domenica 8 marzo 2020

rush, 'hemispheres'



se le registrazioni di ‘a farewell to kings’ furono tranquille e idilliache, quelle di ‘hemispheres’ furono travagliate e segnate da vari problemi. il crescente interesse di geddy per le tastiere gli aveva fatto ordinare un’impalcatura che potesse contenere vari oberheim sincronizzati ma, quando il tutto arrivò ai rockfield studios, non funzionava niente; questo costrinse il gruppo a chiamare un tecnico e perdere qualche giorno per sistemare il problema.
un altro problema fu che i tre presero la composizione con molta calma e quando arrivò il momento di entrare in studio non erano ancora pronti. uno dei pezzi, ‘la villa strangiato’ (forse la miglior canzone di tutta la carriera), era uno strumentale di 10 minuti, talmente bastardo nella struttura e nei cambi e nelle dinamiche che il gruppo per due  settimane lavorò solo su questo, arrivando alla fine a registrarla live in una sola take. peart ha dichiarato che ci è voluto di più a registrare ‘la villa strangiato’ che l’intero disco ‘fly by night’.
un ulteriore problema arrivò da geddy, quando si rese conto che le composizioni finite stavano in una tonalità al di sopra delle sue possibilità vocali; questo fece sì che i giorni ai rockfield (10 settimane) finissero prima che la voce fosse pronta e le tracce vennero registrate all’advision di londra, prenotato da brown per il solo mix.
inoltre, essendo il gruppo a registrare nel vecchio continente, furono difficili le comunicazioni con hugh syme che contemporaneamente lavorava alla copertina; sebbene la stessa copertina sia diventata un simbolo del progressive, oggi l’artista la definisce “tecnicamente un abominio” e anche il gruppo non ne fu soddisfatto.

tutti questi problemi portarono a ‘hemispheres’ e verrebbe da pensare che quindi il disco abbia risentito del casino e delle tribolazioni del gruppo. forse sì, forse no, è difficile dirlo quando ci si trova davanti un capolavoro. già, perché nonostante tutto questo, ‘hemispheres’ per molti fan del gruppo (incluso il sottoscritto) è il miglior disco in studio della carriera dei rush. è uno di quei casi in cui la qualità del materiale e dell’esecuzione è tale da far dimenticare anche la presenza di un pezzo inferiore, la non memorabile ‘circumstances’ che comunque presenta una commistione linguistica nel ritornello, mostrando la grande creatività lirica di peart.
a leggere il titolo della suite ‘cygnus x-1 book ii: hemispheres’ viene naturale aspettarsi un seguito dell’avventura della navicella rocinante dal primo capitolo. in realtà quando il protagonista esce dal buco nero si ritrova sull’olimpo, nel mezzo di una guerra fra apollo e dioniso, una metafora mitologica sull’eterna lotta fra istinto e ragione che si risolve con l’intervento del protagonista come ‘dio dell’equilibrio’ tra le due parti. musicalmente è una suite in sei parti in cui ognuno dei tre musicisti brilla intensamente nella sua performance, dagli incastri melodico-ritmici di peart all’onnipresente basso di lee, ormai evoluto e unico nel suo modo di suonare, fino alle strepitose chitarre di lifeson che in questo periodo inizia a giocare seriamente con pedali ed effetti, soprattutto chorus. è un hard-prog fortemente evocativo ed epico e pressoché scevro di tastiere, se non nella prima parte di ‘bringer of balance’; i rush riescono a suonare musica complessa con un groove che trascina l’ascoltatore, oltre a farlo, a differenza del 99% dei gruppi prog, senza un tastierista in formazione. questo dà modo a lifeson di giocare con accordi, rivolti e sovraincisioni senza mai risultare eccessivo (fatto assai rimarchevole per un chitarrista in generale, figuriamoci per un chitarrista prog).

‘circumstances’ non è certo il pezzo migliore del disco ma non fa certo schifo, grazie soprattutto all’ispirata prestazione di lifeson e ad un paio di incastri felici di tutto il gruppo.
altra storia è ‘the trees’, un testo politico di peart basato su una metafora che vede gli aceri protestare contro le querce per la loro eccessiva altezza, la quale toglierebbe luce e vita agli alberi più bassi. l’introduzione acustica è idilliaca, l’hard rock che la segue convince ed esplode prima di gettarsi in una radura placida e rigogliosa di suoni che sfocia in un crescendo in 10/4 che sarebbe da insegnare in ogni singola scuola di musica.
e poi c’è ‘la villa strangiato’, ironicamente sottotitolata ‘an exercise in self-indulgence’. lifeson una volta ha detto, riguardo al gruppo: “individually we’re an ass, together we are a genius”. se c’è un pezzo che può riflettere le sue parole è proprio questo, una prova di gruppo che ha del soprannaturale per coesione, precisione ed intento collettivo, ‘la villa strangiato’ è un’opera unica ed irripetibile che divora e metabolizza 10 anni di progressive e li rielabora in una maniera tutta nuova e personale, infilando in mezzo citazioni da brani tedeschi (‘gute nacht, freunde’ nell’introduzione) e addirittura dai cartoni animati (‘powerhouse’ di raymond scott), rimarcando ancora una volta il fortissimo humor che ha sempre accompagnato i rush. i cambi di tempo non si contano, gli obbligati si susseguono senza sosta, un crescendo centrale in 7/8 lancia un assolo di lifeson che è pura e assoluta poesia strumentale, la spinta del basso di geddy non fa mai mancare la fisicità, neanche quando peart inizia a scomporre e a spostare gli accenti. è un lavoro di incastro e arrangiamento che richiede capacità ben al di sopra della norma solo per essere concepito e scritto, figuriamoci per essere suonato.

sono pochi i gruppi che avrebbero potuto scrivere e registrare un disco come ‘hemispheres’, tra questi pochi gruppi uno solo l’ha fatto al meglio e subito dopo è stato pronto per cambiare direzione.