venerdì 24 marzo 2023

fever ray, 'radical romantics'

 

avevamo lasciato karin dreijer nel 2017, dopo il bel ‘plunge’ e relativo tour con tanto di ottimo ‘live at troxy’ annesso. poi il covid, i lockdown, eccetera eccetera, non stiamo più a ripeterlo. quello che sembra sia successo in più a karin è una serie di ragionamenti su cosa sia un rapporto di coppia nei nuovi anni 20, cosa significhino il romanticismo e l’amore oggi.

questi pensieri stanno alla base di ‘radical romantics’, un disco che ogni fan del progetto fever ray amerà al primo ascolto per vari motivi.


primo motivo di entusiasmo è la presenza nei primi quattro brani di olof, fratello di karin e suo unico collega negli eccezionali the knife, uno dei migliori progetti elettronici degli ultimi 20 anni, sparito dalle scene nel 2013 dopo l’incredibile ‘shaking the habitual’. questi quattro pezzi suonano esattamente come li vorreste, coi suoni storti e dal carattere tribale a cui i fratelli dreijer ci hanno abituato ma con una spiccata sensibilità pop che riporta forse più a ‘deep cuts’ che non agli album successivi.

gli spazi e la tensione di ‘what they call us’, i profumi mistici speziati di peter gabriel di ‘shiver’, la percussività aggressiva (molto ‘plunge’) di ‘new utensils’ e le delizie melodico-paranoiche di ‘kandy’, una gemma pop punteggiata da un ewi deliziosamente appoggiato sul tempo, è come assistere a un’evoluzione/maturazione di tutto il passato di dreijer combinato in modi se non nuovi di certo ancora eccitanti e frizzanti.


altro motivo di festa è la collaborazione con un titano come trent reznor (e atticus ross) in ‘even it out’ e ‘north’, due pezzi per certi versi opposti ma accomunati dal gusto reznoriano (e atticus ross) per le distorsioni sottopelle e le ritmiche ossessive. nel primo pezzo dreijer minaccia di fare a pezzi un ragazzino per aver bullizzato suo figlio alle superiori, il tutto su una base urticante e martellante mentre ‘north’ è una dichiarazione d’amore su un tappeto ambientale che riporta la mente ai fasti di ‘the fragile’ e capolavori di reznor (ma non atticus ross) come ‘the great below’.

già che si parla di tappeti ambientali, coraggiosa la scelta di chiudere l’album con ‘bottom of the ocean’, sette minuti di soundscapes e vocalizzi ipnotici trasportati tra i flutti dal delay, un brano più sperimentale che rimanda tanto a ‘shaking the habitual’ quanto, curiosamente, a ‘i’d swear there was somebody here’ di david crosby.

per tutto l’album la vocalità di karin è molto naturale e fa un uso decisamente ridotto di effetti rispetto al passato, sottolineando il carattere profondamente umano dei testi: troverete poche deformazioni mostruose come in ‘silent shout’, ‘if i had a heart’ o ‘one hit’ ma potrete apprezzare ancora di più il carattere unico della voce dell’artista svedese.


restano episodi minori? no. cioè, restano episodi ma qui di minore c’è ben poco e questo è un altro dei motivi di entusiasmo. forse giusto ‘looking for a ghost’, più interessante da un punto di vista lirico che non musicale, perché ‘carbon dioxide’ (in collaborazione con vessel) è una bomba electro-techno-pop con melodie irresistibili mentre ‘tapping fingers’ coccola con un’oscurità metropolitana che riporta all’insuperabile esordio solista ‘fever ray’.


album denso, intenso e sincero, ‘radical romantics’ si pone all’istante molto in alto nel catalogo fever ray (e fa rinascere le speranze per una tanto desiderata reunion dei the knife), centrando una serie di canzoni che non conoscono momenti di stanca e mostrano karin dreijer nella sua maturità ma senza alcuna stanchezza, con ancora voglia di giocare coi suoni e marchiare tutto con la sua voce inimitabile.