venerdì 22 luglio 2011

east of eden, "mercator projected"





gli east of eden si formarono a bristol nel 1967 attorno alla figura del violinista e polistrumentista dave arbus. a lui si unirono ron caines al sassofono,il cantante e chitarrista geoff nicholson, il batterista dave dufont e steve york al basso. 
l'unico parto di questa formazione fu, nel 1969, questo "mercator projected", gioiello dimenticato nonché punto d'incontro di una quantità eccezionale di stili.
poco dopo la critica inizierà a parlare di "progressive esotico", indicando un particolare tipo di prog che andava a riprendere ritmi, scale o semplici suggestioni dalle tradizioni musicali di tutto il mondo, dal medioriente (spesso il preferito) all'estremo oriente passando per paesi slavi e quant'altro. 
in effetti questo è il fil rouge di "mercator projected", una totale libertà di espressione, che vada ad abbracciare il mondo intero con un linguaggio universale. il concetto è molto naive, figlio diretto della summer of love da poco passata, ma la musica sa tradurre questa ingenuità in freschezza, dondando al disco un fascino strano, non drammatico ma intenso, non mistico forse, ma comunque profondo.

"northern hemisphere" esplode in un riff blues-rock granitico rimarcato dal violino di arbus, che fa suonare il tutto non molto lontano da ciò che stavano facendo anche gli high tide in quel periodo, non fosse per l'ariosa apertura del ritornello e un senso della melodia sempre spiccato che si palesa nella successiva "isadora", uno dei capolavori del disco. la "danza per flauto e sax soprano" è un tripudio di colori e di profumi in continuo movimento; rock e blues vengono filtrati con arrangiamenti dal gusto esotico ed un vago tocco jazz, soprattutto quando nella parte centrale il flauto traverso di arbus si incrocia col soprano di caines. su tutto svetta la splendida melodia della voce, ipnotica nella strofa, poetica e toccante nel leggiadro ritornello. una formula perfetta.
"waterways" è lieve nel suo lento incedere, leggera fino a trasformarsi in una sfuriata tribale dai toni epici, un vero e proprio rito furioso che giunge ad una cacofonica conclusione, che tanto sa di free jazz prima di sdraiarsi nuovamente sul vento.

come non citare poi la lisergica "bathers", tanto psichedelica quanto inquieta, o la semplicemente indescrivibile "communion", ricavata da una partitura per archi di bartòk. da un inizio saltellante e pastorale si viene condotti in una strofa incalzante e cupa nella quale le parole disegnano una melodia che non si dimentica facilmente. la tensione si stempera poi nel ritorno al tema iniziale per il finale di un brano che è assolutamente unico.

non manca un mezzo passo falso, il blues rock piuttosto standard di "centaur woman" che si dilunga fin troppo in un assolo di basso, invero non splendido. comunque nulla di grave che possa rovinare il pregio del disco. il fatto è che gli east Of eden hanno creato un ambiente musicale dal quale è lecito aspettarsi qualsiasi cosa, quindi nulla può veramente risultare fuori posto. ancor più stupefacente è la naturalità con cui l'hanno fatto, per altro in un disco d'esordio. pochi si possono permettere di scrivere una ballata come "moth", nella quale gli intrecci strumentali creano un paesaggio perfetto su cui la voce di nicholson può disegnare le sue splendide melodie provenienti da luoghi lontani e sconosciuti.

la conclusione è affidata alla jam collettiva "in the stable of the sphinx" che si muove ondeggiante fra tirate jazz-rock, stacchi, momenti di isteria e di calma prima di richiudersi su sé stessa e far calare la tensione per lasciare l'ascoltatore nel modo migliore possibile: stupito, affascinato, sicuramente un po' spiazzato ed anche perplesso volendo, ma soprattutto soddisfatto. 
il disco seguente, "snafu", è spesso considerato meglio di questo esordio. in realtà andò a prendere l'acqua molto più vicino al mulino del jazz/fusion, tanto da includere tributi a coltrane e mingus, per cui si allontanò lievemente dai territori progressive. un disco sicuramente più omogeneo di "mercator projected" ma che non conservò la stessa freschezza, quell'ingeniutà che a occhio verrebbe da criticare e che rende quest'opera prima un disco unico.