domenica 4 aprile 2021

rush, 'test for echo'

 

abbiamo detto di ciò che hanno fatto alex e geddy durante la pausa dai rush, ora guardiamo un attimo neil.

dopo aver partecipato al tributo a buddy rich, a peart resta in mente l’idea di produrre un disco tributo allo storico batterista e questo è il momento migliore per farlo. tra gli amici che chiama per realizzarlo c’è steve smith, storico batterista dei journey, che ora esibisce una tecnica e fluidità tali da impressionare neil che chiede dove abbia affinato tale stile. la risposta è una sola parola: “freddie”.

smith si riferisce a freddie gruber, veterano batterista di new york i cui insegnamenti hanno cambiato la vita ad una lunghissima serie di musicisti (nota personale, me incluso anche se non direttamente). peart si chiude per una settimana con gruber e ne esce cambiato: tutta la filosofia gruberiana si basa sui movimenti, sul flusso, sullo spazio tra i colpi e sul controllo totale di rimbalzi e gravità. è una linea che arriva direttamente dal jazz (buddy rich, elvin jones, tony williams) ma che è perfettamente adattabile ad ogni stile musicale, come dimostreranno lo stesso peart e smith o jojo meyer anni dopo. inoltre peart cambia impugnatura, passando dal matched grip che ha sempre usato al traditional grip di stampo jazz, una vera rivoluzione per un batterista.


detto ciò, i rush si ritrovano sul finire del ’95 per tastare il terreno e provare a buttare giù dei demo che prontamente arrivano. a quel punto registrano le batterie ai bearsville studios di woodstock per poi fare bassi e chitarre ai reaction di toronto e per l’intera durata delle registrazioni si abbatte su di loro una bufera di neve.

il disco viene poi magistralmente mixato da andy wallace che mantiene la naturalezza dei suoni dandogli una spinta deliziosamente anni ’90, è uno dei dischi dei rush che suonano meglio in assoluto, aiutato anche da un ottimo mastering che da qui in avanti invece mancherà sempre ai dischi in studio.


quello che purtroppo però manca a ‘test for echo’ sono i pezzi: due gemme e qualche buon pezzo sono troppo poco per quasi un’ora di album. se aggiungete che le suddette gemme sono i primi due pezzi del disco capite perché ‘test for echo’ non sia il miglior disco dei rush, nonostante esploda al quinto posto di billboard all’uscita.

geddy ha detto che ‘test for echo’ è il prototipo di canzone dei rush ed è difficile dargli torto: intensa e drammatica ma divertente e dinamica, è una canzone perfetta nei suoi crescendo, nella ricerca timbrica e di arrangiamento degli strumenti, clamorosa. quasi altrettanto lo è ‘driven’, un pezzo durissimo retto da un tarantolato riff a tre bassi in cui i tre pestano su strutture metriche imprevedibili prima di aprirsi in un ritornello magnetico, altro centro pieno.

da qui in poi i pezzi si seguono senza intoppi né guizzi, con ‘half the world’, ‘the color of right’ o ‘virtuality’ che allargano gli spazi e le idee di ‘counterparts’ con un piglio meno opprimente

‘time and motion’ torna alla durezza dissonante, è forse il pezzo migliore dopo i primi due e presenta delle interessanti idee di chitarra e voce che torneranno anni dopo in ‘vapor trails’. ‘resist’ è una buona ballad ma farà miglior figura in versione acustica nel tour R30 del 2004 e ‘limbo’ è uno strumentale stranamente suggestivo e spaziale, gradevole ma nulla da tramandare ai posteri.

in tutto il disco si nota come alex abbia fatto tesoro dell’esperienza ‘victor’ nel prendere decisamente più saldamente la sua parte di redini: le chitarre sono protagoniste per buona parte del disco con riff, assoli, sovraincisioni di acustiche e pure una mandola su ‘half the world’. non che gli altri due siano da meno ma questo è probabilmente il disco “più lifeson” della loro discografia.


manca anche una compattezza tematica, i testi di peart non sono mai brutti ma questa volta risultano un po’ generici e poco coesi, non riuscendo ad aggiungere valore ad un disco che oggi potremmo definire il meno riuscito della lunga carriera dei rush. a parte i due pezzoni iniziali, le buone idee contenute verranno sviluppate decisamente meglio nei dischi successivi che, almeno per qualità compositiva, supereranno tutti quelli degli anni ’90. 

il tour che ne seguirà invece sarà un successone e fornirà le basi per il monumentale triplo live ‘different stage’. poco dopo i rush si dovranno prendere un’altra pausa ma questa volta i motivi saranno molto più seri.