domenica 10 agosto 2025

nevermore, 'dreaming neon black'

 



come dare un seguito a un album che è stato acclamato come un capolavoro del metal più aspro, freddo e tagliente? i nevermore nel ’99 pensano che la soluzione stia in un disco profondamente emozionale e drammatico, un concept album in cui suicidio e disagio sociale sono le tematiche principali, intenso fin dalla copertina e da un titolo che oscura minacciosamente anche i sogni: ‘dreaming neon black’.


se in ‘politics’ chitarre e ritmica dettavano legge e la voce doveva interagire con strutture complesse, qui le parti si invertono: questo è soprattutto un disco di warrel dane, dominato dalla sua voce e dalla sua personalità cupa. del resto il concept è una sua idea, basato su una sua esperienza personale: una sua ex compagna scappata con un culto religioso gli appare in sogno mentre annega, la polizia troverà poi il cadavere vittima di un serial killer.

temi pesanti e intensi che danno il tono a tutta la musica, la quale perde le vertiginose evoluzioni strutturali del precedente album per basarsi su una forma canzone più canonica (proprio come i 'ryche di 'mindcrime') ma virando il suono verso una pesantezza inaudita, particolarmente nel tono delle chitarre, un piccolo miracolo di perfezione sonica (compensato purtroppo da un suono di batteria piuttosto brutto).

non ci sono pezzi da 9 minuti, il più lungo (‘deconstruction’) non tocca neanche i 7 ma i nevermore imparano a condensare l’intensità in queste durate inferiori e il risultato ha del clamoroso: non ci sono riempitivi, non ci sono momenti di stanca, ogni riff è un piccolo manuale metal che prende dal thrash, dal classico e ogni tanto dal death, evolvendo l’unicità del suono nevermore e preparandolo per il nuovo millennio.

resta l’influenza dei queensryche, una costante nel suono del gruppo che paga un evidente tributo nel clamoroso inizio di ‘i am the dog’ (quasi un plagio di ‘speak’ da ‘operation: mindcrime’).


più che mai è necessario un ascolto totale del disco, le singole tracce non possono rendere giustizia. si può dire che ‘beyond within’ e ‘poison godmachine’ (uno degli apici) rileggono ‘politics’ in una nuova veste, che ‘the death of passion’ ha alcuni dei palm mute più mostruosi che si siano mai sentiti o che ‘deconstruction’ (forse il capolavoro nel capolavoro) sia un pezzo come se ne sente uno ogni vent’anni; si potrebbe parlare dell’intensità quasi insostenibile nell’interpretazione di dane in ‘dreaming neon black’ o ‘forever’ o di come van williams là dietro infili continuamente piccole finezze con uno stile che si fa sempre più maturo o di come anche il basso di sheppard abbia molto più spazio nel mix per brillare (sentire ‘the lotus eaters’).

sì certo, non dimentichiamo che pat o’brien se n’è andato nei cannibal corpse ed è stato sostituito da tim calvert, non è dato sapere quanto abbia contribuito al disco ma sospetto pressoché zero.

è più importante notare come le dinamiche si facciano più varie, spesso le chitarre pulite sono nascoste sotto al muro di distorsione ma ogni tanto prendono il comando, dando al disco un tocco di oscura psichedelia eterea prima di gettarsi di nuovo nell’abisso della saturazione delle medio-basse (tipico del death metal più che del thrash). 

inoltre è bene ricordare che 2 pezzi restano fuori dal disco e verranno alla luce solo nel 2010 nella ristampa in vinile di ‘dead heart’: ‘all the cowards hide’ è paranoica, asfissiante e riprende certi rallentamenti di ‘politics’ ma li rende più teatrali e drammatici mentre l’acustica ‘chances three’ mostra una dinamica ancora più leggera ma va detto che sarebbe risultata decisamente fuori contesto nel disco.


il secondo disco perfetto dei nevermore porta alla luce davvero il carisma e l’estetica di warrel dane che si impone sulla scena come cantante dal carattere assolutamente unico, da qui il gruppo dovrà trovare un nuovo equilibrio per poter continuare. quell’equilibrio si chiamerà ‘dead heart in a dead world’ e sarà l’ultimo capitolo di una trilogia che ha ben pochi eguali nella storia del metal.