lunedì 2 settembre 2019

il fondo del barile #2: tool, 'fear inoculum'



il primo disco dei led zeppelin è stato registrato in un totale di 36 ore, sparse su due settimane. ’sgt pepper’ è stato scritto e registrato in 5 mesi. esagero, trent reznor ci ha messo 3 anni per scrivere e registrare ’the fragile’. tra ’songs of faith and devotion’ e ‘ultra’ sono passati 5 anni. giusto un paio di esempi che mi passano per la testa.

i tool nel 2006 hanno pubblicato ‘10000 days’, un album discutibile (diplomazia, portami via) in cui riciclavano le idee precedenti e allungavano il brodo con intermezzi e suoni vari. 13 anni dopo si ripresentano sul mercato con ‘fear inoculum’.
parto da un presupposto: non sono mai stato fan dei tool, li ho sempre trovati un buon gruppo ma senza senso della misura, spesso prolissi e ridondanti, anche nei dischi che mi piacciono; se fossi un fan dei tool mi sentirei personalmente preso per il culo da questo aborto. se siete di quelli che li difendono a spada tratta, PER FAVORE fermatevi qui.

la cosa che più mi ha urtato in generale è il fatto che dopo 13 anni di lavorazione questo disco suoni incompleto, sottoarrangiato (si dice? forse me lo sono inventato) e completamente vuoto di contenuti.
keenan “sceglie di cantare poco" ma l’effetto è che per metà del tempo vorreste la sua voce a completare le parti e invece non c’è e il tutto suona come un demo strumentale. non solo, quando canta per buona parte del tempo sembra svogliato, pare che passasse di lì per caso e abbia sbadigliato un paio di volte nel microfono. il suo apporto generale al disco appare pressoché nullo, la voce sembra esserci ancora, se solo la facesse sentire.
punto due, ‘fear inoculum’ è in la minore. la canzone? no no, il disco, dall’inizio alla fine. e allora uno si chiede, alla monotonia armonica avranno contrapposto una dinamicità strutturale? nope. sembra di ascoltare per 6 volte la stessa canzone, gli incastri ritmici sono sempre gli stessi, arrangiati sempre nello stesso modo (batteria percussiva, basso che le va insieme, chitarra in palm-mute che riffeggia stancamente su un’altra ritmica) e finiscono sempre, sempre, sempre nella stessa stucchevole apertura di accordi aperti e piatto ride. esagero? la trovate a 3:55 di ‘fear inoculum’, a 3:18 di ‘pneuma’, a 6:35 di ‘invincible’, a 4:59 di ‘descending’, a 6:51 di ‘culling voices’ e a 1:46 di ‘7empest’ (il pezzo peggiore del disco, un’accozzaglia di parti incollate insieme), tempi riferiti all’edizione digitale. è SEMPRE la stessa cosa, sempre sullo stesso accordo, la piattezza degli arrangiamenti è desolante.
parentesi per ‘chocolate chip trip’; l’intermezzo è sostanzialmente un tributo a ‘stratus’ di billy cobham, loop di synth che fa da sfondo a un solo di batteria, peccato che gli assoli di batteria di cobham abbiano un senso e un messaggio. io non discuto che danny carey sia un bravo batterista, cazzo se lo è, purtroppo per lui però non è neanche lontanamente un solista e questo brano lo dimostra: sta tra il filotto di esercizi e il “adesso faccio casino”, non ha un tema che sia uno (timbrico, ritmico, melodico, ce n’erano di scelte) e risulta noioso, piatto e vuoto (aiutato anche da una produzione generale che calca la mano sulla compressione di batteria e chitarra inibendo le dinamiche di tutto l’album). 
poi ci sono gli intermezzi, ancora una volta per allungare il brodo e arrivare ad un totale di OTTANTASEI MINUTI, dei quali gli unici salvabili sono forse quelli della title-track posta in apertura. forse.

questo non è un disco, è una presa per il culo. il fatto che arrivi dopo 13 anni di silenzio dovrebbe renderlo un insulto verso i fan dei tool. il suo girare a vuoto lo rende un ascolto noioso oltre ogni limite, pesante ma senza ricompensa alla fine, stanco e ripetitivo. poi magari ci diranno che i tempi messi in sequenza formano la struttura del dna dei peli del culo di adam jones o il numero di conto in banca della cugina di terzo grado di fibonacci o l’esatta distanza tra me e quanto me ne frega (numeri astronomici), questo non cambierà il risultato finale: la noia. anzi, lo peggiorerà.
se vi accontentate del generico suono dei tool e non cercate particolare profondità o ricerca, ‘fear inculum’ potrebbe fare per voi. se invece avete apprezzato la spinta innovativa di dischi come 'aenima' e 'lateralus', forse è meglio che non lo ascoltiate neanche.

per quanto mi riguarda: vuoto, inutile e anche un po’ ridicolo.