giovedì 24 dicembre 2020

distant zombie warning 2020



potremmo dire che il 2020 è stato un anno… bizzarro. potremmo anche dire che è stato un anno di merda volendo. anzi, è stato indiscutibilmente un anno di merda, forse però proprio per questo è uscita una quantità di musica bella davvero imbarazzante. era qualche anno che non mi trovavo in difficoltà a selezionare la top ten, ho dovuto lasciare fuori roba di cui sono sicuro mi pentirò e ho preferito dare spazio a sorprese e cose nuove/che non conoscevo. questo significa che due dei miei gruppi preferiti di sempre non sono finiti in classifica (pain of salvation e motorpsycho) ma altri sì (today is the day, napalm death, nine inch nails).
non c’è un vincitore netto, è andata così, per cui la classifica è puramente in ordine cronologico per data di uscita, da cui i numeri di fianco ai titoli.


capitolo i: quelli proprio bravi


today is the day_no good to anyone 02.28

steve austin torna dopo anni, malattie, incidenti e morti che l’hanno portato a scrivere un disco che se non ha l’efferatezza dei capolavori passati quantomeno ha una strana bava acida e rabbiosa alla bocca. ci sono pezzi incredibili come ‘no good to anyone’, ‘attacked by angels’ o ‘born in blood’, c’è un’atmosfera malata e alienante e dei gran suoni di chitarra. sicuramente uno dei dischi che ho ascoltato di più quest’anno.



shabaka and the ancestors_we are sent here by history 03.13

poco prima che la morte di george floyd scatenasse la rabbia della popolazione afroamericana, shabaka hutchings coi “suoi” ancestors ha pubblicato un disco che è pura celebrazione dello spirito africano come collettività, una festa per celebrare la fine dei tempi che a tutti noi a marzo non sembrava un’ipotesi poi così remota. è jazz del nuovo millennio, non è poi così diverso da quello del millennio scorso, è corale, è solistico, è orgiasticamente ritmico, è imperdibile.



nine inch nails_together 03.26

dei due dischi a nome nin usciti quest’anno, ‘together’ è quello che mi ha colpito. non che ‘locusts’ sia brutto, anzi, è solo che è più prevedibile e più sui binari del classico suono del gruppo mentre ‘together’ mostra una grande maturità nel suo rielaborare le esperienze con le colonne sonore in un viaggio che non necessita di immagini per essere vissuto, attraverso un lavoro di suoni mozzafiato e arrangiamenti dilatati. 



sex swing_type ii 05.15

con questo secondo disco il supergruppo americano ha creato qualcosa di unico, una miscela paranoica di rock, noise, psichedelia, kraut, post-punk e altro che vi travolgerà come un fiume. le sferzate del sax sono una goduria ma è la ritmica il motore del gruppo, un treno inarrestabile che trascina per tutto il viaggio.



jon hassell_seeing through sound 07.24

jon hassell, dall’alto dei suoi 83 anni e 60 di carriera, ha evoluto un’estetica e un modo di fare musica unici. ‘seeing through sound’ è un disco di immagini, di dipinti sonori in cui gli strumenti giocano con gli arrangiamenti e lo spazio si dilata, un’opera poetica e profonda che mostra come anche i musicisti “di una volta” possano aggiornarsi e suonare moderni, ben più di tanti giovinotti da strapazzo.



imperial triumphant_alphaville 07.31

il metallo non è mancato quest’anno, sia nella tradizione (napalm death) che nelle sue evoluzioni più spinte. proprio qui stanno gli imperial triumphant che con ‘alphaville’ hanno superato se stessi, un disco densissimo di idee, fatto di destrutturazione e ricostruzione minuziosa del metal (soprattutto death e black) e di interventi timbrici bizzarri (fiati, percussioni, cori). una formula molto originale che sarà bene ricordare nel futuro.



the microphones_the microphones in 2020 08.07

sì, è un’hipsterata stellare ma non ci posso fare niente, l’opera autobiografica di phil elverum mi è piaciuta tantissimo nella sua egocentrica schiettezza. l’idea del pezzo unico di 45 minuti funziona benissimo e racchiude molte delle sfaccettature del suono di elverum come microphones, dalle scazzatissime chitarre acustiche alle esplosioni di rumore. l’arrangiamento è fantasioso e imprevedibile il giusto, il testo divertente, alzo le mani, uno dei migliori dischi di cantautorato che abbia sentito negli ultimi anni.



ulver_flowers of evil 08.27

c’è poco da fare, la classe non è acqua: anche quando gli ulver si danno a un mestiere d’autore, riescono a confezionare un disco incredibile. più distaccato e nordico, un po’ più tecnico e meno ovvio del suo illustre predecessore, ‘flowers of evil’ infila otto pezzi di synth-pop paranoico che non mancano un colpo, richiedono solo un po’ più di impegno e di attenzione. se è vero che garm può migliorare come cantante, la finezza degli arrangiamenti fa decisamente da contrappeso elevando il disco intero.



napalm death_throes of joy in the jaws of defeatism 09.18

l’oltranzismo, la rabbia, la tradizione, lebbotte. quante botte ci hanno dato i napalm death in più di 30 anni. e noi muti, giù a pagare ancora, un altro disco, un altro concerto. ancora una volta nel 2020 gli inglesi pubblicano un disco che a tratti sorprende con soluzioni post-punk e industrial inaspettate, per il resto trita le ossa con una carriolata di riff spettacolari e il meraviglioso ringhio di barney. non puoi volere di più.



mr.bungle_the raging wrath of the easter bunny 10.30

a 34 anni dalla sua originale registrazione, i mr.bungle risorgono dal nulla per pubblicare la nuova versione del loro primo demo. sì, è un’idea bizzarra ma loro sono loro, se vi aspettavate altro… sbagliavate. se vi aspettavate qualcosa in generale sbagliavate perché questa reunion è davvero uscita dal nulla. con l’aggiunta di scott ian e dave lombardo i bungle (ri)danno vita a un album fatto del più classico thrash metal ottantiano che possiate immaginare e lo fanno spaccandovi le ossa con un groove inarrivabile e un mike patton a dir poco scatenato. 


capitolo ii: siete tuttibbravi

tantissima roba bella quest’anno si diceva e infatti la lista dopo la top ten sarebbe ancora assai lunga.
posso forse non citare i pain of salvation in un articolo di fine anno? no, soprattutto quando fanno un gran disco come ‘panther’, moderno, accattivante e ben riuscito, per quanto sia un disco solista di gildenlöw. così come non posso non parlare di ‘the all is one’ dei motorpsycho, un disco che non stupisce per innovazione ma centra in pieno una suite da 45 minuti che è un gioiello imperdibile.
ci sarebbe da parlare dei coriky, nei quali ian mackaye e joe lally creano la musica più vicina a dei nuovi fugazi che possiate volere oggi, dell’incredibile ‘calculus’ di (ma senza) john zorn in cui il piano trio dunn-wollesen-marsella è lanciato in due suite in cui composizione e improvvisazione si mischiano fino a confondersi; e del disco degli enslaved non se ne parla? perché ‘utgard’ è l’ennesima figata aggiunta all’estesa discografia dei norvegesi, un condensato delle loro facce che riesce ad evitare certe prolissità del passato.

bellissime sorprese come la furia rave-punk degli special interest e del loro ‘the passion of’, un disco creativo quanto rabbioso, o ‘balance of decay’ dei polacchi javva, un divertentissimo mischione di post-hardcore, world music e prog; invece ’lapse in passage’ dei mute duo è uno splendido album strumentale per chitarra e batteria in cui si dipingono scenari larghi e caldi che potrebbero venire dagli earth e anche questo è bene non mancarlo.
citazione dovuta anche per gli americani horse lords e il loro incredibile the common task, un disco in cui i continenti si mischiano, le accordature si fanno matematiche ma non si perde mai una musicalità e un trip profondi e coinvolgenti, tra kraut, math-rock e post-qualcosa.

c’è altro? ah sì, l’ennesimo (quarto) bel disco dei metz (‘atlas vending’), un po’ più obliquo del solito, c’è il ritorno a una parvenza di melodia negli autechre (‘sign’), c’è il bel disco elettronico strumentale dei subsonica (‘mentale strumentale’, e chi se lo aspettava, bastava togliere la voce!), c’è il tripudio di black music rappresentato da ‘black is’ dei sault e ‘heaven to a tortured mind’ di yves tumor.
potrei fermarmi qui ma so già che mi sentirei in colpa per non avervi consigliato lo strepitoso ‘snow catches on her eyelashes’, illuminato incontro di due musicisti specialisti dello spazio e del respiro musicale come jan bang ed eivind aarsset ma allo stesso tempo devo anche ricordare a tutti gli amanti dei più profondi e disperati abissi musicali l’uscita di ‘shame’ degli uniform (un blocco monocromo che vi schiaccerà la testa, in maniera un po’ più fisica del solito) e un’altra illustre collaborazione, in questo caso tra kristin hayter (lingua ignota), lee buford (the body) e dylan walker (full of hell), un mostro sonoro nero e appiccicoso a nome sightless pit che farà la vostra felicità. circa. e in quanto a marciume vi consiglio caldamente l’omonimo esordio dei duma, un duo del kenya dedito a un terrorismo sonoro fatto di cyber-grind, digital-core e urla death metal che vi lacererà la pelle.
volete più botte? ‘impenetrable cerebral fortress’ dei gulch è un quarto d’ora di hardcore/grindcore senza alcun compromesso o pietà.

non basta ancora? daje di ristampe. 
neil young ripesca dal passato ‘homegrown’, un flash di anni 70 a metà tra ‘harvest’ e ‘on the beach’. volete musica più suonata? vi consiglio il cofanetto di frank zappa ‘halloween 81’, tre concerti che si distinguono perché sono uno bellissimo, uno incredibile e uno fuori dal mondo. 
non può mancare una parentesi grateful dead, ’dave’s picks 34’ e ‘june 1976’ contengono momenti di dead trascendentali (la ‘dark star’>’spanish jam’ del dave ad esempio o il concerto di boston del 10 giugno dal cofanetto), così come non posso non invitarvi all’ascolto del mega-cofanetto ristampa di ‘sign o the times’ di prince: il materiale bonus è uno scrigno di tesori e stavolta pure il remaster è fatto molto molto bene.


capitolo iii: è andata così

ovviamente tanta roba vuol dire anche tante schifezze. ammetto però che quest’anno mi ci sono messo poco, la voglia di polemica era poca e la musica buona tanta. c’è almeno una delusione cocente con quell’impiastro informe e inutile di ‘buried cities’ dei katatonia, un disco che nei momenti migliori è solo sciapo, nei peggiori ridicolo. per altro gli svedesi hanno rincarato la dose con il mediocre e insipido live ‘dead air’, lasciamo perdere va.
delusione cocente anche dai fates warning che con il loro ‘long day good night’ pubblicano il peggior disco in una carriera di 36 anni, pur non essendo definibile una schifezza è un disco spompo e privo di motivi di interesse.
non è una merda ma neanche la figata che prometteva di essere la riesumazione del progetto blood from the soul da parte di shane embury, il quale si circonda di nomi altisonanti (jacob bannon, dirk verbeuren, jesper liveröd) per pubblicare un disco con buoni spunti che però non si concretizzano mai in grandi pezzi, restando un po’ in un limbo dimenticabile.

continuo a sorprendermi di come certa critica vada in brodo di giuggiole per una cover band come i fontaines d.c. che anche quest’anno non ci han fatto mancare il loro discutibile bigino di musica non solo vecchia ma anche fatta ben meglio da (molti) altri.
la chicca di fine anno è stato il medley natalizio dei dream theater che è assurto a opera d’arte totale e inarrivabile, non ho parole per descriverlo.


capitolo fine: fine.

apposta non ho voluto eleggere un vincitore in questo peculiare 2020: nonostante tutto, la musica ne esce vincitrice un po’ in tutti i generi, con conservatori e progressisti tutti uniti nel nome di un’ispirazione genuina che ci ha portato una marea di suoni fantastici. 
nel bene o nel male, è un anno di cui ci ricorderemo a lungo; quantomeno la colonna sonora è stata una bomba.



ps: blogger non mi fa incorporare la mia playlist col meglio del 2020 per cui vi beccate il link, dovrete fare la fatica immane di cliccarci sopra, mi spiace.


https://youtube.com/playlist?list=PLRxkRYHqZM_XxlnWmqqj9Nog4XjYQ18wi