venerdì 22 luglio 2011

khan, "space shanty"



1972. il progressive classico è già in piena era dell'oro, la scena di canterbury si sta rapidamente sviluppando mentre la psichedelia trova ormai un posto alto nelle classifiche con "atom heart mother" dei pink floyd. in mezzo a questi grandi movimenti c'è un gruppo di amici che suona insieme ormai da un po' di anni negli uriel quando, nel 1970, nascono ufficialmente i khan sotto la guida di steve hillage.
con lui fanno parte del gruppo nick greenwood al basso ed il barbuto eric peachey alla batteria che sostituisce il fuggiasco pip pyle, scappato alla corte degli stessi gong. alle tastiere viene reclutato dick henningham che però lascia la band durante la fase di composizione del disco e viene sostituito da
nientemeno che dave stewart.questa formazione nel 1972 pubblica "space shanty", primo ed unico disco a nome khan.

i quattro marinai dello spazio compiono un'impresa grandiosa, fotografando in un disco pressoché perfetto un momento storico tra i più importanti di tutta la storia del rock. progressive, psichedelia, jazz, improvvisazione, tutti gli elementi che contribuirono a creare il suono di canterbury vengono qui fusi insieme e portati ad un livello di eccellenza incredibile.
l'esplosione sonora iniziale di "space shanty" catapulta l'ascoltatore nel mondo di hillage e soci e per tutti i nove minuti di durata della title-track non ci sarà modo di scappare alle stralunate intuizioni del gruppo: una cavalcata rock oscura e profonda che trascina negli abissi spaziali della bellissima
copertina finché la psichedelia non prende il sopravvento. un continuo saliscendi umorale su cui il cantato di hillage narra di viaggi cosmici, di conoscenza infinita e di viaggi... un po' meno spaziali e più mentali.

ha poco senso citare questa o quella canzone, il disco intero è un'entità a sé che richiede un ascolto integrale per poter realizzare i suoi stranianti intenti. si può discutere dell'ariosa melodicità della splendida "stranded" che culla, con la sua nenia vocale e un vago sentore di yes nell'atmosfera, o
dell'evocativa "mix up man of the mountains", impreziosita da stewart con uno splendido lavoro di hammond. nulla è fuori posto, nulla è di troppo e viene veramente da chiedersi come un disco del genere non sia annoverato tra i capolavori di una stagione che ancora oggi riserva sorprese incredibili.
un lavoro che mostra l'incredibile capacità di questi musicisti di creare paesaggi sonori infiniti e lanciati nel vuoto siderale.

quello che all'inizio può sembrare un disco di transizione tra due periodi si rivela essere, ad un ascolto attento, il perfetto incontro di più parti che,fuse insieme, creano un punto di fuoco unico, affascinante e perfetto nel suo equilibrio. del resto, non è esattamente questo che dovrebbe essere il progressive?
gli addetti ai lavori sicuramente conoscono e adorano questo disco che purtroppo non ebbe mai un seguito. parti per un supposto secondo disco finirono nel primo album solista di hillage, "fish rising", che vedeva anche la collaborazione dello stesso stewart, tanto per ribadire il concetto.