domenica 10 marzo 2019

kula shaker, 'k'


i kula shaker non si sono mai inventati nulla. ma proprio niente di niente eh, intendiamoci fin da subito: hanno fatto una cosa bellissima con un suono vecchio di quasi 30 anni (allora) ma l’hanno fatta da paura. come? scrivendo delle canzoni che riuscivano a trasportare perfettamente il feeling del rock di fine ’60/inizio ’70 nel suono degli anni ’90. li hanno inseriti frettolosamente nel calderone brit-pop ma loro con oasis, verve e blur non c’entravano più di tanto. sì certo, la venerazione per i sixties, l’india e tutto il resto ma nel suono dei kula shaker non troverete mai l’uggiosa malinconia degli altri citati, piuttosto un’esplosione di vitalità vorticosa e dai mille colori che riporta la mente a certi grateful dead più che ai beatles.

sono un gruppo solare che anche quando esprime disagio lo fa col sorriso stampato, ironico o meno poco importa, l’effetto è comunque dirompente. buona parte del merito per tutto questo va ovviamente a crispian mills, compositore, chitarrista e cantante e ad oggi unico membro rimasto della formazione che registrò ‘k’ nel ’96. sua è la fissazione con le discipline orientali che lo porta a scrivere la canzone che li fece esplodere nel mondo, ‘govinda’, primo brano cantato interamente in sanscrito ad andare in cima alle classifiche inglesi (non credo che ce ne siano stati altri dopo). è una canzone calda ed avvolgente che mischia psichedelia liquida e fortissime inflitrazioni di musica indiana, nel testo come nelle melodie e nella strumentazione, suona assolutamente anni ’90 ma sembra provenire da un’altra epoca, così come la sua controparte ‘tattva’, altro singolo di enorme successo ed altra canzone incredibile che sparge fiori attorno a un testo deliziosamente naif, altro elemento molto ’60.
poi ci sono i pezzi rocchenrol, quelli con la carica animale che si trascina via tutto, ‘hey dude’, ‘smart dogs’ o ‘303’, tutte scariche elettriche che discendono da hendrix, lo passano nel miele e lo rosolano a suon di anni ’90, ci sono brani più elaborati e drammatici come la bellissima ‘temple of everlasting light’ o la lunga conclusione con ‘hollow men’, in mezzo c’è la strepitosa ‘grateful when you’re dead/jerry was there’, esplicito tributo alla storia della musica che si concretizza in due minuti e mezzo al fulmicotone con tanto di coretti ‘pappappaaaaaa’ e in una coda semi-strumentale psichedelica che dal vivo viene trascinata in un crescendo fantastico.

proveranno a ripetersi con ‘peasants, pigs and astronauts’ ma in parte falliranno, nonostante un paio di vertici a livello di questo disco (‘great hosannah’ e ‘mystical machine gun’, due pezzi per cui uccidere), poi si perderanno, si scioglieranno, reunion, nuovi dischi e addirittura ‘k 2.0’, tentativo riuscito solo in parte di recuperare la freschezza di questo esordio fulminante che resta impresso nella memoria di chiunque sia cresciuto negli anni ’90 (anche qui a scapito di un paio di episodi imperdibili come ‘infinite sun’ e ‘mountain lifter’).

recuperate ‘k’, recuperate i kula shaker, anche il best of ‘kollected’ va bene, metteteli in macchina, alzate il volume e lasciatevi portare via da una nuova summer of love, finta ok, d’imitazione e magari un po’ posticcia ma cazzo quanto funziona bene. ah e se dovessero passare dal vivo non perdeteveli per nessun motivo.