mercoledì 13 novembre 2019

subterranean masquerade, 'suspended animation dreams'


son passati 14 anni dall’uscita di ‘suspended animation dreams’, è passata un sacco di acqua sotto ai ponti. nel frattempo i subterranean masquerade di tomer pink sono spariti per dieci anni, si sono sciolti, si sono riformati con una formazione sconvolta, poi hanno cambiato ancora qualcuno e intanto hanno fatto un altro paio di dischi, purtroppo piuttosto trascurabili, al contrario di questo gioiello del 2005.

se dovessi indicare una manciata di dischi prog post-2000 che valga veramente la pena sentire, di mezzo ci sarebbero sicuramente ‘the perfect element’ dei pain of salvation, ’de-loused in the comatorium’ dei mars volta, ‘part the second’ dei maudlin of the well, ‘disconnected’ dei fates warning e ‘suspended animation dreams’. 
i perché sono molteplici, quello principale è che tomer pink (unico autore delle musiche) con i mezzi del prog riesce a costruire canzoni e non esercizi o catene di parti incollate; c’è poi la goduriosa varietà negli arrangiamenti, che coinvolgono oltre ai classici strumenti rock anche archi, fiati, percussioni di vario tipo e strumenti a corda esotici; non ultimo c’è anche il meraviglioso artwork di travis smith (che poi è il motivo per cui ascoltai il disco a scatola chiusa).
nonostante il disco faccia largo uso di elementi metal (chitarroni, growl, doppia cassa), non suona assolutamente come le produzioni di genere di quel periodo, ben lontano da ipercompressioni, trigger plasticosi o tamarrate assortite, preferendo un profilo più rock e dimesso anche nei momenti più aggressivi.

‘suspended animation dreams’ è perfettamente strutturato e rapisce con la sua narrativa, gioca con le dinamiche e soprattutto con le stratificazioni sonore, purtroppo, è da dire, non aiutato in questo da un mix un pelo sgonfio che lascia un po’ poco spazio alle chitarre e tende ad appiattire le esplosioni. considerando però che il mix è ad opera di neil kernon (queensryche, judas priest, brand x, yes, peter gabriel, nevermore, nile, cannibal corpse… più gli altri) viene più da pensare che ad essere carenti fossero le take e si sia dovuto intervenire per migliorarle, oppure semplicemente si è cercato un suono più rock e meno metal che potrebbe stare nell’estetica del disco; purtroppo però questo penalizza un po’ le parti più pesanti anche se non gravemente.
‘no place like home’ è un labirinto sonoro che però non ha nulla della frenesia tipica di altre band (mars volta ad esempio), si snoda lungo una struttura articolata che ora profuma di black, ora di pop, ora di spezie mediorientali; ‘the rock n roll preacher’ riesce a coniugare growl death metal e arrangiamenti di fiati r’n’b (uno dei momenti più entusiasmanti dell’album) partendo da un riff secco e maligno e passando per una parte centrale larga e ariosa guidata dal piano e pure un’apertura psichedelica dilatata. c’è l’influenza degli opeth, inutile negarlo, ma è filtrata da mille altri colori, sembra quasi di assistere alla versione compiuta di quello che akerfeldt ha cercato di fare coi pessimi ‘sorceress’ o ‘in cauda venenum’, un mix di anni ’70 e metal estremo che qui però ha una precisa forma ed è messo al servizio di una scrittura genuinamente ispirata.
‘awake’ è il pezzone, 14 minuti abbondanti con un crescendo in 6/8 da brividi che apre in uno svacco semi-etnico ipnotico e straniante; il finale si concede a una furia emotiva che si porta via tutto, prima del bellissimo epilogo ‘x’, affidato alla calda voce di wendy jernijan.

una critica che si può fare è sulle linee melodiche, non sempre perfette e un pelo ripetitive: se da un lato questo aiuta la coesione, dall’altro ogni tanto fa desiderare un profilo melodico più ricco e colorato. in ogni caso l’interpretazione di paul kuhr (november’s doom) è ottima, sia in pulito con un tono baritonale pieno e profondo che in growl.

interessante notare come il gruppo non utilizzi troppi cambi di tempo, tempi dispari, obbligati o assoli, tutti classici strumenti del progressive; non che non ce ne siano, le composizioni però sono più focalizzate su un continuo movimento strutturale, il che sulla lunghezza del disco aiuta l’ascolto rendendo la musica più fluida e narrativa.

non è un disco perfetto, nessuno però può negare che sia anche un disco originale, ispirato, profondo e molto soddisfacente all’ascolto, mai troppo ostico ma nemmeno troppo pop, ruffiano al punto giusto. se tutto il progressive sapesse essere così poco autoindulgente saremmo sommersi di disconi. così non è e ‘suspended animation dreams’ resta una bellissima isola nell’oceano.