venerdì 26 marzo 2021

krallice, 'demonic wealth'


non è facile descrivere a parole quello che il nuovo disco dei krallice esprime. il progetto di colin marston non solo fa di necessità virtù ma riesce a sfruttare le circostanze avverse per esprimere un disagio e un’alienazione così profondi da ricordare a tratti i miracoli musicali dei khanate migliori ma andiamo con ordine.

‘demonic wealth’ è stato tutto registrato durante il lockdown, la batteria con uno smartphone, la voce con un altro telefono (in macchina davanti alla palude, stando ai credits), il basso non si sa, poi chitarre, synth e mix ad opera di marston nel suo studio.
i krallice hanno sempre usato il black metal ma non sono mai stati veramente un gruppo black metal, tanto da essere derisi e diffamati dai trve backsters. qui più che mai il black è solo uno dei colori utilizzati dal gruppo che spesso e volentieri si addentra in territori industriali e noise, giocando su una stratificazione del suono incredibile, data anche dalla qualità radicalmente diversa delle registrazioni. è un incubo in 3d che usa tanto il black quanto il post- di marca hydrahead, lo sludge, l’industrial paranoico dei godflesh e dei trucchi di produzione molto cinematografici (vedi ‘still’, un pezzo che, scream a parte, potrebbe uscire dal catalogo reznor-ross già dal titolo). 

‘folds of plasma’ attacca alla giugulare ma già si apre in folate di synth che lasciano incuriositi; già da ‘dilution’ si capisce che qualcosa non quadra e la tensione inizia già a farsi insostenibile: le chitarre lasciano spazio ai synth e il contrasto timbrico con la voce e la batteria lascia a bocca aperta. con la citata ‘still’ si tocca uno degli apici del disco, un brano drammatico e feroce che rinuncia ancora alle chitarre per ondate di synth sopra al lontano blast beat. il riff dissonante di ‘mass for the strangled’ torna al black metal ma la sua complessità riporta molto più alla narrativa di mikael åkerfeldt che ai satyricon (comunque presenti nella melodicità dei tremolo e nelle ritmiche thrashy).

’sapphire’ è un’altro momento deliziosamente infernale e sofferente, ancora più rarefatta di ‘still’, lascia che poche linee di synth sottintendano un’armonia mentre il blast in loop fa da drone e la voce latra selvaggia tutto il dolore dell’umanità; per certi versi ricorda una versione ancora più estrema di certe cose dei corrections house, privata però delle chitarre di scott kelly. il contrasto tra voce-batteria in lo-fi e synth digitali è incredibile e ci si ritrova rapiti dall’atmosfera apocalittica e dal finale in crescendo che è forse il momento più alto di tutto il disco.
‘disgust patterns’ torna verso la terra ma non del tutto, con i suoi synth stranianti che accompagnano gli arpeggi prima che il metallo si porti via tutto in una fuga strumentale a tratti parossistica mentre ‘demonic wealth’ è un altro gioiello dalla struttura progressive in continua evoluzione ma dal suono putrefatto e marcio.
per concludere, ‘resistance strains’ fa definitivamente a pezzi ogni categoria saturando il suono oltre ogni decenza mentre la voce raglia inarrestabile e il blast beat della batteria non accenna a fermarsi un secondo, neanche quando le chitarre si aprono in arpeggi galattici accompagnati dai synth vintage.

‘demonic wealth’ è un disco stratificato, complesso e studiato in ogni particolare, un album che rifugge le etichette, metabolizza e riutilizza di tutto ma non si lascia inquadrare se non come musica profondamente disturbata e disturbante, avvolgente nella sua tenebra, a suo modo lirica se non poetica. 
un trionfo e una delle punte di diamante della già vasta produzione di marston.