domenica 19 dicembre 2021

billie eilish, 'happier than ever'


non dev’essere facile essere billie eilish. a parte le ovvie battute su quanti soldi abbia oggi, è evidente che la cantautrice statunitense non è a proprio agio né con se stessa, né con la fama e questo ‘happier than ever’ è un’inquietante finestra sull’interiorità tormentata di una ragazza alle prese con stadi esauriti, stalker attorno a casa e aspettative gigantesche sulle spalle.


dopo il successo mondiale dell’album d’esordio, eilish tenta una strada un po’ diversa, puntando molto di più sull’aspetto cantautorale dei brani e mantenendo gli arrangiamenti un po’ più compassati e, mediamente, più sobri. 

‘happier than ever’ ha l’aria del disco di passaggio: i momenti dance/dubstep (‘oxytocin’, ‘nda’) sono ancora fantastici ma risultano quasi fuori contesto in un album che vuole suonare più organico, a partire dalle varie ballad in cui la voce di billie gioca con toni soul d’annata o con inflessioni da crooner. 

i momenti migliori del disco sono quelli che sanno giocare con questa dicotomia: ‘goldwing’, ad esempio, inizia con un corale di holst ispirato ad antichi testi indiani, poi si getta in una scarna danza scazzata con tanto di ‘na na na’ per ritornello; l’apertura con ‘getting older’ è affascinante, in bilico tra synth elaborati, melodie beatlesiane e cadenze da cantautorato seventies, un contrasto mantenuto anche nella bella ‘i didn’t change my number’ in cui un beat ossessivo si incastra con un organetto vintage per fare da base alle melodie di eilish, prima che un synth marcio divori la canzone nel finale.


se si può muovere una critica è che il disco si adagia un po’ troppo su ritmi morbidi, risultando a tratti un po’ pesante nonostante la qualità delle composizioni non cali quasi mai. di certo quando dopo la desolante ‘my future’ deflagra il party depravato di ‘oxytocin’ la voglia di muovere il culo trova uno sfogo degno di nota con un pezzo semplicemente perfetto, sulla scia di altri pezzi da 90 come ‘bury a friend’.

‘halley’s comet’ sembra quasi costruita sul giro armonico di ‘can’t help falling in love’ di elvis e ha un po’ di quell’epicità soffusa a sostenerla, è una delle belle ballate che si addensano un po’ troppo nella seconda metà del disco: questa, ’lost cause’, la spettrale e inquietante ’not my responsibility’ (in cui i fantasmi prendono la forma concreta di uno spoken word spietato), ‘everybody dies’, tutte belle canzoni ma forse la tracklist poteva essere bilanciata meglio, qualche taglio avrebbe giovato.

per fortuna sul finale ci si riprende con le bordate di suono digitale di ’nda’ e il pop urbano e sleazy di ‘therefore i am’ ma la vera sorpresa è ‘happier than ever’, prima ballata desolante, poi esplosione rock assordante inedita nel repertorio della giovane eilish, un momento di intensità notevole e uno degli apici del disco, appena prima che la delicata ‘male fantasy’ chiuda con una chitarra acustica e un’altra ottima prova di billie alla voce. sperando che lo stile sussurrato del canto non si trasformi da peculiarità a prigione, è sicuramente apprezzabile una buona crescita nelle capacità di interpretazione di eilish.


‘happier than ever’, pur essendo un tantino logorroico a tratti, è la riprova della capacità di billie eilish di scrivere bellissime melodie, unita alle idee di arrangiamento di finneas e alle sue capacità digitali formano una squadra che, vista anche l’età, continua a promettere grandi cose ma nel frattempo porta a casa risultati eccellenti.