domenica 18 aprile 2021

rush, 'vapor trails'

 

e poi, in un freddo giorno del gennaio 2001, un comunicato stampa: i rush si sono ritrovati per fare cose. non era esattamente così ma non era molto più dettagliato e ha lasciato tutti noi ad aspettare ulteriori sviluppi che non tardarono ad arrivare.

quello che è successo è semplice: neil un giorno di settembre nel 2000 ha alzato il telefono e ha chiamato gli altri, “ciao amici, sono vivo, che si fa?”. a quel punto i tre si ritrovano e parlano per settimane, poi timidamente iniziano ad improvvisare e quindi a comporre seriamente. a quel punto viene coinvolto paul northfield come produttore e iniziano le sessioni di registrazione. tutto semplice e lineare.


‘vapor trails’, al momento dell’uscita, ha due grossi difetti: il mastering e la durata. se la seconda può essere un problema soggettivo, il danno fatto dal mastering non lo è affatto, inficiando pesantemente sulla godibilità di un disco talmente sparato e compresso da distorcere continuamente e devastare la profondità dei brani, già minata da un mix che pare fosse sfuggito di mano alla band stessa. ce ne siamo accorti tutti e se n’è accorto anche il gruppo, al punto che nel 2013 verrà pubblicato ‘vapor trails remixed’, un completo restyling del disco, remixato da david bottrill e masterizzato da andy vandette. è a questa edizione che mi riferirò per tutta la recensione poiché quella originale, francamente, mi fa incazzare. non che il remix sia perfetto: la batteria è stata trattata con sample che ne rendono il suono artificioso e un po’ troppo plasticoso ma il miglioramento della spazialità e profondità complessivi rispetto all’osceno originale è miracoloso.


a parte tutto questo, siamo tutti stati presi a schiaffi dal signor peart quando abbiamo messo il cd nel lettore ed è partita ‘one little victory’ con una doppia cassa terremotante che introduce un riff gigantesco di chitarra. i rush si presentano entrando a gamba tesa con una canzone che resterà tra le preferite dei fan, una furia hard in cui i tre strumenti si rincorrono e si incastrano con una verve che supera quasi qualsiasi cosa abbiano registrato nei 10 anni precedenti. poi arrivano i rush più aperti con ‘ceiling unlimited’ ma è con ‘ghost rider’ che la mandibola cade a terra e gli occhi si inumidiscono di fronte a un brano perfetto in cui chitarre e basso si intrecciano continuamente per accompagnare lo splendido testo di neil.

è importante notare come non ci sia traccia di tastiere o synth per tutto l’album, è il disco (hard) rock di un trio che pesta sugli strumenti come non faceva da tanto tanto tempo, se mai l’aveva fatto così intensamente. anche le stupende melodie e aperture di ‘the stars look down’ sono alternate a sfuriate di chitarra che toccano anche il metal, creando un gioco di contrasti che è veramente l’anima di ‘vapor trails’.


si diceva che anche la durata è un difetto del disco: 67 minuti sono decisamente troppi per tutta questa spinta, se si fosse scesi a 45-50 il disco sarebbe stato ancora meglio. non che ci sia roba brutta eh, quando mai, però di pezzi come ‘how it is’, ‘nocturne’ o ‘out of the cradle’ se ne sarebbe anche potuto fare a meno, non sono nulla più delle canzoni meno interessanti di ‘test for echo’. di contro rispetto al disco precedente ‘vapor trails’ ha svariati picchi: abbiamo detto di ‘victory’, ‘ghost’ e ‘stars’ ma non ancora della travolgente ‘earthshine’ con le sue chitarre mostruose e riff giganteschi o del capolavoro del disco, ‘vapor trail’, la versione ulteriormente migliorata di ‘test for echo’, quel prototipo di “canzone dei rush” di cui parlava geddy. ancora una volta sono i contrasti a renderla viva, contrasti dinamici, timbrici e armonici su cui geddy canta melodie avvolgenti, una canzone da pelle d’oca. ‘secret touch’ non è tanto da meno, con controtempi che intervengono dritti sulle ginocchia e un ritornello magico in cui geddy sfrutta la sua scoperta delle armonie e sovraincisioni vocali sfruttata su ‘my favourite headache’.

c’è tempo per un colpo di coda con ‘sweet miracle’, un pezzo più morbido marchiato dall’intensa interpretazione vocale di geddy che con gli anni ha perso in altezza ma guadagnato incredibilmente in carattere ed emotività.


i tre pezzi finali purtroppo non reggono il confronto e risultano un po’ come un’appendice che nulla aggiunge al disco.

a parte questo, i rush non solo tornano alla vita ma tornano ad una forma (almeno nella scrittura) che non si sentiva dagli anni ’80: ‘vapor trails’ è un disco compatto, intenso, divertente, complesso, tutto quello che si poteva volere da un gruppo che stava per compiere 30 anni. facendo finta che non sia mai uscito con quell’abominio di mix/master originale, è una rinascita che ha del miracoloso, come ampiamente dimostrato dal tour che seguì e testimoniato dallo stellare live ‘rush in rio’ che per la prima volta rompe la sacra sequenza per dare ai fan 3 ore e passa di pippe a due mani, se posso essere fine. è un tour che recupera di tutto, da ‘natural science’ e ‘la villa strangiato’ a ‘new world man’ passando per il meglio degli anni ’90 e una deliziosa ‘the pass’ ripescata da ‘presto’. un successo mondiale che culmina in quella data ormai leggendaria a rio de janeiro il 23 novembre del 2002.


i rush erano tornati e nessuno poteva fermarli.