sabato 14 giugno 2025

discordance axis, ‘the inalienable dreamless’

in fin dei conti il grindcore non è poi così diverso dal blues o dal cantautorato: il canovaccio è più o meno sempre simile, quello che conta è l’interpretazione personale e come viene recepita dall’ascoltatore.
gli americani discordance axis si sono formati nel ’91, sciolti nel 2001 e in questi dieci anni hanno pubblicato solo tre dischi. pochi? forse sì ma la verità è che gliene sarebbe bastato uno solo per scolpire il loro nome nella storia del genere: ‘the inalienable dreamless’, uscito il 23 maggio del 2000 per la hydra head di aaron turner.

in modo non tanto diverso dagli svedesi nasum, questi tre sono riusciti nell’improbabile impresa di rendere personale e originale il suono di una manciata di bulloni messa nel frullatore (mentre un tizio strilla). 
non c’è un vero “cambiare le regole” ma il tempo ha dimostrato come con questo album il trio abbia mostrato una direzione parallela, pur parlando sempre di grind selvaggio, canzoni da 35 secondi a 250 bpm con batteria in blast beat e rullate a ruota libera, chitarra (sì, singola, una basta e avanza) urticante, sadica ma perfidamente studiata e chirurgica e una voce folle, isterica e marcia che vi urla in faccia tutto il dolore della razza umana. tutto tutto eh.
queste pillole di follia sonora sono disseminate di tempi dispari, stop and go alla velocità della luce, riff dissonanti ma stranamente catchy, vuoti improvvisi in mezzo al massacro, una miriade di particolari perfettamente studiati e incastrati in un flusso unico che in alcuni momenti verrebbe da chiamare prog-grind ma che ha un tale trasporto da far pensare a certe derive emo/screamo. insomma, un impressionante equilibrio tra cuore e mente che all’epoca non si sentiva spesso nel genere.

la batteria di dave witte è un tornado continuo e non a caso dopo lo scioglimento del gruppo è stata al servizio di molte band (human remains, burnt by the sun, minicipal waste e molti altri), velocità e potenza sono disumane così come la precisione di ogni colpo e pausa ma è il lavoro si chitarra di rob marton a lasciare veramente esterrefatti: fantasioso, dinamico, con un senso ritmico pazzesco e capace di rivolti e scelte negli accordi che in qualche momento ricordano addirittura i monumentali blind idiot god, pur senza utilizzare alcun effetto oltre alla distorsione (tanto per ribadire il legame del grind con la filosofia hardcore).
su questo inferno di ghiaccio e fiamme si staglia la voce di jon chang, disperata, allucinata, un urlo incontenibile che si mantiene perlopiù su uno scream acuto e lancinante ma non manca di passare da momenti di growl cavernoso e orrendo.

non starò ad elencare i brani di un disco che dura 23 minuti e mezzo ma se volete fare una toccata e fuga per capire di cosa si parla puntate dritti su ‘pattern blue’, ‘loveless’o ‘jigsaw’, per quanto farsi sbranare dai primi due brani sia un’emozione indescrivibile.
‘the inalienable dreamless’ va assunto per intero, non c’è niente di superficiale o inutile, è un’esperienza catartica che può radere al suolo tanto il corpo quanto il cervello, un autentico capolavoro da sentire almeno una volta nella vita.