domenica 21 marzo 2021

rush, 'roll the bones'

nel 1991 i rush entrano iniziano i lavori per dare un seguito a ‘presto’. il gruppo che entra in studio è sicuro, rilassato, compatto e con le idee chiare sul risultato da ottenere.

un piccolo aneddoto rivela in particolare il livello a cui era arrivato neil: quando il batterista entrò al le studio per registrare le sue parti, un grave problema coi nastri fermò i lavori per vari giorni, giorni durante i quali neil sfogò la frustrazione provando maniacalmente tutt le parti, al punto che quando le macchine furono di nuovo pronte registrò tutte le sue parti in un giorno e mezzo, non solo riportando le lavorazioni in pari ma addirittura in anticipo. è un periodo di grande crescita per peart che proprio in questi mesi elimina la seconda cassa passando al doppio pedale e partecipa al grande tributo a buddy rich, rispolverando il suo amore per jazz e big band che lo porterà a riprendere gli studi con il guru della batteria freddie gruber.


‘roll the bones’ fondamentalmente migliora la formula di ‘presto’ e infila una serie di buone canzoni con un paio di vertici mozzafiato: ‘dreamline’, ‘bravado’ e ‘roll the bones’ sono tre pezzi micidiali che sono i rush potevano scrivere. la prima apre i giochi riprendendo proprio la linea di ‘presto’ con un uso moderato ma deciso delle tastiere su una base strumentale hard in cui brilla alex in particolare. ‘bravado’, oltre ad essere un bellissimo pezzo melodico finto-semplice, è uno dei migliori testi mai usciti dalla penna di peart, una poesia sul coraggio e il fallimento che mostra la maturità e saggezza già raggiunte dal batterista.

‘roll the bones’ è un pezzone hard dai riff che anticipano i suoni di ‘counterparts’; ancora con lifeson sugli scudi, la canzone è marchiata da un break centrale in cui la voce effettata di geddy si esibisce addirittura in un rap, riuscendo a risultare divertente senza essere fuori luogo.

queste tre canzoni da sole valgono l’intero disco, che da qui in avanti infila altri sette pezzi tutti più o meno buoni ma senza particolari sbalzi. è interessante notare però come l’intero album suoni più spontaneo e fresco dei suoi immediati predecessori; parte di questo risultato è dato da un fatto curioso: quando i demo di basso e batteria erano pronti, alex si è chiuso in camera con un tascam a 8 piste per lavorare a tutte le sue chitarre, inclusi tutti gli assoli. quando rupert hine sentì alcuni di quegli assoli, decise di tenere proprio quelle tracce demo per il disco, montandole poi in fase di mix per mantenere quella spontaneità che poi si riflette nei pezzi. proprio il solo di ‘bravado’ è uno di questi, come quello di ‘ghost of a chance’ (altro gran testo di neil e uno dei 5 brani del disco che saranno fissi nella scaletta del tour).

per il resto non molto da segnalare, ‘face up’ sembra uscita da ‘presto’, ‘where’s my thing’ è uno strumentale carino ma senza molto mordente (sembra una prova per la futura e ben più riuscita ‘leave that thing alone’), ‘the big wheel’ sfoggia un ritornello pop degno di ‘hold your fire’, più interessante l’atmosferica ‘neurotica’ con un gran lavoro di basso e lifeson che gioca a fare andy summers.


‘roll the bones’ è un buon disco che per compattezza supera decisamente ’presto’, è fresco e diverte anche se nella seconda metà si adagia su una scrittura un po’ troppo canonica e forse si potevano tralasciare un paio di pezzi per renderlo più snello ed efficace. difetti a parte, è il segno che i rush di mollare non ne vogliono proprio sapere e pochi anni dopo arriveranno alla forma compiuta di questo nuovo suono con ‘counterparts’.