mercoledì 29 marzo 2023

enslaved, 'heimdal'

 

la discografia degli enslaved assomiglia sempre più a una vera e propria saga vichinga, ogni fan preferisce una divinità o un’altra ma di fatto i loro sedici album non conoscono realmente punti deboli, ognuno col suo specifico carattere è un capitolo di una lunga saga di cui speriamo di non vedere mai la fine.

già, perché per quanto qualcuno li accusi (ingiustamente) di aver perso smalto negli ultimi 10-15 anni, ‘heimdal’ è un altro disco fantastico, anche superiore al suo già ottimo predecessore ‘utgard’.


come sempre con i norvegesi, non assistiamo a uno sconvolgimento di rotta quanto più all’inserimento di nuovi elementi che portano una prospettiva lievemente diversa su un suono collaudato e unico. pochi elementi alla volta, sì, ma vedere tutta la strada che il gruppo ha fatto anche solo da ‘isa’, per non parlare dei primi album, è davvero impressionante.

oggi gli enslaved sono un gruppo professionale di musicisti di livello, grazie anche all’ingresso nel 2018 di iver sandøy, contemporaneamente il miglior batterista e cantante (clean) che la band abbia mai avuto nonché fonico e tastierista aggiuntivo, un jolly non da poco che in ‘heimdal’ ha un ruolo fondamentale, soprattutto per le sue doti vocali che lo rendono il perfetto contraltare del ringhio aspro di grutle kjellson.


non parliamo di un capolavoro, capiamoci, ci sono momenti che non convincono al 100%, come ad esempio ‘behind the mirror’ in apertura: i suoi arrangiamenti sfrenati e pomposi suonano più come una conclusione che un inizio e la struttura è poco efficace e meccanica. poco male, visto che subito dopo ‘congelia’ spazza via tutto, rivelandosi man mano come uno dei momenti più alti del disco. la sua furia black è inesauribile per tutti gli otto minuti di durata, il gioco di chitarre è una goduria, solcato dai synth e trainato da una batteria indomabile; l’apertura melodica nel finale vi innalzerà dritti fino al valhalla.

‘forest dweller’ vive di bei contrasti elettroacustici in un modo che può ricordare sia i green carnation che gli opeth (con tanto di mellotron e uno sbrocco di hammond) ma che è inequivocabilmente enslaved, specialmente nel riffing delle chitarre; ‘kingdom’ gioca con synth come si faceva su ‘utgard’ ma riesce ad integrarli molto meglio, facendoli interagire ritmicamente con le chitarre e dando al pezzo un carattere molto specifico. interessante anche ‘the eternal sea’, specialmente nell’introduzione spaziale e liquida, per quanto comunque la voce di sandøy si faccia poi protagonista di alcune linee melodiche davvero notevoli e la chitarra di bjørnson (come sempre autore di tutta la musica e dei testi) non manchi mai di infilare riff da scapoccio duro, più o meno come tutti i riff che animano la seguente ‘caravans to the outer worlds’, un altro dei picchi di ‘heimdal’. questo pezzo forse è il migliore nel riassumere il carattere del disco intero: un’introduzione effettistica lascia presto spazio a chitarre torrenziali che passano dal riffing serrato delle strofe, rafforzato da un hammond distorto, ad arpeggi aperti su cui si stagliano la voce e il blast beat di sandøy, il tutto unito da transizioni che tanto sanno di progressive prima di lasciare che il pezzo si spenga nello spazio da cui è nato, ricordando da vicino alcuni momenti dell’indimenticabile ‘vertebrae’ (un disco criminalmente sottovalutato).

si chiude col brano che dà il titolo all’album. all’inizio ‘heimdal’ sembra indecisa se suonare doom o king crimson e il risultato non è affatto sgradevole, grazie anche all’ottimo lavoro di synth di håkon vinje; poi tutto collassa e in generale il pezzo affronta problemi simili a ‘behind the mirror’, con una struttura che sembra più messa insieme che non scritta con intenzione: per quanto ogni singola parte sia bella non si avverte un reale flusso e ‘heimdal’ finisce col suonare un po’ troppo meccanica e anticlimatica, con un finale che si spegne nel nulla senza particolari sbalzi.


la matrice black metal del gruppo non era così evidente da ‘in times’, così come la coesione dell’album: sia ‘e’ che ‘utgard’ erano dischi molto più dinamici mentre ‘heimdal’ torna più saldamente al metal e i suoi brani si muovono in modi abbastanza simili.

i momenti entusiasmanti non mancano e quelli a vuoto non sono nulla di grave, ancora una volta gli enslaved aggiungono un capitolo alla loro saga, qualcuno lo amerà e qualcuno lo odierà ma la qualità della proposta dei norvegesi rimane sempre altissima.

viva heimdal, viva odino, viva gli enslaved.