sabato 17 aprile 2021

geddy lee, 'my favourite headache'

 

mentre neil lotta con i suoi fantasmi in giro per il continente, a geddy capita un’opportunità. proprio durante il tour di ‘test for echo’ si era incontrato con il suo amico musicista, polistrumentista, compositore e produttore ben mink, violinista degli fm e collaboratore di lunga data di kd lang. i due avevano jammato insieme e si erano ripromessi di provare un giorno a fare qualcosa insieme. quel giorno sembrava arrivato e mink fu ospite di geddy nel suo studio casalingo per un paio di settimane, durante le quali composero insieme ‘my favourite headache’.


se alex nel suo disco si era dato a un suono strano, aggressivo e sgraziato, geddy invece confeziona una collezione di canzoni molto più pop-rock di quanto i rush avrebbero mai fatto. la sua attenzione è sulle melodie, oltre che ovviamente sul basso. ‘my favourite headache’, uscito il 14 novembre del 2000, ha permesso a geddy di sperimentare con le armonie vocali ed aprirsi un mondo di sonorità che non mancheranno di farsi sentire negli ultimi rush: controcanti, vocalizzi in sottofondo, tracce raddoppiate, gli strumenti utilizzati sono tanti e rappresentano una delle cose migliori del disco visto che danno modo al bassista di evolvere in modo evidente anche il suo modo di cantare.

mink si occupa delle chitarre (suonate anche da geddy) e degli archi mentre per le batterie viene reclutato matt cameron dei pearl jam/soundgarden, un batterista rock molto più diretto e meno cervellotico dell’architetto peart.


mentre ‘victor’ è stato più un divertissement di lifeson, ‘my favourite headache’ è un disco vero e proprio che nei suoi momenti migliori propone pezzi che a livello qualitativo non avrebbero stonato in un disco dei rush. due canzoni in particolare spiccano, la title-track e ‘working at perfekt’. una apre il disco con un’energia contagiosa e vbrante, con il basso bello davanti a guidare i giochi e qualche riff che pare uscito dalle dita di alex; ‘working at perfekt’ invece è un pezzo più drammatico in cui è la composizione a brillare, aiutata dalle belle chitarre di mink che sostengono un gran lavoro melodico di geddy.

il groove di cameron è molto diverso da quello di neil e lascia più spazio al basso per orpellare le frasi liberamente, confermandosi una scelta più che azzeccata per il tono più pop-rock del disco: la sua alchimia con geddy alla ritmica è un piacere da ascoltare per tutto il tempo.


i pezzi finiscono abbastanza in fretta su una media buona ma con un tono fin troppo disimpegnato che finisce per far distrarre l’ascoltatore, non ci sono particolari melodie che si appiccichino in testa ma è comunque un ascolto gradevole, fosse anche per l’evidente divertimento di geddy e per la sua prestazione maiuscola al basso (‘moving to bohemia’ è retta dal suo strumento da solo praticamente). ‘home on the strange’ e ‘the present tense’ sono due bei pezzi rock con un groove che vi farà muovere il culo ma non mancano momenti molto meno convincenti come le due ballad ‘the angel’s share’ e ‘slipping’, appesantite ulteriormente da arrangiamenti eccessivi. per fortuna con ‘grace to grace’ il disco si chiude con una bella energia con ancora il basso protagonista.


decisamente più riuscito di ‘victor’, ‘my favourite headache’ mostra geddy in gran forma, soprattutto con molta voglia di andare avanti ed evolvere il suo modo di fare musica. se anche non tutti i pezzi sono riusciti benissimo poco importa, i suoi effetti si faranno decisamente sentire quando i rush torneranno in studio.