martedì 1 dicembre 2020

horse lords, 'the common task'

gli horse lords sono un quartetto di baltimora formato da andrew bernstein (sax e percussioni), max eilbacher (basso e synth), owen gardner (chitarra) e sam haberman (batteria) che arrivano al quarto disco con ‘the common task’, pubblicato il 13 marzo 2020.

la loro musica si inserisce in quel filone di rock che (la faccio facile, non me ne vogliate) nasce con il kraut, diventa “post” nei primi ’90 con gruppi come i tortoise e poi vive un momento di insperata celebrità nei primi 2000 con gente tipo i battles (e i più interessanti three trapped tigers). math-rock si potrebbe dire, probabilmente più a ragione di tutti i gruppi citati visti i ragionamenti matematici che stanno dietro all’intonazione naturale usata come metodo di accordatura dal gruppo, con le chitarre modificate da gardner stesso.



l’intonazione naturale si discosta dal temperamento equabile (il metodo di accordatura usato abitualmente) poiché invece di correggere le piccole imperfezioni nelle relazioni matematiche tra le note mantiene ogni intervallo basato su proporzioni “pure”. è un discorso lungo e complicato, per farla semplice: il sistema che usiamo abitualmente ha la comodità di non richiedere di ri-accordare gli strumenti per ogni cambio di tonalità poiché le distanze fra le note sono “aggiustate” mentre con l’intonazione pura bisogna calcolare le distanze sempre partendo dalla tonica per preservare gli intervalli naturali, questo risulta in sovrapposizioni di note che limano le dissonanze e i ribattimenti, cambiando la nostra percezione della musica.


gli horse lords, dicevamo. fanno musica che è modulare ma anche no, mi spiego. i movimenti degli strumenti ritmici (e spesso anche del sax) sono a blocchi ma raramente tutti gli strumenti cambiano insieme, creando un continuo movimento disorientante ma mai aggressivo o disturbante. insieme a questo troviamo però anche synth che attraversano le tracce per il lungo, dando continuità e distaccandosi dal movimento modulare. oltre a questo, la loro musica fa man bassa della tradizione ritmica africana, fatta di pronuncia e cicli ritmici, basandosi proprio su questo aspetto più che sull’armonia.

musica psichedelica, senza dubbio, derivata anche da esperienze con sostanze psicotrope (cosa apertamente dichiarata dal gruppo) che allo stesso modo cerca un’alterazione dello stato mentale dell’ascoltatore, lo rapisce completamente escludendo il mondo esterno o modificando la percezione che se ne ha.


le trame strumentali sono secche e fittamente intrecciate senza la minima imprecisione, non c’è alcun dubbio sul fatto che i 4 di baltimora siano dei musicisti eccezionali. ciò che più rapisce di ‘the common task’ è la sua fluidità: nonostante le geometrie cerebrali, gli spigoli e il disorientamento di cui sopra, la musica scorre in modo naturale e non vuole mai stupire con colpi di scena o gesti clamorosi. la batteria di haberman rotola sbilenca in modo ritmicamente molto fantasioso, la chitarra di gardner potrebbe ricordarvi andy summers, robert fripp, jeff parker, è un continuo lavorare su cluster e cellule che prende tantissimo dalla musica africana; il basso si inserisce in mezzo ai due con pedali che sanno ora di afrobeat, ora di kraut rock mentre il sax di bernstein è spesso protagonista con suoni allucinati che possono allinearsi alla griglia ritmica o solcarla con lunghi droni che danno drammaticità allo svolgersi dei pezzi.


mix e master sono ottimi, mantengono la naturale percussività degli strumenti e non snaturano le dinamiche dei pezzi, fondamentali per il viaggio. c'è un bell'impasto generale che non toglie mai spazio agli strumenti, facendoli uscire sempre nel momento giusto.

‘the common task’ è un disco incredibile, intelligentissimo, profondo e ricercato ma anche godibile e coinvolgente (di certo dal vivo farebbe ballare un sacco di persone), ha il suo apice nei 18 eccezionali minuti della conclusiva ‘integral accident’ (aperta da una lunga sezione in cui compaiono gli ospiti del pezzo: fisarmonica, violino, fagotto e voce femminile, rapisce poi con un crescendo magistrale) ma non conosce momenti di stanca, che sia l’africa psichedelica di ‘people’s park’, la vertigine ritmica di ‘fanfare for effective freedom’ o la paradisiaca oasi di droni di cornamusa manipolata ‘the radiant city’. una volta che ci si sprofonda sarà molto difficile dimenticare l’esperienza, consigliatissimo a chiunque cerchi musica “diversa”.