domenica 28 marzo 2021

rush, 'counterparts'

 


tra i fan dei rush le opinioni sui loro anni ’90 sono altalenanti; una cosa che però mette quasi tutti d’accordo è che di quel periodo ‘counterparts’ rappresenta la forma più compiuta, il disco che cambia di nuovo le carte in tavola, ben più di ‘roll the bones’. la cause di questo cambiamento ancora una volta sono varie. 

in primis c’è la volontà del gruppo di non rimanere indietro rispetto a un mondo rock in cui è esploso il suono di seattle e i gruppi sono tornati a maltrattare i loro strumenti invece che usare tastiere e campionatori: i rush vogliono tornare ad essere un rock trio energico e cazzuto e si scelgono i collaboratori di conseguenza. il nome di peter collins stupisce, essendo il produttore che traghettò il gruppo nel suo periodo più patinato e pop; nel frattempo però collins ha cambiato territori ed ha collaborato a più riprese con i queensryche (producendo tra l’altro il loro capolavoro ‘operation: mindcrime’), una band metal che deve tantissimo proprio ai rush. è lui a consigliare al gruppo il fonico kevin shirley, un giovane ingegnere del suono detto ‘the caveman’ che avrà grandissimo successo e arriverà a produrre aerosmith (‘nine lives’, il loro ultimo discone) e dream theater (il sottovalutato ‘falling into infinity’).

è proprio shirley a rivoluzionare il modo di registrare dei tre: la batteria rinuncia ai close-mic sui fusti per un approccio più panoramico ed orchestrale dello strumento, geddy torna (pare sotto pressione del fonico) al suo fender jazz e alex viene cacciato dalla regia per tornare a suonare davanti alle sue casse, è tutto più rock, è tutto più diretto e in faccia. nonostante i benefici di tutto questo, quando fu il momento di mixare i tre preferirono affidarsi a michael letho che portò un maggiore livello di rifinitura ai brani facendoli suonare più rush e meno grunge.


i risultati si sentono fin da subito con ‘animate’: erano anni che i rush non aprivano un così, mi si permetta il francesismo, a cazzo duro. ci sono delle tastiere ma sono uno sfondo lontano che dona spazio al suono più che caratterizzarlo, il pezzo è basato su una serie di killer riff che escono dalle corde e su una prestazione sublime di peart (che di suo non è una novità ma il suono nuovo la rende fresca e travolgente). un pezzo che diventa subito amatissimo dai fan e non lascerà più le scalette live.

si continua con riff fantastici in ‘stick in out’, dai toni anni 70, ma è ‘cut to the chase’ a colpire di nuovo in pieno, la versione evoluta e compiuta del suono di ‘presto’ con un lifeson finalmente di nuovo protagonista e il basso di geddy a completare, punteggiare, contrappuntare, una festa.

ancora tre le perle del disco. la prima è la ballata ‘nobody’s hero’, una toccante riflessione di peart sulla discriminazione e le sue ramificazioni, retta musicalmente da una delle migliori ballad mai scritte dal trio, intensa senza essere patetica. la seconda è ‘double agent’, una catena di riff pazzeschi con lifeson scatenato, il tiro animale del basso di geddy e neil che alterna incastri ingegneristici ad attacchi percussivi frontali, un pezzo con un’energia inarrestabile. la terza è lo strumentale ‘leave that thing alone’ che definire ‘strappafaccia’ è un eufemismo: i rush tornano a scrivere uno strumentale narrativo, epico, divertente e memorabile per melodie e prestazione dei tre musicisti, diverso dal passato per suono e struttura ma con la stessa voglia di rapire l’ascoltatore. riusciranno a pareggiarlo solo più di dieci anni dopo con ‘the main monkeys business’.


il resto dei pezzi mantiene una media più alta di quelli di ‘roll the bones’, anche se non ci sono grossi sbalzi: ‘between sun and moon’ ha un bel ritornello (e definisce una forma e struttura che accompagnerà il gruppo per parecchio tempo), ‘alien shore’, ‘the speed of love’ (più vicina a ‘hold your fire’), ‘cold fire’, tutti pezzi buoni che vengono un po’ schiacciati dai quattro citati prima anche se il nuovo suono iniettato da collins e shirley li mantiene freschi e mai noiosi. 


notevole anche la coesione tematica del disco: peart indaga la dualità, le parti complementari e quelle opposte, riflette sull’anima junghiana, sui contrasti e le attrazioni in una rete di testi sempre più evoluti nella loro semplicità formale e profondità intellettuale.

anche il pubblico si accorge della riuscita dell’album che arriva al secondo posto di billboard diventando il loro maggior successo fino a quel punto.

insomma, ‘counterparts’ è un disco decisamente più riuscito, compatto e soddisfacente di tutti quelli che gli stanno subito attorno, un ritorno dei rush all’impatto fisico senza rinunciare a un grammo della loro sofisticazione, espresso da un pugno di canzoni memorabili. dopo 20 anni di carriera, il treno dei rush non accenna a fermarsi o a farsi lasciare indietro.