicemente non al livello di tutto quello che hanno attorno: dopo di loro il disco finisce con ‘cygnus x-1, book i: the voyage’, altro viaggio fantascientifico partorito dalla mente di peart in cui un uomo si avventura sulla sua navicella spaziale per esplorare il buco nero cygnus x-1 nella costellazione del cigno. nessuno mi toglierà mai dalla testa che parte dei riff degli opeth siano ispirati dalle chitarre di questo pezzo: se la prestazione della sezione ritmica è impressionante, lifeson alla chitarra riesce da solo a riempire tutti gli spazi vuoti con un suono tagliente e accordi dissonanti che il metal intero gli avrebbe rubato per almeno 20 anni (voivod, per dire un altro gruppo). un’altra parte deliziosamente psichedelica carica la tensione prima del finale esplosivo, una composizione perfetta che regala ai tre lo spunto per la nuova suite che arriverà tra poco.

‘2112’ ha generato il suono, ‘a farewell to kings’ lo perfeziona, a breve lo troveremo pienamente compiuto e pronto per esplorare nuovi territori.