giovedì 8 ottobre 2020

prince, 'dirty mind'


dopo l’esordio ‘for you’ e il seguito ‘prince’, rispettivamente ’78 e ’79, l’8 ottobre del 1980 prince pubblica ‘dirty mind’, il suo primo capolavoro, il disco che ha presentato al mondo un individuo talmente ossessionato dal sesso da essere fuori controllo, in una mossa d’immagine rivoluzionaria: basterebbe la copertina, con il nostro in perizoma sotto a un impermeabile, proprio come farebbe il più preparato dei maniaci. basterebbe, sì, ma poi ci sono i testi, con calma ci arriviamo.


‘for you’ non ebbe il sostegno di un tour ma dopo il disco del ’79 prince si ritrovò di fatto una sua band vera e propria con cui fece una serie di date tra novembre e dicembre del ’79: matt ‘dr.’ fink e gayle chapman alle tastiere, dez dickerson alla chitarra, bobby z alla batteria e andré cymone al basso, oltre al nostro ovviamente alla voce e chitarra. vista l’ottima riuscita di queste date, tra febbraio e maggio del 1980 la band venne invitata come opening act per il tour di rick james, l’unica volta in cui prince ha fatto da spalla a qualcuno. queste date da una parte solidificarono il nucleo della band, dall’altra misero in chiaro cosa ancora non andava alla perfezione e così, durante l’estate, gayle chapman lasciò per fare posto alla nuova arrivata lisa coleman, una musicista senza la quale molto di quello che seguì probabilmente sarebbe andato diversamente. interessante e curioso che prince abbia scelto di mettere nel disco una foto della band, nonostante l’album sia interamente suonato da lui solo, a parte un paio di parti di synth suonate dal dottore.


proprio durante i soundcheck di questi concerti prince nota una linea di synth che fink suona in una jam e gli chiede di ricordarsela; sarà la base per il pezzo ‘dirty mind’, per il quale fink prende un credito (insieme a ‘head’). 

‘dirty mind’ è un disco ruvido, tagliente, maleducato, pervertito e metropolitano. è un album dominato dai synth che però non potrebbe vivere senza chitarra (anche se si nota di più l’incredibile prestazione del nano al basso). è il funk più sudato, zozzo e arrapato che viene deformato e ricoperto di suoni digitali dall’oberheim, il synth di cui prince era innamorato in quel momento. in pratica è la base per il percorso che la black music avrebbe intrapreso nei 30 anni successivi.

“in my daddy’s car/it’s really you i wanna drive” è una delle prime frasi che sentirete, in un pezzo che è una confessione di come la mente del protagonista non riesca a pensare a nient’altro che al dolce su e giù. vi sembra un po’ sopra le righe? non so allora cosa direte di ‘do it all night’ o di ‘head’, in cui si parla di una sposina che viene distratta dal nostro per un lavoretto di bocca poco prima di andare all’altare. ovviamente però la palma di pezzo più disturbante va direttamente a ‘sister’, nella quale viene raccontato uno svezzamento sessuale da parte di una sorella maggiore al ritmo vertiginoso di un furioso rock.

molti ci sono cascati, pensando che i testi fossero autobiografici e raccontassero di chi davvero fosse prince. stronzate, ovviamente, l’intelligenza del signor nelson l’aveva portato a costruire un personaggio pubblico di quel tipo perché in quel momento era più interessato a shockare e disturbare l’america perbenista che non a spiegarsi o a raccontarsi. del resto, quando mai lo è stato.


e quindi poi ci sono le canzoni. le staffilate digitali di ‘dirty mind’ o ‘head’, quest’ultima con un assolo di synth epocale ad opera del dottor fink, entrambe con un groove martellante che sta a metà tra l’alienazione metropolitana e il party sfrenato. allo stesso modo ‘uptown’ vi farà muovere il culo come mai, mettendo fra i versi anche il primo accenno esplicito all’ambiguità sessuale del personaggio (“baby didn’t say too much/she said, “are you gay?”/kinda took me by surprise, didn’t know what to do/i just looked her in the eyes and said “no, are you?”). che dire poi di ‘when you were mine’, uno dei singoli più famosi e longevi nelle scalette di prince, un boogie appiccicoso e trascinante che non si toglierà più dal vostro cervello. interessantissima anche ‘gotta broken heart again’, una ballata in 12/8 con un profilo melodico che prelude a molte ballate future, oltre ad avere alcuni dei migliori momenti di chitarra del disco insieme ad ‘uptown’.

la voce è ancora completamente in falsetto, a parte poche sporadiche frasi. se questo vi fa pensare ai dolci falsetti della musica nera vocale… nope. il falsetto di prince è ambiguo, fisico, spesso sforzato, sporcato, urlato nel modo in cui solo lui sapeva fare. ma tutta questa ambiguità e perversione ha un risultato strano: ‘dirty mind’ non è un disco pervertito quanto un disco da festa orgiastica, un preambolo alle celebrazioni di ‘1999’. nei testi non c’è dolore quanto una piena accettazione di questa via di vita alternativa e dominata dal sesso e dalla fisicità: ‘dirty mind’ è un album positivo, da qualsiasi punto di vista lo si guardi, non c’è la violenza scabrosa di molto rap che seguirà né il machismo che lo ha preceduto (james brown, little richard, due fari eterni per prince).


al disco seguì il primo vero tour della band, ancora senza nome: tra dicembre e aprile il ’dirty mind tour’ porterà in giro per l’america le visioni perverse della mente di prince, facendosi notare a destra e a manca dal pubblico e da una manciata di personaggi illustri. tra questi vi fu mick jagger, che il 22 marzo dell’81 era tra il pubblico al ritz di new york e fu rapito dalla musica e dal personaggio di prince, al punto da invitarlo ad aprire le date dei rolling stones il 9 e 11 ottobre al memorial coliseum di los angeles. 

dopo un cambio di formazione che vide l’uscita di cymone dal gruppo e l’arrivo di brown mark al basso, i nostri si presentarono sul palco per fronteggiare i fan degli stones, radicali, chiusi e intransigenti. ignoranti. cercarono un compromesso? manco per il cazzo, prince salì sul palco in perizoma e la vista di questo nanetto scuro vestito come un maniaco sessuale scatenò un inferno con lanci di bottiglie e quant’altro sul palco, oltre a urla razziste e sessiste. prince lasciò il palco a metà del primo pezzo, la band lo finì senza di lui per poi dileguarsi dietro le quinte. pare che prince non avesse alcuna intenzione di tornare sul palco due giorni dopo ma fu convinto da dez dickerson. andò ancora peggio: i buzzurri nel pubblico non aspettavano altro e si erano portati apposta scarpe, frutta e verdura marcia e molto altro per massacrare prince e la band che però questa volta restò per suonare un breve set. l’esperienza fu così traumatica che da allora prince non ha mai più aperto concerti per nessuno, salvo sporadiche eccezioni quando ormai la sua fama lo riparava.


‘dirty mind’ quindi è stato un punto cruciale nella carriera di prince da vari punti di vista, musicale, lirico, estetico ed anche per i live. quello che si porta a casa oggi sono 31 minuti di musica irresistibile che entra nelle vene e non fa stare fermi, ciò che rappresentò all’epoca fu una nuova via alla black music, nonché la nascita di un personaggio pubblico che con la sua totale emancipazione sessuale avrebbe rivoluzionato lo stardom negli anni ’80, alla faccia dei fan dei rolling stones.