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giovedì 11 luglio 2019

2019: classifica di metà anno


rapido riassunto delle figate a metà anno in ordine crescenzo. pettoruto. (cit. per i più colti fra voi)
si attende con ansia il nuovo tropical fuck storm e in realtà poco altro che io sappia, a meno di altre sorprese che si spera piovano come i meteoriti in armageddon. del resto pare che l’anno prossimo arrivi un nuovo mars volta per cui il primo posto del 2020 probabilmente è già prenotato, vediamo di divertirci intanto che possiamo.

5. santana, ‘africa speaks’
più lo ascolto più mi diverto, il baffetto messicano rialza la testa e tira fuori il suo miglior disco da anni e anni e anni. e anni. mamma africa gli dona nuova vita e fa vibrare tutti i pezzi del disco, finalmente suonati da una band e non da un gruppo di turnisti.

4.claypool lennon delirium, ‘south of reality’
la coppia più improbabile di sempre migliora il tiro e regala un’oretta scarsa di spettacolare rock/prog/psych/pop/jazz e quant’altro. ci sono i primus, ci sono i beatles, ci sono i pink floyd, i king crimson, un sacco di basso bellissimo e tutto quello che volete, belli e bravi. straconsigliati i live su youtube.

3.sunn o))), ‘life metal'
l’ho detto che non ci speravo, e invece stronzo io. loro fanno rumore come sempre ma un po’ meglio, gli ospiti gli girano attorno e steve albini fa la sua cazzo di magia che sa solo lui come e quindi suona tutto da paura, se alzate un po’ il volume tremano i muri.

2.full of hell, ‘weeping choir’
loro non hanno praticamente mai sbagliato e ogni volta continuano a superarsi. ‘weeping choir’ è un concentrato di schifume, orridezza, merdazza e tutto il rock più estremo e oltranzista che possiate immaginare, tutto frullato direttamente nelle vostre orecchie. eroi.

1.black midi, ‘schlagenheim’
quattro ragazzini inglesi saltano fuori e spazzano via la concorrenza con un disco fantastico e (quasi) inattaccabile che mette insieme math, prog, decostruzione da primi ’90 con uno spirito indie che permea i suoni delle canzoni. i margini di miglioramento promettono cose bellissime in futuro, staremo a vedere.

venerdì 28 giugno 2019

black midi, 'schlagenheim'


i black midi per me arrivano dal nulla, se ne escono come se niente fosse con quello che al momento è il più bel disco di questo 2019. sono in quattro, sono inglesi, hanno vent'anni e hanno un suono che vi aprirà la faccia.

è una sorta di indie-prog, prende gli incastri e i cambi repentini del prog e del math rock e li immerge in un suono indie inglese asciutto e live, cambiano umore continuamente tenendo come linea continua la voce sbiellata di geordie greep, uno che è squinternato come david yow ma ha un timbro da peter hammill e ogni tanto sbrocca in cascate di parole che ricordano parecchio david thomas. e suona pure la chitarra.
la batteria di morgan simpson è ipercinetica e dinamica, non lascia un secondo di tregua, l’attacco ritmico è impressionante così come la sincronia perfetta col basso di cameron picton, legato quasi telepaticamente alle pelli. il chitarrista si chiama matt kwasniewski-kelvin e si lancia in bordate di suono epiche e gigantesche (con buon uso di effettistica ma non eccessiva) per poi abbatterle subito e tornare a secchissimi riff dispari che si dislocano sulla ritmica creando texture cangianti in continua mutazione.
nonostante i continui cambi di umore, è musica assolutamente rock, in tutto e per tutto: le influenze esterne sono talmente incastonate nel suono da non essere realmente rintracciabili, a modo suo ‘schlagenheim’ è una perla di purezza rock, per quanto preso a martellate.
in ‘near dt, mi’ potreste sentire eco di drive like jehu e fugazi, gli arpeggi iniziali di ‘western’, apice del disco, hanno un retrogusto di slint ma la ripartenza è puro math alla three trapped tigers e quando poi si apre, sarà la voce, sarà ‘sto buco d’aazoto, potrebbe apparire il fantasma dei talk talk; ‘of schlagenheim’ introduce passaggi jazzati apertissimi da cui escono con una ripresa alla mars volta e urla da mike patton, il delirio finale di ‘ducter’ è liberatorio e conclude un disco dalla creatività esplosiva ma anche sorprendentemente controllata, considerando l’età media del gruppo.
si rifugge la forma canzone in ogni modo, si fa a pezzi il rock come succedeva nei primi ’90 ma qui il risultato è legato ai suoni dei 2000, la produzione non è mai eccessiva, il mix impastato ma nitido al punto giusto, il master ottimo.

non pensate di ascoltarlo per rilassarvi, è musica che sta addosso, ansiogena e scura ma anche profonda e ben congegnata, oltre che suonata egregiamente; sì insomma, vi darà delle soddisfazioni ma magari dovrete sbatterci un po’ la faccia.
più o meno come i tropical fuck storm l’anno scorso, questi quattro arrivano e si impongono artisticamente sulla concorrenza con una miscela originale e abbastanza unica, una personale declinazione di un suono complesso da creare e ancor più da gestire ma i black midi riescono nell’intento e si lasciano pure ampi margini di miglioramento, se tutto va bene ne vedremo ancora di belle da questi qui.