domenica 3 agosto 2025

nevermore, 'the politics of ecstasy'

 



dire che tra l’esordio ‘nevermore’ e ‘the politics of ecstasy’ c’è un abisso è un eufemismo di quelli colossali. uscito appena un anno dopo, il secondo album dei nevermore spazza via tutto e tutti con una maturità e un controllo dei propri mezzi musicali impressionanti.

da qui il progressive entra prepotentemente nei pezzi del gruppo e inizia una trilogia di album perfetti, ognuno a modo suo. in ‘politics’ è la cerebralità ad avere la meglio, spesso viene da pensare ad una versione aggiornata di ‘…and justice for all’, iniettata con quella instabilità umorale e tensione psicologica di marca queensryche (e fates warning, perché no) ma non mancano le influenze groove metal e la follia ritmica dei meshuggah (dichiarata l’ammirazione del gruppo per ‘destroy erase improve’).

il mix è finalmente bilanciato e la produzione rende giustizia alle prestazioni stellari di ogni singolo musicista, primi fra tutti dane e loomis, veri e propri dominatori della scena. la voce di dane trova una maturità espressiva e timbrica che sacrifica un pochino di istinto (pochissimi i falsetto urlati) per mostrare un controllo fuori dal normale mentre loomis esplode come compositore di riff uno migliore dell’altro con idee ritmiche sghembe, assolo da incubi di notte che non dimenticano mai la melodia e un suono che si fa sempre più pesante.


tutto sta in mezzo ai due capitoli migliori che possono riassumere l’intero album, l’incipit con ‘the seven tongues of god’ e il gran finale con ‘the learning’. la prima è un macigno in cui chitarre e batteria si contorcono spostando accenti su tempi anche dispari, dando un groove micidiale a un suono che è puro thrash metal; su questo ingranaggio gelido e metallico la voce di dane graffia e si dispera, aprendosi in un ritornello melodico quanto inaspettato e lasciando la scena per un fantastico solo di loomis. è il primo vero capolavoro dei nevermore e non lascerà mai le scalette dei concerti.

‘the learning’ riparte dai queensryche sia musicalmente che tematicamente: nel primo senso è clamorosa tutta la prima parte in cui anche l’interpretazione straripante di dane è chiaramente figlia di geoff tate, tematicamente invece troviamo una ripresa del tema fantascientifico della coscienza meccanica, trattato da degarmo e soci già nell’86 con ‘screaming in digital’. quando poi però il pezzo esplode si torna a riff contorti, stretti, precisissimi, retti da una sezione ritmica pesante quanto fantasiosa, una macchina perfetta su cui si staglia la voce di dane, drammatica, sofferta, aggressivamente umorale, un cantante più unico che raro in grado di gestire le sporcature in maniera magistrale senza mai perdere controllo o trasporto. la sezione degli assoli è un labirinto pieno di trappole, obbligati, accenti e cambi netti che porta dritta a una ripresa dell’introduzione pulita prima di un ultimo finale chiuso da un lancinante e memorabile acuto di dane e da un loop meccanico in dissolvenza.

in mezzo non c’è niente di brutto o fuori posto; da menzionare almeno la soffocante ‘passenger’, apice emozionale, e ‘the politics of ecstasy’, aspro e duro apice cerebrale, così come la stupenda ’42147’, un quasi-strumentale in cui la struttura è la vera protagonista con un van williams pazzesco.


qui iniziano veramente i nevermore, con un disco che è pietra miliare del metal anni ’90 (e tutto), capace di assimilare e rielaborare in maniera creativa tutta la storia del genere e mostrando finalmente il carattere unico dei nevermore come band ancora più che come elementi solisti. il gruppo non tornerà mai indietro e questo possiamo considerarlo come il loro disco più freddo e contorto (ovviamente nel senso positivo di entrambi i termini), un capitolo unico non solo per il metal ma anche per i nevermore stessi.