domenica 2 febbraio 2020

rush, 'fly by night'



per molti versi ‘fly by night’ è il vero primo disco dei rush. senza nulla togliere alla beata ingenuità dell’esordio, su ‘fly by night’ arriva neil peart, arrivano i primi pezzi lunghi, il suono migliora e iniziano a sparire le influenze più palesi. inoltre è il primo disco in cui troviamo alla produzione terry ‘broon’ brown, che sarà compagno del gruppo fino a ‘signals’ nell’82.
se ‘best i can’ e ‘making memorires’ risentono ancora molto evidentemente dell’influenza dei led zeppelin, i due capolavori del disco (‘anthem’ e ‘by-tor’) presentano ai mondo i nuovi rush: ritmiche più complesse, repentini cambi di tempo, strutture articolate e la profondità culturale dei testi di peart, oltre al suo fenomenale e unico modo di suonare la batteria che da qui inizia una ricerca che lo porterà ad essere uno dei batteristi rock più imitati, copiati e adulati della storia, un vero e proprio drum hero.

proprio ‘anthem’ apre le danze con un riff in 7/8 che fa storia, seguito da una sfuriata hard che travolge e appassiona, su un testo di peart ispirato per la prima volta alle idee della scrittrice e filosofa ayn rand (in futuro questa ispirazione sarà fonte di critiche stupide e infondate, ci arriveremo con ‘2112’). 
‘best i can’ non è certo allo stesso livello ma ‘beneath, between & behind’ rialza l’asticella con un pezzo che è sì hard rock ma gioca con obbligati e stacchi, indurendo la struttura e dandogli un taglio hard prog che sarà la matrice per moltissimo materiale a venire.
‘by-tor and the snow dog’ è, semplicemente, il pezzo più bello di tutti i primi tre dischi del gruppo, un’epica storia ideata da peart prendendo ispirazione dai nomi di due cani del manager della anthem records. qui parliamo veramente di progressive: struttura in parti, testo concettuale, cambi di tempo, dinamica e atmosfera, oltre a un livello tecnico altissimo, i rush riescono in quello in cui gli stati uniti non sono mai riusciti: dare una risposta convincente da oltreoceano al progressive britannico combinando eccellenti idee melodiche con una struttura spezzata, tecnica cristallina e profondità culturale (quest’ultima sicuramente la più grave mancanza dei gruppi americani che si avvicinavano al prog). la vena psichedelica che anima la parte centrale tornerà a farsi sentire in futuri brani come ‘jacob’s ladder’ o ‘xanadu’.

la seconda facciata si apre con la title-track, un rock non particolarmente ficcante che mostra tutti i pregi e difetti di questo secondo lato: buone canzoni, nulla di indecente, ma tornano a galla gli zeppelin, il suono è meno personale e il finale, affidato alla laguida quanto interlocutoria ‘rivendell’ e alla non completamente a fuoco ‘in the end’, non è dei migliori che si ricordino.
poco male, è il secondo disco di una carriera quarantennale e riesce comunque ad infilare già almeno due capolavori e un paio di pezzoni. non manca molto all’esplosione di ‘2112’ ma, prima di quel miracolo, i rush devono ancora toccare il fondo.