venerdì 2 ottobre 2020

grip inc., 'incorporated'

 


l’ultimo disco in studio dei grip inc. esce nel 2004, un anno decisamente ricco di uscite interessanti (‘the eye of every storm’, ‘leviathan’, ‘demigod’, ‘reise, reise’, ‘isa’… ce n’era di roba). forse per questo la sua uscita passò un po’ in sordina o forse perché i grip inc. se li cagavano in pochi, vallo a sapere, sta di fatto che il disco, come tutti i suoi predecessori, avrebbe meritato ben altra attenzione. 

nonostante infatti ‘incorporated’ non sia al livello di ‘solidify’ o ‘nemesis’ per qualità media, è il disco più dinamico, versatile e particolare del gruppo, che arriva ad usare un quartetto di archi in alcuni dei pezzi migliori.

gli arrangiamenti si fanno ancora più fantasiosi, i synth compaiono più spesso anche se mai in primo piano, chambers canta molto di più che in passato anche se non mancano le sua classiche urla rauche, lombardo fa letteralmente di tutto per tutta la durata dell’album, recuperando abbondantemente la doppia cassa a mille che era stata messa un po’ in disparte su ‘solidify’.

di certo è il disco dei grip inc. in cui la composizione ha avuto un ruolo più centrale, la strutturazione dei brani è sempre attenta e ben articolata e ogni pezzo ha delle peculiarità che lo rendono riconoscibile fin dai primi ascolti. 


detta così pare tutto una figata, vero? non è proprio così purtroppo. nonostante l’attenzione di cui dicevo, non tutti i pezzi riescono a coinvolgere davvero e alcuni girano un po’ a vuoto: ‘the gift’, ‘endowment of apathy’, ‘prophecy’ (che comunque ha un gran ritornello), ‘blood of the saints’ o il singolo ‘the answer’, non sono brutte canzoni ma non aggiungono nulla a quello che già sappiamo e amiamo del gruppo, restando in un limbo generico che abbassa la media dell’album nonostante le perle.

ecco, parliamo dei pezzoni invece. non dovrete aspettare molto per sentire il primo: ‘curse of the cloth’ vi salterà alla faccia al primo secondo del disco con una ferocia che lascia il posto a un riff lento e pesantissimo prima di partire per una cavalcata alla velocità della luce, un instant classic per il gruppo che si mostra da subito a denti digrignati. in maniera simile ‘skin trade’ recupera l’influenza di araya e soci ma la rende quadrata, spigolosa, quasi clinica verrebbe da dire, al contrario di ‘built to resist’ che mostra il lato più melodico e teatrale dei grip inc., usando un quartetto d’archi per arricchire l’arrangiamento e ammorbidendo le linee di chambers con armonie e controcanti; stupende le chitarre paranoiche che si agitano sullo sfondo, ricordando quasi ‘the fragile’ dei nine inch nails. 

se si parla di scelte di arrangiamento però bisogna assolutamente citare ‘enemy mind’ che gioca con chitarre acustiche spagnoleggianti e soprattutto ‘privilege’, forse il capolavoro del disco, un brano intenso e drammatico in cui gli archi accomodano la furia del gruppo in un continuo turbine di suoni violenti ma avvolgenti, un pezzo magistrale. notevole anche la chiusura con ‘the man with no insides’ che alterna momenti di pesantezza monolitica, bizzarri suoni e un bel ritornello, mostrando ancora una volta la grande fantasia compositiva di waldemar sorychta.


‘incorporated’ lascia un pochino di amaro in bocca, soprattutto per la seguente e prematura scomparsa di chambers e conseguente scioglimento del progetto che non ha mai potuto approfondire le molte idee messe in campo in questo disco. ciononostante rimane un lampante esempio della capacità dei grip inc. di piegare la materia metallica ai propri voleri, generando un suono unico e ricco di sfaccettature che nei suoi momenti migliori rapisce e affascina.