domenica 22 marzo 2020

rush, 'moving pictures'



tra i dischi più amati dei rush, ‘moving pictures’ ha un ruolo tutto suo. gran parte del merito per il suo strepitoso successo va ricondotta a un brano in particolare, ‘tom sawyer’, bandiera del suono rush e perfetta sintesi delle varie parti che lo compongono. curioso il confronto con il disco precedente: tre capolavori e un pezzo bellissimo sostengono da soli l’album, rendendolo meno valido mediamente a livello di qualità delle composizioni ma il suo suono cristallino (ancora il le studio, il suono di batteria in particolare è un capolavoro a sé), la sua forma perfetta e quei tre pezzi posti in apertura lo rendono sicuramente il disco più amato tra i fan del gruppo (non per me perché sono stronzo, of course).

‘tom sawyer’, dicevamo. e cosa dovrei dirvi? fonte eterna di ispirazione per legioni di musicisti, copiata, adulata e anche presa in giro in decine di modi (epocale lo sketch di south park https://www.youtube.com/watch?v=JcyqIA2eJww
che la introduceva nel tour del trentennale), è una canzone perfetta in cui il trio convive con i synth in un modo completamente diverso dal progressive classico, suonando moderni e freschi senza essere artefatti o artistoidi e restando fedeli a se stessi, un tema trattato a fondo e in modo estremamente personale ed intelligente nel famosissimo testo di peart.
‘red barchetta’ non è da meno, da nessun punto di vista: il testo, basato sul breve racconto distopico “a nice morning drive” di richard foster, racconta di una gara in macchina in un futuro in cui i motori a combustione sono proibiti, nascondendo un sottotesto critico in cui peart prende di mira l’eccessivo potere in mano a pochi. musicalmente, il viaggio narrato si traduce in viaggio musicale, con una struttura cangiante e dinamica che segue il racconto passo per passo, un capolavoro che mostra la coesione inarrivabile dei rush e la loro creatività nell’arrangiamento.
sapete come scovare un fan dei rush in mezzo ad un ristorante pieno? picchiettate su un bicchiere l’inizio di ‘yyz’, l’effetto sarà come ‘ammazza la vecchia’ per roger rabbit. qualunque musicista prog di oggi sogna ancora di scrivere un pezzo del genere e sono passati quasi 40 anni dalla sua pubblicazione, giusto per ribadire la modernità strabiliante di questa musica. ‘yyz’ è uno strumentale che parte dal codice morse di riconoscimento dell’aeroporto di toronto e costruisce su una serie di riff epocali di alex. la prestazione strumentale è come sempre a livelli più che altissimi, in particolare geddy al basso non si risparmia un attimo e traina tutti dietro di lui.
e che dire di ‘limelight’, un brano che si interroga sul significato della fama e su come reagire ad essa, sostenuto da un hard rock pieno di cambi e tempi dispari subdoli, graziato da uno strepitoso assolo di alex nella parte centrale.

non è che la seconda facciata sia brutta, però ovviamente dopo tanta grazia è dura mantenere il livello e infatti si scende un pochino, pur restando molto in alto: ‘the camera eye’ sfrutta i suoi 11 minuti di durata per evolversi aggressivamente con bellissime linee di chitarra, ‘witch hunt’ si incattivisce ancora di più e si avvolge in un manto epico e gotico mentre ‘vital signs’, il pezzo più debole del disco, punta già al futuro e avrebbe potuto essere pubblicata su ‘signals’. a questo proposito è da notare come nella seconda parte del disco i rush  approfondiscano ulteriormente la simbiosi con i synth, rendendoli protagonisti delle canzoni e anticipando il metodo compositivo che caratterizzerà tutti gli anni ’80 del gruppo.

‘moving pictures’ ha tutti i suoi buoni motivi per essere uno dei dischi più amati dei rush, una manciata di canzoni iconiche, un suono potente e cristallino, una produzione perfetta e pure una bellissima copertina, il pacchetto è a dire poco perfetto e non sono in pochi gli ascoltatori ad accorgersene. il loro disco migliore? forse sì, forse no, in fondo chissenefrega.