domenica 16 febbraio 2020

rush, '2112'



i rush se la vedevano brutta tra il ’75 e il ’76. il tour di ‘caress of steel’ era andato molto male e i tre dovettero trovarsi lavori settimanali per pagare l’affitto (lifeson lavorava come benzinaio durante la settimana e suonava nei weekend). le vendite del disco non erano aumentate rispetto ai primi due album e la mercury era a un passo dallo scaricarli, così quando i rush presentarono un progetto che aveva come primo brano un’altra suite di 20 minuti nessuno la prese bene. anche cliff burnstein, strenuo difensore del trio, aveva qualche dubbio, soprattutto circa il porre la suite prima dei brani più brevi, ciononostante ai rush venne lasciata totale libertà artistica, questa volta anche sull’artwork.
la copertina è famosissima e presenta la stella rossa, simbolo della federazione che nel concept opprime gli uomini; all’interno però si trova un’immagine che diventerà iconica: l’uomo nudo, rimando all’arte classica e riferimento alla natura creativa libera da ogni restrizione, di fronte allla stella che sembra volerlo schiacciare, semplice ma forte e densa nel significato.

tutto questo si riferisce principalmente alla suite ‘2112’, un racconto scritto da peart ed ispirato ancora una volta da ayn rand (in particolare dal romanzo breve ‘anthem’), ringraziata anche nei crediti del disco. spendiamo due parole sulla questione ayn rand. il suo lavoro è spesso controverso, in quanto apertamente difensore dell’individualismo e radicato nella filosofia dell’oggettivismo; bisogna però tenere conto che rand negli anni 20 è scappata dal regime sovietico andando a vivere in america, quindi il suo punto di vista risulta assolutamente comprensibile, poi che la destra americana l’abbia interpretata a modo suo è tutta un’altra questione. l’aspetto su cui peart mette l’accento è proprio quello della libertà individuale, soprattutto quella creativa ed artistica, facendo un parallelo con la situazione che il gruppo stava vivendo. già qui risultano ridicole ed infondate le accuse di neo-fascismo fatte da qualche intelligentone nel tempo, se poi ricordiamo che geddy lee è figlio di sopravvissuti di auschwitz… direi che la questione è tranquillamente chiusa ed archiviata.
musicalmente, i rush fanno un salto in avanti che ha del miracoloso. tutta la suite risulta perfettamente a fuoco, segue passo per passo la storia sottolineando il carattere dei personaggi e la trama in maniera molto più diretta, semplice ed efficace, lasciandosi alle spalle le ingenuità e l'artificialità di ‘the fountain of lamneth’. qualunque fan dei rush riconoscerebbe l’inizio di ‘2112’ sentendone meno di 3 secondi, il synth acutissimo (suonato da hugh syme) che introduce la suite è diventato uno dei momenti più famosi del gruppo, tanto quanto l’inizio di ‘tom sawyer’ o ‘the spirit of radio’. la sequenza di obbligati che segue è altrettanto iconica e conduce in un’overture strumentale che influenzerà intere generazioni di musicisti, un susseguirsi di temi congegnato ed eseguito con una maestria assoluta. quando i preti del tempio di syrinx aggrediscono con la voce strillata di geddy la storia inizia a svolgersi e si viene teletrasportati in un futuro distopico in cui gli individui non hanno rilevanza e tutto è controllato dalla federazione.
la batteria di peart è pirotecnica, le sue ritmiche sono architetture studiate in ogni dettaglio e suonate con una fluidità imbarazzante, le chitarre da sole riempiono tutto quello spazio che normalmente nel progressive è occupato anche dalle tastiere mentre il basso spinge, contrappunta e solidifica ogni parte, un lavoro strumentale pazzesco.
è un’opera da godersi centinaia di volte, svelandone i segreti musicali ed interpretando la storia secondo il proprio punto di vista, doti che la rendono senza dubbio uno dei vertici della produzione dei rush e del progressive tutto.

la seconda facciata del disco non è al livello della prima ma fa comunque enormi progressi rispetto ai brani minori dei dischi precedenti. troviamo infatti l’ottimo hard-prog di ‘something for nothing’ e quello dai profumi orientali di ‘a passage to bangkok’, pezzi scritti benissimo che dal vivo renderanno ancora di più. convincono meno ‘the twilight zone’ (ispirata dall'omonima serie), ‘lessons’ (scritta dal solo lifeson), ’tears’ (scritta da geddy), episodi minori di un disco comunque fondamentale nella carriera del gruppo e nella collezione di qualunque appassionato di progressive.
invece che scalare le pareti per uscire dal baratro, i rush hanno costruito un’astronave e sono volati direttamente nello spazio, lasciandosi indietro tutti. da qui in avanti non sbaglieranno praticamente mai più.